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Dall’istituzione psichiatrica al concetto di malato e malattia, dal carcere alla scuola, Franco Basaglia è stato un interlocutore fervido e instancabile della deistituzionalizzazione e dei processi che tendono a mettere la soggettività sotto il giogo dell’oggettività clinico-medica e dell’emarginazione sociale.

Cosa è stata l’istituzione da negare? L’istituzione in questione era l’insieme di apparati scientifici, legislativi, amministrativi, di codici di riferimento culturale e di rapporti di potere strutturati attorno ad un ben preciso oggetto per il quale erano state create: la «malattia» cui si sovrappose in più, nel manicomio, l’oggetto «pericolosità». Perché volemmo quella deistituzionalizzazione? Perché per noi l’oggetto della psichiatria può e deve essere non quella pericolosità né questa malattia (intesa come qualcosa che sta nel corpo o nella psiche di questa persona). L’oggetto fu sempre per noi invece l’esistenza-sofferenza dei pazienti ed il suo rapporto con il corpo sociale. Il male oscuro della psichiatria è stato nell’aver costituito istituzioni sulla separazione di un oggetto fittizio, la malattia, dall’esistenza complessiva del paziente e dal corpo della società.  […] Allora le vecchie istituzioni andavano superate perché culturalmente, epistemologicamente incongrue, (e tali resterebbero le istituzioni previste dai vari progetti di legge di controriforma). La rottura del paradigma fondante quelle istituzioni, il paradigma clinico, fu l’oggetto vero del progetto di deistituzionalizzazione […][1]

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(…) non è vero che lo psichiatra ha due possibilità, una come cittadino dello Stato e l’altra come psichiatra. Ne ha una sola: come uomo. E come uomo io voglio cambiare la vita che faccio, e per questo voglio cambiare l’organizzazione sociale, non con la rivoluzione ma semplicemente esercitando la mia professione di psichiatra. Se tutti i tecnici esercitassero la loro professione, questa sì che sarebbe una vera rivoluzione…[2]

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Un individuo malato ha, come prima necessità, non solo la cura della malattia, ma molte altre cose: ha bisogno di un rapporto umano con chi lo cura, ha bisogno di risposte reali per il suo essere, ha bisogno di denaro, di una famiglia e di tutto ciò di cui anche noi medici che lo curiamo abbiamo bisogno. Questa è stata la nostra scoperta. Il malato non è solamente un malato, ma un uomo con tutte le sue necessità.[3]

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Chi entra in manicomio è matto, e matto significa stigmatizzazione negativa di una persona. Chi entra in carcere, qualunque sia il perché, è criminale, e criminale è una connotazione negativa della persona. Quanto allo studente, se è promosso vuol dire che va bene; se è bocciato, allora è un cretino. Questi sono esempi di come i saperi che rappresentano le istituzioni possono criminalizzare la persona. Allora a cosa servono le istituzioni? Evidentemente non servono a tutelare il cittadino ma a difendere e conservare lo Stato.[4]


[1] http://www.deistituzionalizzazione-trieste.it/letteratura/Letteratura/L_istituzione%20inventata%20.doc

[2] F. Basaglia, Conferenze brasiliane, Cortina, Milano, 2000, p.166.

[3] Ivi, p.10.

[4] Ivi, pp. 136, 137.

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