3.Il cantiere di lavoro per tracciare una via d’uscita

La fine del governo Draghi azzera questo percorso, per altro mai è approdato a una discussione di commissione, pubblichiamo questi interventi con la convinzione che nondimeno in un momento di estremo rischio per i diritti delle persone più fragili, per le crescenti diseguaglianze sociali e per l’evidente disinvestimento delle politiche regionali e governative, questo testo può diventare una piattaforma per discutere con i programmi dei i partiti politici che partecipano alla campagna elettorale per la formazione del nuovo parlamento.

Intervento di DANIELE PICCIONE (Roma)

Il testo è rinato sotto identiche spoglie nella nuova legislatura, cosa che si fa per cercare di tenere vivi i disegni di legge che portano con sé una prospettiva. (Vorremmo fosse così anche nella prossima). Credo che adesso sia importante capire quale senso assume questo disegno di legge nel momento che stiamo vivendo. Che è il momento che sta facendo segnare un mutamento di sorti nel sistema di assistenza alla salute mentale su tutto il territorio nazionale, è un tempo piuttosto aspro, che si è modificato in peggio rispetto a quando il disegno di legge è stato concepito, quattro anni fa. Non mi riferisco solo alle vicende tristi che vivono Trieste e il Friuli Venezia Giulia in questo momento ma in generale alla condizione complessiva che le idee che stanno intorno alla salute mentale in questo paese oggi attraversano dopo la pandemia e dopo tante altre sconfitte laterali che hanno circondato la pandemia. Non siamo riusciti ad apprendere dalla pandemia lezioni particolari e a declinarle in concreto anche se forse ce ne sarebbe stata l’occasione. Invece abbiamo assorbito il peggio di quello che la pandemia ha significato in termini di solitudine e scollegamento, di individualismo sfrenato, di un rifugiarsi nel privato, di un riflusso anche nelle logiche di privatizzazione di quel poco dell’assistenza che adesso c’è nel paese.

Io penso che si devono mettere in evidenza le qualità che questo disegno di legge aveva quattro anni e mezzo fa e che io credo abbia ancora.

1 La prima è che è un disegno di legge che aggiunge facoltà di scelta, sprona la libertà individuale, sostiene le opzioni aperte, proiettando la società verso scenari più ampi. Le leggi buone non sono quelle che impongono nuovi obblighi, che stabiliscono nuove sanzioni, che impongono modelli preconfezionati, generalizzanti o sistemi automatici di applicazione di regimi. Dietro queste, e sono le parole di Leopoldo Elia, c’è un concetto che ci riguarda da vicino e cioè l’opera di deistituzionalizzazione che questo paese ha attraversato e compiuto meglio di molti altri e che questo disegno di legge promuove ancora una volta, consapevole che si tratta di un problema molto concreto che riguarda le libertà personali, non è solo un problema di salute mentale ma di politica delle libertà costituzionali.

Le cose che accadono adesso vanno tutte nell’altra direzione. Stiamo tornando a un paradigma escludente, a un’idea confusa dello stigma che viene materializzato, attraverso la comunicazione di massa che ha delle responsabilità enormi, a una logica della giurisdizione sfuggente, autoreferenziale e chiusa agli stimoli della società. Di fronte a questo il disegno di legge di cui parliamo ha un’inversione di rotta possente, ancora più marcata di quattro anni fa. È un tentativo per rivalutare le scelte individuali, la proiezione della volontà del singolo perfino nei territori più difficili quali sono quelli della negoziazione del trattamento sanitario contro la volontà. Si tratta di norme, quelle sul trattamento sanitario obbligatorio, che cercano di ridurre il tasso di vincolatività, i rischi del ricorso alla coercizione, norme che prescrivono garanzie importanti di ordine materiale non procedurale che dovrebbero consentire di spianare il campo e diradare nebulosità, equivoci, pesanti distorsioni.

2 Questa prima caratteristica del disegno di legge, di essere facoltizzante, di ricentralizzare la personalità dell’individuo nel sistema di salute mentale, apre a un’altra caratteristica:  quella di essere una proposta effettiva, concreta. Pur avendo un’idealità di fondo è una proposta che va al cuore duro dell’esperienza degli ultimi 35 anni. Non è un caso che io sia partito dal Tso, perché il Tso, splendidamente disciplinato dalla legge 180 e poi transitato dalla legge sul sistema sanitario nazionale, è comunque stato – in talune parti della penisola – di problematica applicazione. 

Basaglia l’aveva detto benissimo, nel famoso articolo del 1980, il Tso si pone al confine: c’è l’ospedalizzazione, la tutela dei diritti della persona, l’introduzione della tutela della salute mentale ma è anche associata alla necessità. Le contraddizioni Basaglia le capiva sempre, già nel 1980. In questi 40 anni le contraddizioni non si sono fatte attendere, come sappiamo. Il Tso è stata la finestra attraverso la quale i più biechi tentativi di ritorno delle coercizioni, delle oppressioni hanno fatto capolino nell’ordinamento. Questo disegno di legge risponde a questo e ad altri limiti.

3 Ne cito altri due per andare al cuore della cosa. Il problema centrale del riparto di competenze sul quale abbiamo ricevuto attacchi di ogni genere: la legge 180 ha subito il controstigma secondo il quale era una legge vecchia, non più attuale. Abbiamo dovuto sentire che qui si vuole e si dovrebbe determinare un’identicità di modello su tutto il territorio nazionale senza badare alle differenze e che il grande limite della 180 era proprio quello di lasciare completamente abbandonata la persona che vive l’esperienza del disturbo nelle regioni più povere e marginali. Tutte queste litanie che ci sono state inflitte sulla 180 sono altrettanti bersagli di questo disegno di legge, che è veramente di contrattacco. Diciamo tre cose importanti su questo fronte: innanzitutto che la diversificazione dei modelli se si fa su un regionalismo non competitivo ma collaborativo e cooperativo tra modelli può essere un bene, riconoscendo che la stella polare a cui guardare da parte dei modelli organizzativi regionali è quella della convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità. Si tratta di un testo presbite, che a sua volta guarda alla nostra legge 180. Noi, rilanciando sul rapporto con la convenzione, definiamo un panorama dell’organizzazione su base regionale che ci consente di mettere in collegamento i diversi livelli di competenza senza la cura dei quali l’assistenza e la cura delle persone con l’esperienza del disturbo mentale del paese non possono andare lontano. 

4 Veniamo alle altre caratteristiche di questo disegno di legge. Si tratta di un progetto ambizioso perché si muove su una cornice che ha una minima pericolosità: il pericolo è che siamo stati noi stessi a iniziare il sabba delle modifiche della legge 180. Noi sappiamo che la legge 180 è la legge più avanzata sul sistema di salute mentale dei paesi a democrazia costituzionale avanzata del mondo occidentale. Ce lo dicono le Nazioni Unite che hanno adottato in larghissima parte l’impianto di quella legge. Noi, in realtà, di questa legge così avanzata abbiamo finito di averne paura, le difficoltà di azione di una legge così lungimirante hanno dato vita a quelle ondate a cui mi riferivo prima, di ricusazione del testo. La litania secondo la quale quando qualcosa non funziona bisogna modificare la legge, il sistema, addirittura la Costituzione senza rendersi conto che il problema è l’opposto: se si guardasse bene quello che gli strumenti legislativi ci propongono si potrebbero fare degli straordinari passi avanti di civiltà. C’è appunto il rischio, di aprire noi stessi la danza macabra di revisione della legge 180 che abbiamo difeso strenuamente. A queste critiche abbiamo però risposto: il disegno di legge c’è, è lì, è una bandiera, un modello in continuità, difensivo, capace di proiettarne i valori in un mondo più largo, un mondo che è diverso. Diverso non nelle esigenze e nei metodi di risposta, perché quelli sono assolutamente da difendere e da sostenere, ma più largo negli orizzonti. Noi rispondiamo a questo rischio con un equilibrio costante tra l’ambizione a rilanciare e l’esigenza di non scavalcare niente di un modello che, le Nazioni Unite ce lo riconoscono, è quello più vivo di tutti nei sistemi occidentali. In questa sorta di politica del rischio costituzionale abbiamo pensato che ne valesse la pena inserire nel campo difficile della normazione su questa materia una bandiera diversa, una bandiera che è in costante e permanente equilibrio tra un passato luminoso e una prospettiva futura di rilancio che non deve mai mancare.

     Vengo quindi alla penultima caratteristica di questo disegno di legge che è quella di puntare alla persona. Al centro del disegno di legge c’è la persona, e si vede benissimo il contributo di Franco Rotelli, basterebbe citare la sua celebre frase: “l’alternativa è tra i due grandi quesiti: di che cosa ha bisogno e dove lo metto” questa legge è soltanto sul di che cosa ha bisogno, meglio, è sul che cosa potrebbe aver bisogno la persona che ha avuto l’esperienza del disturbo. Il dove lo mettiamo non c’è mai. Questa parte così matura che si deve ai consigli di Franco Rotelli ne fa un disegno di legge che se messo a confronto con le altre proposte che si fanno oggi nel parlamento italiano risalta in una discontinuità assoluta. C’è sempre il soggetto al centro, c’è sempre la partecipazione come valore, c’è sempre il problema delle esigenze differenziate secondo i bisogni dell’individuo, c’è sempre il problema di rispondere all’antica logica per cui i sistemi in cui la partecipazione, l’assonanza alle leggi, funzionano sono quelli in cui le diseguaglianze sociali pesano meno. C’è anche questo: se noi riusciamo a dare una risposta integrata mettendo la persona al centro riusciamo anche a far affezionare un po’ di più le persone al sistema di servizi di salute mentale.

Concludo con la quinta caratteristica che è un pò dolente: questo è un disegno di legge che accetta la sconfitta, accetta di fare testimonianza in un tempo buio senza vedere concreti e immediati ambiti di speranza e terreni di approvazione. Ma in quello che sembrerebbe più un lato negativo, una caratteristica velleitaria, sta invece una delle  qualità più preziose di quest’opera. C’è l’idea che spesso i disegni che subiscono momenti di crisi alla fine ottengono una forza maggiore per resistere perché raggiungono la consapevolezza di essere diversi da quello che circola intorno a loro. Se questo disegno di legge non riuscisse a essere approvato ma riuscisse ad arginare tentativi biechi, sbagliati e retrivi di modificare il quadro normativo, allora questo disegno di legge perdendo avrebbe vinto e ci avrebbe dato la consapevolezza costante di una cultura che riesce a evolvere senza perdere quel retaggio culturale e quella valenza storica che noi siamo riusciti a conservare e a proteggere.

In questa quinta qualità, quella di essere un fortino anche quando si perde, c’è tutto il valore storico di questo disegno di legge. Nel lungo periodo qualche vittoria o qualche argine alle sconfitte potrebbe anche regalarcelo.