di Luigi Colaianni.

La proposta di legge n. 2233, “Norme per valorizzare, in continuità con la legge 13 maggio 1978, n. 180, la partecipazione attiva di utenti, familiari, operatori e cittadini nei servizi di salute mentale e per promuovere equità di cure nel territorio nazionale”, evidenzia insieme intenzioni condivisibili e proposte operative non condivise; prescindendo in questa sede da una serie di fallacie relative alla terminologia (una legge che entri nel merito delle metodologie applicative non può non tenerne conto) per cui si enuncia più volte “malattia mentale” (come noto nel caso migliore si è in presenza di sindromi o disturbi, evidenziando la terminologia medica la provvisorietà delle conoscenze circa tale fenomeno dalle numerose etichette diagnostiche) e si definiscono “obiettivi” quelle che sono mere strategie, si evidenzia il senso pervasivo che il testo riveste e in cui si enunciano principi e criteri (e questo ci sta) e insieme modalità operative e specifiche metodologie rispetto alle quali produrre una omogeneità a livello nazionale per legge e non per elezione ed efficacia (come invece avviene in ogni campo della medicina).

In particolare, la proposta degli Utenti Familiari Esperti, tentativo di generare ricapacitazione e di ridurre l’asimmetria tra operatori e cittadini, sul modello della a me ben nota metodologia dell’auto aiuto e del metodo Hudolin come sviluppato negli scorsi trent’anni, pone criticità quando la si collochi all’interno di un sistema istituzionale e non in semplice relazione di cooperazione; come ricordato da Luigi Benevelli, tutto il mondo psy e in particolare la psichiatria interpreta un doppio mandato che risponde da una parte agli obiettivi di salute dell’utente, dall’altra al mandato del controllo coercitivo e quindi autoritario di antica origine (da Pinel alla legge del 1904 con cui si chiuse ogni dibattito sul no-restraint e l’open door in Italia) così diffuso nel senso comune e che il senso scientifico fatica a contrastare (si pensi a quanto avviene ancora oggi circa la contenzione meccanica sia in spdc, sia nelle rsa nei confronti di persone anziane).

Tale tentativo di mimetizzare l’asimmetria e quindi di nascondere o perlomeno di mimetizzare il ruolo di “chi decide” è disabilitante e generatore di elementi confusivi e rimanda ancora a una sorta di paternalismo medico. Altra cosa è invece la strategia della co-progettazione e della concordance (il testo della p.d.l. parla di “adesione” alle cure: art. 7: “(Condivisione dei percorsi di cura: il patto di cura). 1. Il dipartimento di salute mentale, tenendo conto degli indirizzi forniti dalla Consulta nazionale e dalle consulte regionali di cui agli articoli 15 e 16, adotta strumenti finalizzati a promuovere percorsi di cura fondati sulla condivisione tra utenti, familiari e operatori, ai sensi dell’articolo 1, ad accrescere l’adesione ai trattamenti e a migliorare le relazioni tra utenti, familiari e operatori”), che necessita di ruoli distinti tra chi concorda circa il “patto di cura”; si pone qui in tutto il suo rilievo quanto venga praticato in psichiatria quello che è un obbligo anche deontologico circa l’informazione per il consenso, e ciò anche quando si gestisca la crisi.

Un modello quale quello rappresentato dal testo della p.d.l. escluderebbe ogni altra metodologia esistente o che si produca nel futuro prossimo, come per esempio quella dell’Open Dialogue supportata dalla scienza dialogica, arrogandosi la presunzione di tenere dentro l’universo mondo quale quello che oggi viene configurato come dato e sancito.

Pertanto si valuta il testo insufficiente e non condivisibile per le parti enunciate.

Luigi Colaianni Ph.D.

Laboratorio di Metodologia di Analisi dei Dati Informatizzati Testuali UNIPD

Dipartimento di Neuro scienze e salute mentale, Fondazione Policlinico, Milano.

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