(immagine di Antonio Fortarezza)
(immagine di Antonio Fortarezza)

17 marzo, diciasettesimo giorno.

Dove si racconta di un’adolescente che fa fatica a stare con gli altri e lo desidera tanto. Che già a 10 anni, allo sguardo medico e psicologico appare incontenibile. E allora, di lì a poco, contenzioni che non finiscono mai.

Dei diagnosi e cura, delle sedicenti comunità terapeutiche, della sua “pericolosità sociale”, della sua infermità di mente.

Del suo proscioglimento. Della condanna a 5 anni di misura di sicurezza

Di Francesca de Carolis.

Quando ho aperto la cartella con la sua storia, non sono riuscita ad andare fino in fondo. Per lo strazio. Ma la via crucis di … chiamiamolo Stefano, 19 anni e 5 mesi, è tutta lì. In cartelle cliniche, relazioni, anamnesi … Oggi, la sua vita negata è tutta in una sentenza che lo ributta in un Ospedale Psichiatrico Giudiziario, dopo che un anno fa, in seguito a una reazione convulsa nata dalla paura, un’ordinanza di misura di sicurezza provvisoria del Tribunale di Vicenza in meno di un mese l’aveva già spedito a Castiglione delle Stiviere.

Me ne parlò allora, per la prima volta, Peppe dell’Acqua, ‘storico’ direttore del Dipartimento di Salute Mentale di Trieste, che in quell’OPG stava andando a cercare Stefano, temendo di trovarlo legato a un letto di contenzione. “Cosa che per lui, mi disse, non è altro che continuare a subire un tormento che conosce dalla prima adolescenza”.  Oggi, dunque, è stata emessa la sentenza: proscioglimento perché incapace di intendere e di volere e pericoloso socialmente. Quattro anni di misura di sicurezza in OPG.

Storia di Stefano. Oggi che ci siamo già dimenticati del chiasso e delle grida allo scandalo dopo l’inchiesta della Commissione Marino sugli Ospedali Psichiatrici Giudiziari, luoghi di cui tutti sappiamo da tempo tutto e tutti abbiamo fatto finta di non sapere. La notizia, che fa da sfondo a questa vicenda, ha dell’assurdo: gli OPG per legge entro la fine di questo mese dovranno essere smantellati, eppure continuano ad esservi rinchiuse persone. E la vicenda di Stefano, poco più che un ragazzino, è particolarmente atroce. Apre interrogativi, su una perversa connivenza di giustizia e psichiatria e le mostruosità che ancora partorisce.

La storia di Stefano è racconto di una sofferenza inaudita, di violenze e dolori subiti fin dall’età di 5-6 anni. Basta scorrere la perizia di parte scritta da Dell’Acqua, o quanto di lui racconta Matteo Maria Bonani, lo psicoterapeuta e psicologo della comunità familiare di Vicenza, Villaggio SOS, dove Stefano è stato seguito negli ultimi anni. Un racconto accorato, quello di Bonani, che pure è stato “vittima” dell’aggressione che ha scatenato sul ragazzo il nuovo inferno.

A cominciare dagli interventi “riabilitativi/educativi” del tutto inadeguati sia dei familiari che degli specialisti, per arrivare, a soli sei anni, ai primi ricoveri e le prime “terapie” farmacologiche neurolettiche e sedative. Pensate, in età evolutiva… Racconta Bonani: “A marzo del 2008, presso la comunità Lilium di Chieti, a soli 12 anni, subisce ancora ripetute contenzioni fisiche, addirittura ben 18 volte in meno di un mese …”. Ne aveva già subite ricoverato nel servizio diagnosi e cura di Vicenza. Un adolescente ricoverato in un reparto per adulti… Viene “trattato” farmacologicamente, cosa che non porta a nulla. Mentre violenze e ricoveri continuano, alimentando in lui paura e frustrazione.

Mi fermo qui, ma questo, e altro, è tutto ben documentato. Chieti è solo una delle tante “stazioni” che Stefano ha attraversato: sedicenti comunità terapeutiche, istituti per minori, reparti di neuropsichiatria infantile, dove sempre è stato trattato con neurolettici e sottoposto per periodi anche molto lunghi a contenzione, della cui liceità, per chi non lo sapesse, molto si discute.

Una storia difficile anche solo da pensare, esattamente come si fa fatica a pensare a quanto accadeva nei vecchi manicomi, e che sembriamo accettare solo perché vogliamo credere appartengano al passato. Ma la vicenda di Stefano appartiene all’oggi. Ed è importane conoscerne i dettagli per capire cosa accade.

Ancora il racconto di Bonani: “Nel 2012 riusciamo ad ottenere le dimissioni dal reparto di psichiatria dell’ospedale di Vicenza (Stefano conserverà gelosamente la lettera di dimissione) e intraprendiamo un percorso residenziale presso il Villaggio SOS di Vicenza. Per la prima volta è concesso a Stefano di sperimentare l’amicizia, il rispetto, il divertimento, la gioia, la libertà, la vita. Con stupore scopriamo che riesce a reggere livelli di stimolazione quali Gardaland, Canevaworld, pullman con 50 persone, vacanze con pernottamenti in stanzoni da 30 persone, campeggio, montagna, mare, addirittura arriverà, dopo un percorso di lezioni di canto e danza ad esibirsi davanti a 50 persone lasciando tutti senza parole ..”

E cosa è successo allora poco più di un anno fa? E’ successo che Stefano ha compiuto 18 anni. Per i maggiorenni non c’è posto nella comunità-famiglia. Ed è bastato l’accenno a quest’ipotesi a scatenare in lui il terrore: lasciare quella casa? Quale ricovero allora?  Il ricordo della violenza della contenzione, del dolore, delle frustrazioni, degli isolamenti, del senso di fallimento hanno rioccupato la sua mente. E così in un momento sono sembrati svanire anni di lavoro per tessere relazioni di fiducia.

Riusciamo a vederlo quel ragazzo, che si aggrappa al suo psicoterapeuta. Già, proprio il suo Matteo Bonani… non controlla il terrore che gli cresce dentro, vorrebbe chiedergli aiuto e lo strattona, si afferrano, cadono insieme in terra… e poi qualcuno chiama la polizia, il terrore cresce, e tutti diventano nemici… si chiude in cucina, afferra un coltello… viene trascinato via a forza, sedato, contenuto, come si dice…

Quel che segue sa di nuovo incubo. Si riaprono le porte di un Servizio Psichiatrico di diagnosi e cura, che Stefano conosce bene e che, spiega Peppe Dell’Acqua, “avvia un percorso che tra parole e azioni non potrà che portare a tragiche conclusioni. Il lessico tecnico e la freddezza prendono il campo”. E’ vero. Basta leggere la cartella clinica del SPDC di Vicenza, dove “sanno già” che il ragazzo “è un infermo di mente, affetto da un deficit intellettivo che è evoluto in un grandissimo disturbo della personalità di tipo esplosivo e antisociale …”. Linguaggio che ha già il sapore di condanna definitiva.

E poi Stefano ora per la legge è maggiorenne. Ha commesso un “reato” che può marchiarlo come persona definitivamente pericolosa. La nostra “sicurezza” (dall’ipotetico aggressore) al prezzo della sua contenzione, che è scambio al quale sembriamo tutti assuefatti.

Prima di essere trasferito a Castiglione delle Stiviere, Stefano era stato ricoverato in una comunità, Vento di Pace, o qualcosa del genere, e non sempre in nomina omina… Qui ha avuto altri momenti di paura e agitazione incontenibili. E’ stato bastonato.

Cosa è successo poi in quest’ultimo anno di “misura cautelare”? La risposta nelle 40 pagine della consulenza tecnica di Dell’Acqua, nominato per il processo consulente di parte, che ripercorre nei suoi terribili dettagli la vita di Stefano, dalle ingombranti diagnosi della più tenera età, passando per l’analisi dei danni dei trattamenti farmacologici massicci.

Una lezione di storia della psichiatria, anche, la sua consulenza. Ricorda, ad esempio Dell’Acqua, come già dalla seconda metà dell’ ‘800 era noto che la contenzione, ma soprattutto il suo uso ordinario e protratto, produce regressione totale, riproduce e alimenta nel paziente sentimenti di bassissima autostima e/o al contrario desiderio di rivalsa. E Stefano è stato di nuovo frequentemente “contenuto”. Immaginate un po’… legato mani e piedi anche per otto- dieci giorni di seguito. Stiamo sempre parlando di un ragazzo…

Dell’Acqua: “In tutto quanto è accaduto nel corso di quest’ultimo anno (…) non è rintracciabile nulla che abbia a che vedere con la dovuta attenzione terapeutica, con la prospettiva riabilitativa, con un qualsivoglia intento emancipativo. È sconcertante l’assoluta disattenzione ai diritti di Stefano. Alla fine di questo percorso, che non può che definirsi insensato, il livello di sofferenza del ragazzo, e della sua famiglia, è diventato acutissimo”. Risparmio i dettagli. Il percorso è tutto riassunto in una frase: “una insensata e violenta spirale istituzionale”.

Nelle sue conclusioni, Dell’Acqua, che durante l’ultimo anno ha incontrato e seguito Stefano nei suoi vari trasferimenti, lo descrive come persona “dotata di sufficienti capacità cognitive e intellettive per rendersi conto del bene o del male che sta mettendo in atto, e le conseguenze”.  Insomma, per tornare all’episodio che ha scatenato tutto questo, quando entra in “colluttazione” con il suo terapeuta, sa perfettamente che vuole allontanarlo da sé, che vuole con tutte le sue forze evitare la frustrazione e la tensione che gli provoca il pensiero di essere allontanato dalla comunità. E poi: “… i maltrattamenti subiti, i pesanti condizionamenti, il ricorso persistente a pratiche punitive. Non si può non considerare che la storia istituzionale di Stefano costituisce un elemento che ha potenziato reazioni impulsive, di difesa, di resistenza”. La proposta: un percorso rieducativo lontano da ambienti medico psichiatrici, che permetta il ritorno con i genitori, da Stefano in tutto questo sempre invocato.

Cosa recepisce di tutto questo il giudice? La risposta è nella sentenza che rispedisce Stefano nell’incubo di un OPG, fondata esclusivamente sul giudizio del perito d’ufficio.

Il commento di Dell’Acqua: “Ci auguravamo una sorta di lieto fine … che venisse riconosciuto colpevole e condannato per il reato, se reato c’è stato. Avrebbe subito una condanna a pochi mesi, avrebbe dovuto essere rimesso immediatamente in libertà, e da uomo libero essere curato. La malattia come sempre in queste vicende domina la scena. Non esiste più Stefano e la sua storia, ma solo la malattia e la (presunta) pericolosità: quattro anni di misura di sicurezza in OPG! Senza tener conto della legge 81, che ne prevede la chiusura e dei dispositivi che il giudice avrebbe dovuto considerare sia nel giudizio di proscioglimento che nel definire la misura di sicurezza.

E men che meno degli “esiti della decisione” che, come ha detto il Presidente Mattarella, dovrebbero essere massimamente considerati dai giudici. Nel nostro caso, poi, stiamo parlando di un giudice monocratico che, a differenza della pubblica accusa, deve anche tutelare il cittadino imputato”.

Stefano dovrà affrontare ancora strade in salita. Un progetto terapeutico riabilitativo è già pronto per lui, ma sotto la spada di Damocle della misura di sicurezza. Insomma se sbagli torni dentro.

Rimane intanto molto da riflettere su “insensatezze, liceità, imperizie, colpe” che tessono la trama di tutta questa storia, e sul perverso gioco di rimandi fra giustizia e psichiatria che continua a negare, con indicibile violenza e a chi più ne avrebbe bisogno, le tutele e il rispetto di diritti di cui ogni cittadino è titolare.

Scusate il tono da “predica”, ma se aveste letto anche voi la cartella con la storia di Stefano…

( da ” il Garantista) di domenica 15 marzo 2015)

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