SENATO DELLA REPUBBLICA – XVI LEGISLATURA

XXII-bis n. 10

COMMISSIONE PARLAMENTARE DI INCHIESTA SULL’EFFICACIA E L’EFFICIENZA DEL SERVIZIO SANITARIO NAZIONALE

Istituita con deliberazione del Senato del 30 luglio 2008

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RELAZIONE FINALE SULL’ATTIVITÀ DELLA COMMISSIONE

Relatore senatore Ignazio MARINO

Approvata dalla Commissione nella seduta del 30 gennaio 2013

Composizione della Commissione parlamentare di inchiesta sull’efficacia e l’efficienza del Servizio sanitario nazionale

Presidente

sen. Ignazio MARINO, PD

Vicepresidenti

sen. Alfonso MASCITELLI, IdV

sen. Salvatore MAZZARACCHIO, PdL

Segretari

sen. Franca BIONDELLI, PD

sen. Fabio RIZZI, LNP

Membri

sen. Maria ANTEZZA, PD

sen. Giuseppe ASTORE, Misto, Partecipazione Democratica

sen. Laura BIANCONI, PdL

sen. Daniele BOSONE, PD

sen. Raffaele CALABRO’, PdL

sen. Carlo CHIURAZZI, PD

sen. Lionello COSENTINO, PD

sen. Luigi D’AMBROSIO LETTIERI, PdL

sen. Stefano DE LILLO, PdL

sen. Vincenzo GALIOTO, UDC-SVP-AUT:UV-MAIE-VN-MRE-PLI-PSI

sen. Domenico GRAMAZIO, PdL

sen. Adriana POLI BORTONE, CN:GS-SI-PID-IB-FI

sen. Donatella PORETTI, PD

sen. Michele SACCOMANNO, FDI-CDN

sen. Albertina SOLIANI, PD

Inchiesta su alcuni aspetti della medicina territoriale, con particolare riguardo al funzionamento dei Servizi pubblici per le tossicodipendenze e dei Dipartimenti di salute mentale

Relatori alla Commissione SACCOMANNO e BOSONE

Introduzione

L’inchiesta sui Dipartimenti di salute mentale è stata finalizzata ad una ricognizione sullo stato dei Servizi, mediante sopralluoghi ed audizioni.[1]

La Commissione ha operato nella consapevolezza che le conoscenze scientifiche e le pratiche cliniche della psichiatria di oggi, in continua evoluzione a livello internazionale, possono comportare mutamenti e aggiornamenti continui nell’organizzazione dei servizi preposti, nelle politiche sociali di prevenzione della malattia e delle possibili disabilità, negli interventi di sostegno alle famiglie, nonché nelle azioni di difesa dei diritti degli utenti, attraverso la valorizzazione delle competenze della persona e lo sviluppo di idee positive di riorganizzazione del disegno di vita, della cultura dell’auto-mutuo-aiuto e della guarigione.

Nel contesto sanitario italiano, le normative vigenti sulla tutela della salute mentale offrirebbero sufficienti possibilità di attuazione ed organizzazione dei servizi, attraverso la filosofia di cura territoriale, individualizzata e centrata sui luoghi di vita delle persone, come delineata già dalla legge 180: dove l’applicazione della normativa vigente è avvenuta senza indugio e i servizi di salute mentale sono stati realizzati in modo efficiente, gli stessi sono stati valutati dall’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) come un modello di eccellenza internazionale; ove ciò non è avvenuto, si sono prodotte lacune, anche gravi, nella rete globale dell’assistenza sanitaria, fino a situazioni di franco degrado.

Peraltro, le diverse declinazioni regionali delle normative nazionali, anche quando legittimamente congrue agli indirizzi generali, hanno comunque prodotto una difformità di servizi sul territorio nazionale, con differenze, anche sostanziali, nelle possibilità di cura del cittadino nel luogo di vita.

Principali criticità emerse :

  • Le normative nazionali e regionali in materia di tutela della salute mentale ricevono applicazione incompleta e talora difforme tra le diverse Regioni, con deroghe di fatto non sempre correlabili ad impedimenti di carattere economico: ove è presente la disapplicazione delle norme, per disimpegno politico e/o incapacità amministrativa, sono conseguite carenze e difformità negli interventi sociosanitari per la psichiatria a livello regionale e locale. Tra questi, come ben rappresentato da alcune testimonianze di utenti e familiari auditi nell’attività di inchiesta di questa Commissione, si possono citare alcune evidenti criticità: l’apertura solo diurna dei Centri di salute mentale (d’ora in poi CSM), spesso per fasce orarie ridotte, con conseguente ricorso alla domanda di posto letto nell’ambito ospedaliero del Servizio psichiatrico di diagnosi e cura (d’ora in poi SPDC); l’esiguità di interventi territoriali individualizzati ed integrati con il sociale, frequentemente limitati a semplici visite ambulatoriali ogni due/tre mesi per prevalenti prescrizioni farmacologiche; la sopravvivenza, nonostante i processi legislativi di de-istituzionalizzazione, di “comunità ex-art. 26″, con caratteristiche di luoghi privi di valenza riabilitativa e più connotati come “contenitori sociosanitari” della disabilità psicosensoriale; e ancora, l’offerta di ricoveri in cliniche private convenzionate con il Servizio sanitario nazionale, accessibili anche senza coordinamento da parte dei CSM, che rappresentano l’espansione di modelli di assistenza ospedaliera al di fuori della cultura territoriale dei progetti “obiettivo” e dei “piani” per la salute mentale “post legge 180″.
  • Gli organi sanitari di controllo territoriale non sempre garantiscono a sufficienza la loro funzione: peraltro, le Associazioni di utenti e familiari da tempo denunciano questa criticità, soprattutto dove non sono presenti consulte ed organi di controllo specifici per la salute mentale, in cui sia prevista la loro attiva partecipazione. Si rende evidente la necessità di una catena di comando trasparente ed efficiente sulla distribuzione delle responsabilità all’interno dell’organizzazione di ogni ASL e di ciascun Dipartimento di salute mentale (d’ora in poi DSM).

Ciascuna tipologia di struttura, prevista dalle normative vigenti per tutela della salute mentale, evidenzia, in modo diffuso, alcune specifiche disfunzioni, anche rispetto al processo di differenziazione territoriale, tenuto conto dell’esigenza di economicità e di integrazione tra sanitario e sociale, più facilmente attuabile ove presente la valorizzazione e la cooperazione con le Associazioni di volontariato attive sul territorio.

  • I DSM, costituitisi da accorpamento di più aree territoriali (ex-Ussl) in ragione di principi di efficacia ed efficienza, spesso differiscono molto tra loro per opportunità di cura e, talora, non riescono neppure ad uniformare l’offerta sanitaria sul loro stesso territorio; ancora pochi, sul territorio nazionale, i programmi sanitari integrati con altre agenzie del settore sociale finalizzati alla prevenzione del disagio psichico nel territorio. Le difficoltà stesse evidenziate nella presa in carico dei pazienti in uscita dagli Ospedali psichiatrici giudiziari (d’ora in poi OPG), ben rappresentano la criticità esistente nei DSM rispetto all’integrazione degli interventi di tutela sanitaria e sociale nella popolazione affetta da disturbi mentali gravi.
  • Gli SPDC, uniche strutture presenti dentro l’ospedale, rimangono per la maggior parte luoghi chiusi e con ancora largamente diffuse pratiche di contenzione (talora attuate illegittimamente come se fossero “terapie”), frequentemente privi di possibilità di interventi riabilitativi e sociali, che possano fungere da collegamento con i servizi territoriali come prevenzione della cronicità: molto della cura è affidata alla psicofarmacologia e la qualità della vita dei ricoverati è spesso limitata ai soli bisogni primari (per esempio, frequentemente è fatto divieto, in nome della “sicurezza” del paziente, di quegli effetti personali usati comunemente nella vita quotidiana). I reparti risultano quasi tutti “luoghi chiusi”, non solo per i ricoverati, ma anche, dall’esterno all’interno, per le Associazioni di familiari ed utenti, per il volontariato formalizzato ed informale, a scapito di un “sapere esperienziale” che viene perduto e a scapito di una trasparenza dell’operato sanitario, di cui godono invece tutti quei luoghi sanitari che sono aperti e liberamente frequentati.
  • Per quanto attiene i servizi di neuropsichiatria infantile, da sopralluoghi effettuati, emerge una carenza e difformità di presenza dei posti letto ospedalieri e dei servizi territoriali per minori sul territorio, con anche difficoltà di integrazione con i CSM dell’età adulta per il disagio nell’adolescenza; a ciò si aggiunge il dato preoccupante del riscontro di fasce di contenzione già applicate ai letti di alcuni reparti neuropsichiatria, quasi come fosse una pratica di uso ricorrente.
  • Ad eccezione di alcune realtà sul territorio nazionale, i CSM sono limitatamente aperti solo in modo diurno e per 5 giorni a settimana, scaricando sul Pronto soccorso dell’Ospedale le funzioni di cura specialistica territoriale nelle rimanenti fasce orarie. Spesso l’esiguità di personale, e la mancanza di figure riabilitative, comporta una scarsa risposta ai bisogni dell’utenza nel contesto individuale di vita, con erogazione di attività sanitarie solo di tipo ambulatoriale; le stesse, peraltro, non sono sempre di facile accessibilità alle diverse tipologie dei pazienti, a causa di un’estensione oraria di apertura inferiore alle 12 ore diurne, per tempi di attesa dilatati e per la scarsa differenziazione delle modalità di assunzione in cura secondo la complessità dei bisogni individuali. Come conseguenza, le tipologie delle prestazioni risultano poco o per nulla declinate sulle necessità della persona, a partire dalla disponibilità all’ascolto, mancano il sostegno integrato con il sociale presso il domicilio, l’intervento notturno urgente, la mediazione familiare in situazione di crisi. L’esiguità di tali opportunità di intervento, personalizzato e domiciliare, risulta essere tanto più rilevante se a scapito delle famiglie più bisognose per problemi psicopatologici gravi e complessi. Ed anche il ricorso al trattamento sanitario obbligatorio (d’ora in poi TSO), in alcuni casi, è sintomo di carenza di offerta e/o di incapacità di intercettare il disagio mentale sul nascere, di assenza di azioni di tipo preventivo dell’acuzie potenzialmente efficaci; analoga considerazione suscita costatazione delle difficoltà dei CSM di occuparsi delle necessità psichiatriche della popolazione detenuta, considerata anche la carenza di idonei reparti di osservazione psichiatrica nelle carceri. A tale riguardo è emblematico il caso di un giovane paziente, autore di reato, che è stato internato in Ospedale psichiatrico giudiziario per l’esecuzione di un TSO.
  • Le Strutture “intermedie”, riassumibili nel termine generico di “comunità riabilitative”, rappresentano una criticità importante della situazione della psichiatria italiana territoriale post legge 180. Ogni Regione, concluso il superamento degli ex Ospedali psichiatrici, ha autorizzato molteplici, e diverse tra loro, strutture psichiatriche riabilitative, molto onerose dal punto di vista economico sul bilancio complessivo dei DSM e “non-efficienti” in termini di esito, oltre che di processo. Presentano, per la maggior parte, le seguenti problematiche: in primis, un ridottissimo “turnover” dei ricoveri, con situazioni di istituzionalizzazione sanitaria di seconda generazione, spesso connotate da scarsa consistenza di interventi realmente socio-riabilitativi di reintegro del paziente nel contesto territoriale di vita, a fronte di un dichiarato e/o reale alto tenore sanitario di attività cliniche interne alle Strutture stesse; scarse sono ancora le possibilità di inserimento lavorativo; non così comuni sono le esperienze di gruppi-appartamento in mutuo-aiuto, di natura sociale, che risultano più funzionali solo dove esiste anche un sostegno da parte dei CSM. In conseguenza dell’espansione residenziale sanitaria e di scarse possibilità di dimissione dei pazienti accolti, le ASL e le Regioni finiscono per attuare deroghe di fatto alle normative nazionali, nonché regionali, sui tempi di ricovero, sulle dotazioni strutturali e di personale specialistico; e a seguire, anche i controlli su questo ambito sono, in alcuni casi, divenuti superficiali, quando non inesistenti. Ad oggi, molte diventano contenitori di emarginazione sociale della disabilità psichica, contrariamente alle finalità dichiarate, con conseguenti fenomeni di “wandering” istituzionale tra luoghi di ricovero; alcune diventano perfino strutture indecenti “per un Paese appena civile”. Infine, come situazione paradossale rispetto a quanto sopra evidenziato, vi è una carenza di strutture semiresidenziali e residenziali per la cura dei disturbi psicopatologici più gravi delle fasce adolescenziali, che non possono trovare risposta nelle strutture per gli adulti e che necessitano di ampio approccio multidisciplinare e di un diretto coinvolgimento familiare nell’assunzione in cura. Il quadro evidenziato impone una profonda riflessione della “Comunità” scientifica sulla situazione dell’assistenza psichiatrica italiana, preferibile a proposte integrative di legge, soprattutto in ragione del fatto che la riabilitazione del malato psichiatrico non possa, in alcun caso, tradursi in un’ospedalizzazione, più spesso realizzata con implementazione del privato convenzionato, per mancanza di servizi idonei sul territorio.

Proposte d’intervento

Prevenzione

Il maggiore intervento sanitario deve essere di tipo preventivo del disagio, affidato ai CSM negli aspetti di coordinamento, a cui spetta anche la centralità della cura ove occorra, in quanto strutture territoriali più vicine ai luoghi di vita. È pensiero diffuso in ambito europeo che attraverso il collegamento con i servizi di neuropsichiatria infantile e attraverso politiche sociali si possa concretizzare la capacità di intercettare le problematiche emergenti sul nascere, al fine di ridurre la prevalenza di malattia, disabilità e cronicità, da cui origina anche lo “stigma” di chi è sofferente.

LEA e DRG di percorso – CSM h24

Gli interventi sanitari e sociali devono essere più integrati e individualizzati per contenuti e risorse, attraverso una revisione dei LEA e l’istituzione di DRG di percorso, in cui l’intervento sanitario e sociale possa non essere più omologato per tipologia di struttura: l’approccio integrato deve tradursi in una valorizzazione e remunerazione economica dell’intero percorso di cura del paziente, superando il concetto di rimborso per singola prestazione e/o per diagnosi. Programmi di cura psicosociale, in cui possano essere rappresentati e coordinati interventi ambulatoriali, domiciliari, residenziali e/o ospedalieri secondo le esigenze individuali, consentirebbero di non confinare i diversi problemi psicopatologici, e i pazienti che ne sono affetti, per “singoli luoghi”, a scapito degli abituali ambiti territoriali di vita. Tale approccio consentirebbe di riqualificare tutte quelle situazioni di residenzialità “pseudo-riabilitativa”, rilevate sul territorio nazionale, che non si pongono obiettivi temporali. Qualora occorresse, potrebbero essere implementati, o istituiti ove non presenti, posti letto accessibili sulle 24 ore nei CSM territoriali, al fine anche di ridurre il ricorso all’ospedalizzazione in SPDC delle situazioni acute e subacute: a tal fine, nei CSM dovrebbero concentrarsi interventi di implementazione del coinvolgimento della rete sociale nel contesto di vita del paziente, il supporto dell’associazionismo no-profit che opera nella salute mentale, e soprattutto l’offerta di opportunità di inserimento lavorativo nelle forme più idonee ai diversi livelli di disabilità psichica.

Potenziamento delle capacità dell’utente.

La programmazione sanitaria psichiatrica deve essere finalizzata alla valorizzazione delle competenze della persona, attraverso il sostegno di aspettative positive di riorganizzazione della vita dell’individuo, della cultura dell’auto-mutuo-aiuto e della possibilità di guarigione, con rispetto della libertà di scelta del paziente ove possibile; a tal fine, serve un implementazione della partecipazione attiva degli utenti e familiari nei Servizi.

  • I TSO non devono sottendere comportamenti di medicina difensiva, al fine di evitare il rischio di un ritorno nascosto del mandato di controllo sociale caratteristico dell’era manicomiale: la psichiatria italiana, per legge, non si occupa della pericolosità sociale, ma le modalità brutali di esecuzione di alcuni T.S.O. rappresentano sicuramente l’immagine di “pensiero custodialistico”, che si ripresenta ogni qualvolta un’acuzie psicopatologica viene affrontata più per ridurne i comportamenti devianti che per farsi carico della sofferenza della persona: al fine di evitare ciò, è fondamentale il collegamento con la Medicina di base sul territorio, soprattutto nelle situazioni psicopatologiche critiche quali sono quelle che legittimano un TSO. Appare utile ricordare in questa sede, come esempio di cosa possa accadere se venisse meno questa attenzione, la drammatica vicenda di un paziente che, in stato di scompenso psicopatologico, inseguito dalla Forza Pubblica per sfuggire ad un’ordinanza di TSO, ha preferito gettarsi in mare. Parimenti, in difesa dei diritti del paziente anche in situazione di trattamento sanitario coatto, la nomina di un amministratore di sostegno dovrebbe avvenire d’ufficio all’atto della trasmissione degli atti al Giudice Tutelare (con incarico di supportare le volontà dell’utente durante l’esecuzione del TSO).

Interventi sul Servizio psichiatrico di diagnosi e cura.

In sintesi, alcuni interventi “minimi e sufficienti”:

  • Obbligo di prestazioni riabilitative psicosociali precoci, già in fase acuta, già durante la degenza; miglioramento delle condizioni ambientali di vita per i degenti, con puntuale verifica attraverso strumenti di “customer sastisfaction” di utenti e familiari.
  • Contenimento del fenomeno di espansione dei letti ospedalieri, sia pubblici che privati, a favore di una implementazione di posti-letto nei CSM, aperti nelle 24 ore, anche per interventi territoriali in situazioni d’urgenza
  • Contenzioni fisiche: il tema delle “contenzioni” è già stato affrontato da questa Commissione, con specifico approfondimento, in occasione della relazione sulle condizioni di vita degli internati in OPG e CCC, alla cui lettura si rimanda per un inquadramento delle responsabilità e dei limiti nell’ordinamento giuridico rispetto a tali atti. Tuttavia, in ragione del riscontro di un’ampia diffusione di pratiche contenitive negli SPDC, si impone la necessità di rigorosi protocolli di prevenzione delle stesse (tra cui, il divieto di fasce contenitive già applicate ai letti); se disposti interventi temporanei di contenzione fisica in caso di necessità, perché fallite tutte le azioni preventive o alternative possibili ed esclusivamente per finalità terapeutica, l’attuazione degli stessi dovrebbe essere documentata in apposito registro, vidimato e distribuito dalle Aziende sanitarie locali, con indicazione delle motivazioni e modalità di restrizione della libertà del paziente. Di ogni intervento documentato dovrebbe essere redatta duplice copia, una delle quali dovrebbe restare agli atti della struttura sanitaria, mentre la restante dovrebbe essere trasmessa all’ASL. Una prassi di tal genere consentirebbe il monitoraggio del fenomeno analogamente a quanto accade nella segnalazione degli eventi avversi ospedalieri, con dissuasione dagli abusi.
  • Contenzioni ambientali: gli SPDC dovrebbero essere organizzati come luoghi “aperti”, no-restaint, ove si dovrebbero istituire aree graduali di intensità assistenziale sanitaria e riabilitativa per l’utenza, con previsione in ogni reparto anche di una stanza protetta da sorveglianza diretta e continua.

Norme per la terapia elettroconvulsivante (ETC)

Alla luce della giurisprudenza costituzionale e dei dati scientifici, devono essere introdotte, in modo cogente, le seguenti prescrizioni:

  • regolamentazione più rigorosa delle indicazioni d’uso, ove scientificamente e clinicamente accertata l’inefficacia della terapia psicofarmacologia, con divieto di prescrizione “off-label”.
  • modalità d’uso: solo in sala operatoria (non in SPDC), in presidi dove è situata una divisione di anestesia.
  • obbligo di nulla-osta neurologico in via preliminare e di follow-up neuropsicologico per il monitoraggio degli eventi avversi e per definire, caso per caso, il numero massimo di esposizione ai cicli ETC nel percorso di cura della persona.

Interventi di riconversione della residenzialita’ riabilitativa, attraverso il finanziamento di DRG di percorso individualizzato a partecipazione mista sanitaria e sociale:

E’ auspicabile una riconversione dell’esistente panorama della residenzialità riabilitative, per la maggior parte con ricoveri ad alto tenore sanitario e a tempo indeterminato, attraverso tipologie di strutture omologabili sul territorio nazionale, sostenibili a livello finanziario attraverso DRG di percorso individualizzato e a partecipazione mista sanitaria-sociale.

In ogni luogo, la residenzialità riabilitativa dovrebbe essere posta sotto il monitoraggio costante dei CSM, sia in atti di indirizzo declinati secondo le esigenze territoriali, che di controllo dell’attività clinica, nei contenuti e nei tempi per ciascun paziente. A titolo solo esemplificativo, ispirandosi a realtà già esistenti, si potrebbero ipotizzare alcune soluzioni graduate secondo diverso bisogno sanitario e sociale dell’utente nel proprio percorso di cura ed assistenza :

  • comunità sanitarie riabilitative, che dovrebbero essere finalizzate ad azioni di integrazione sociale, strutture per le quali dovrebbe essere prevista una degenza della durata massima di un anno, con presenza di personale sanitario e psico-socio-educativo sulle 24 ore; ad implementazione del personale professionale, dovrebbero essere previsti ambiti di coinvolgimento di pazienti e familiari, con anche ruoli di impiego retribuito nella gestione assistenziale della comunità se organizzati secondo modelli di mutuo-aiuto, come già sperimentato sul territorio nazionale, in quanto portatori di “sapere esperienziale”.
  • soluzioni residenziali, per ospitalità temporanea secondo le necessità individuali, con caratteristiche abitative di edilizia civile, organizzati in piccoli appartamenti, a diversificata offerta socio-assistenziale e sanitaria sulle 24 ore, gestiti da personale assistenziale ed educativo professionalmente formato in ambito psichiatrico.
  • case-famiglia, senza vincoli temporali di permanenza, come tipologia di alloggi non-sanitarizzati, dotati di posti-letto non superiori ai sei, che potrebbero essere gestiti da poche e stabili figure professionali, con competenze socio-assistenziali, ma preventivamente formate rispetto alle problematiche dei disturbi psichici e disponibili ad un rapporto di convivenza con l’utenza.
  • gruppi-appartamento, con caratteristiche dell’edilizia civile, dotati di posti-letto non superiori ai sei, la cui gestione assistenziale potrebbe essere totalmente affidata a pazienti e familiari organizzati in ambito associazionistico e/o secondo modelli di mutuo-aiuto, capaci di tradurre in attività di servizio il proprio “sapere esperienziale”; per tale tipologia non sarebbe necessaria la presenza di personale sanitario ed i requisiti minimi di funzionamento dovrebbero garantire solo una offerta socio-assistenziale di supporto alle attività della vita quotidiana dei disabili psichici.

Al termine di un programma di cura residenziale, deve essere previsto un prosieguo del trattamento riabilitativo ed assistenziale da parte del CSM sul territorio, anche in famiglia, con sostegno e visite domiciliari attraverso un percorso socio-sanitario unico ed integrato.

Infine, per quanto concerne l’area dei minori, per garantire possibilità di intervento sanitario non solo ospedaliero, dovrebbero essere riqualificate ed implementate comunità socio-riabilitative, per temporanei percorsi di cura sanitaria nelle situazioni in cui non possono essere affrontati, da subito, interventi nel contesto di vita e in ambito familiare.

Al contempo, appare necessario adeguare il numero di posti letto nel settore della neuropsichiatria infantile, al fine di colmare le lacune che, secondo le risultanze dell’inchiesta, caratterizzano l’offerta assistenziale in tale delicato settore.


[1] La Commissione avrebbe voluto espletare parallelamente anche indagini sui Servizi per le dipendenze, ma la complessità dell’istruttoria sulla salute mentale , e la presenza di numerosi altri filoni di indagine da coltivare, ha indotto a rinviare la trattazione delle tematiche relative ai SerT. L’istruttoria su tale materia, in parte già svolta, potrà essere eventualmente ripresa nel corso della prossima Legislatura

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