opg_repA un anno dalla data ufficiale che rendeva obbligatoria la chiusura definitiva (31 maggio 2015) – pena il commissariamento delle regioni – di tutti gli ospedali psichiatrici giudiziari, non si è ancora completato il processo di superamento di queste strutture. Intervista a tre esperti

di Sara Ficocelli

Qual è al momento lo stato degli Ospedali psichiatrici giudiziari, detti pure manicomi criminali (Opg) in Italia? A un anno dalla data stabilita dalla legge 81/2014 per la chiusura definitiva di questi istituti (31 maggio 2015) ne rimangono aperti ancora quattro, ma con un numero di persone internate di gran lunga inferiore a quello registrato dalla Commissione Parlamentare di inchiesta nel 2011.

Italia realtà più avanzata tra i Paesi occidentali. “E’ possibile quindi affermare che, sia pur tra mille difficoltà e in un contesto caratterizzato da profonde differenze inter-regionali, la legge sta funzionando – spiega Fabrizio Starace, direttore del dipartimento Salute mentale e dipendenze patologiche dell’azienda USL di Modena – e ciò assume particolare rilievo se si considera che ancora una volta l’Italia rappresenta sotto questo profilo la realtà più avanzata tra i Paesi occidentali. In Gran Bretagna, ad esempio, le strutture psichiatriche giudiziarie non solo non diminuiscono, ma assorbono da sole l’equivalente dell’intero budget che noi destiniamo a tutte le attività per la salute mentale”.

La mancanza di coordinamento tra Regioni. I problemi da risolvere sono invece ancora tanti, secondo Filomena Gallo, avvocato e segretario associazione Luca Coscioni per la libertà di ricerca scientifica: “Attualmente – spiega – permangono criticità legate al diverso livello di coordinamento che nelle singole Regioni è stato raggiunto tra servizi per la salute mentale e magistratura di cognizione e di sorveglianza, situazione da cui derivano provvedimenti contraddittori che generano confusione tra gli operatori. In particolar modo, va presidiato il reale percorso di recupero delle persone in Residenza per l’Esecuzione della Misura di Sicurezza (cosiddette Rems, ovvero strutture sanitarie con pochi posti letto, massimo 20, senza sbarre e senza agenti di polizia, nate in sostituzione degli Opg, n.d.r), che dipende molto dalla capacità di tenuta dei sistemi di cura che le singole Regioni hanno (per cui ad esempio in Emilia Romagna le cose procedono in modo soddisfacente, mentre altrove meno)”.

Nuove strutture manicomiali. Un altro aspetto critico riguarda l’assetto che si è dato la regione Lombardia, che ha semplicemente “trasformato” l’Opg di Castiglione delle Stiviere in moduli Residenza per l’Esecuzione della Misura di Sicurezza mantenendo, anzi incrementando la capienza totale a ben oltre le 200 presenze complessive. Secondo Gallo c’è dunque bisogno di più servizi per la salute mentale e per evitare che al posto degli Opg si ripropongano nuove strutture manicomiali sarebbe opportuno spostare e investire risorse finanziarie e di personale nei servizi del territorio e nei dipartimenti di Salute mentale, per una buona assistenza socio sanitaria e buone pratiche per la salute mentale. “Il Governo dovrebbe intervenire in modo preciso”, afferma. “L’unico dato positivo che è intervenuto il mese scorso è la chiusura dell’area Opg presso il carcere di Secondigliano, Napoli”.

Le Rems come extrema ratio. Ancora quattro Opg su sei, intanto, restano aperti. Questo è il motivo che ha condotto il Governo alla nomina di un Commissario unico per il superamento degli Opg, che dovrà occuparsi soprattutto di Piemonte, Veneto, Toscana e Abruzzo, per non parlare della Lombardia. “Ciò detto – continua Starace – non vorrei che il dibattito si limitasse alla presenza o meno di Rems sul territorio regionale. Ricordo che la legge 81 considera l’adozione di misure di sicurezza detentive l’extrema ratio e affida ai dipartimenti di salute mentale sul territorio la definizione e la responsabilità dei percorsi terapeutico-riabilitativi”.

Ancora 93 persone rinchiuse. A oggi, a causa della scarsa diffusione delle Rems, ci sono ancora 93 persone rinchiuse illegalmente negli ospedali psichiatrici. Da un punto di vista pratico, le condizioni in cui vivono queste persone sono, in media, certamente migliori di quelle riportate dalla Commissione di inchiesta nel 2011 che provocarono l’indignazione del Presidente Napolitano per i trattamenti inumani e degradanti che si praticavano. “Non va dimenticato, però – continua Starace – che si tratta di persone trattenute in luoghi che la legge ha abrogato, verso le quali lo Stato ha l’obbligo di intervenire, anche attraverso l’adozione di misure straordinarie, per porre immediatamente fine alla violazione dell’art.13 della Costituzione”.

Le conseguenze per i familiari. Non risultando studi recenti e attendibili sull’impatto per le famiglie del passaggio dal sistema anteriore, nel quale per effetto di un internamento facilmente ottenibile queste si “liberavano” completamente del familiare con problemi, al sistema attuale, nel quale, nel migliore dei casi, le strutture pubbliche le affiancano e aiutano, lasciando comunque ai familiari il ruolo di primo attore nella gestione del caso. “Sappiamo di un giovane – racconta Bruno de Filippis, presidente della sezione del Tribunale di Salerno – che, nei momenti di crisi o di astinenza dai medicinali a lui necessari, era solito lanciare dalla finestra qualsiasi cosa trovasse. I familiari di conseguenza erano costretti a togliere dalla vista tutti gli oggetti lanciabili e persino a inchiodare a terra i mobili esistenti in casa. Si può immaginare che vita dovesse avere quella famiglia”.

Il problema dell’assunzione delle medicine. E lì, nel cuore della vita domestica, che è stato trasferito il problema, quotidiano e drammatico, della cura e dell’assunzione delle medicine da parte del malato. “Vale a dire – continua De Filippis – che il problema è stato trasferito da una sede che aveva tutti gli strumenti per risolverlo in modo pacifico e continuativo ad una che non ne ha affatto. È fin troppo facile dire che ciò è stato frutto di un’ideologia autoreferenziale, disposta a ignorare la realtà pur di non porre in dubbio sé stessa. Negare l’esistenza della malattia o il fatto che chi ne è afflitto non vuole, di regola, essere curato, nonché negare e far scomparire dalla legge la presunzione di pericolosità di una persona non in possesso delle sue facoltà mentali e l’esigenza che, oltre a curare il malato, anche gli altri debbano essere tutelati e protetti, costituisce un insieme di concetti che, se non avesse conseguenze drammatiche, sarebbe risibile”.

Una giurisprudenza difensiva. Le criticità applicative della legge 81 sono, secondo Starace, generate da un doppio atteggiamento difensivo, in larga parte dovuto ad una carenza di comunicazione: “Una giurisprudenza difensiva – spiega – caratterizzata, in particolare, dall’uso frequente da parte della magistratura della misura di sicurezza detentiva, cui fa da complemento una psichiatria difensiva, che nella generale condizione di sofferenza dei servizi di salute mentale territoriali prova ad esercitare il suo tecnicismo per proteggere ambiti di cura meglio definiti e più rassicuranti”. Di qui l’esigenza, non più rinviabile, di una organica e strutturata relazione tra magistratura giudicante e di sorveglianza, periti incaricati delle valutazioni e dipartimenti di salute mentale, come previsto anche dal regolamento Rems, approvato in Conferenza unificata il 26/2/15. “Certo – conclude Starace – se si considera che alcune sedi di magistratura di sorveglianza sono carenti da anni e che negli stessi ambiti territoriali i dipartimenti di salute mentale stanno subendo accorpamenti e riduzioni di personale, rischiamo di riprodurre una dissociazione tra affermazioni di principio e pratiche reali che induce i singoli a non sentirsi parte di un sistema e ad assumere atteggiamenti difensivi o addirittura ostativi”.

(da Repubblica.it)

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