Girifalco-660x330di Anna Foti

La storia degli ospedali psichiatrici in Calabria è antica e le complesse pagine dedicate al superamento di tali strutture, come anche in altre regioni d’Italia, raccontano di decenni di ritardo rispetto alla legge 180 del 1978 che, su intuizione dello psichiatra Franco Basaglia, impose la chiusura dei manicomi, disciplinando il trattamento sanitario obbligatorio, istituendo i centri di salute mentale da allestire in ogni azienda sanitaria – quali diramazioni territoriali del dipartimento della Salute mentale – prospettando l’integrazione dei servizi pubblici e privati e incentivando l’istituzione di servizi alternativi. Nonostante a oggi si attenda ancora una piena attuazione delle legge Basaglia[2] le persone affette da patologie mentali non sono più condannate all’isolamento, alla coercizione e alla contenzione fisica [3]e l’approccio alla malattia mentale si propone di riguardare le persone effettivamente affette da queste patologie psichiatriche piuttosto che mostrarsi nutrito di ciechi pregiudizi e ignoranza. Un tempo i manicomi divenivano i non luoghi in cui relegare non solo chi aveva bisogno di cure ma anche persone con disagi, persone affette da dipendenze, gli ultimi, i soli al mondo, le mogli adultere o presunte tali, giovani donne criminalizzate per una loro fuga d’amore, persone con gravi forme di disabilità non solo mentale che le famiglie, spesso per vergogna, preferivano abbandonare quasi completamente. Vi era la categoria dei “folli” le cui maglie erano assolutamente larghe e gravide del rischio di ingurgitare persone per nulla ammalate ma solo emarginate o portatrici di un qualche stigma. Il manicomio era un luogo nato per essere un non luogo in cui dimenticare di essere vivi e di essere persone, come fosse una periferia vocata a custodire storie dolorose e difficili, vite interrotte, sogni sospesi al di là di quelle mura, esistenze segnate dalla solitudine, dalla disperazione, dall’esclusione. Una condizione che, nonostante alcune eccezioni, ha segnato anche la storia della malattia mentale nel nostro paese, purtroppo non solo prima della legge Basaglia ma anche dopo. I tempi del superamento dei manicomi furono molto lunghi e complicati. Furono necessari oltre venti anni per l’avvio effettivo di questo delicato processo; nonostante la legge, i manicomi continuarono a restare aperti, spesso in strutture obsolete e senza che fosse chiaro come bisognasse procedere.

La legge Basaglia, riformando l’organizzazione dell’assistenza psichiatrica ospedaliera e territoriale, ha reso l’Italia l’unico paese ad avere compiuto questo passo di civiltà, ad aver abolito i manicomi di fatto luoghi di confine in cui rinchiudere senza possibilità altra.[4]

Il fine della riforma fu quello di difendere la dignità e i diritti delle persone malate, lasciandosi alle spalle logiche esclusivamente custodiali e reclusive. Il cammino di reale applicazione dei principi della legge e di effettiva integrazione con tutti i servizi del territorio e tra assistenza pubblica e privata per il trattamento delle acuzie e la riabilitazione è tuttavia ancora in corso, complici i lenti, tardivi e ancora incompiuti, in termini di effettivo miglioramento delle condizioni, passaggi dai manicomi ai centri di salute mentale, ai servizi ospedalieri di diagnosi e cura, alle strutture private convenzionate e a quelle pubbliche riabilitative.

Anche in Calabria i ritardi sono stati notevoli; nonostante la nostra Regione si fosse già dotata di una legge ad hoc (numero 20) nel 1981, i manicomi di Girifalco, nel catanzarese, e quello di Reggio Calabria furono chiusi molti anni dopo. L’articolo 1 della citata legge regionale sanciva proprio lo scatto di dignità nel fronteggiare la malattia mentale ponendo al centro la persona, definendo “le funzioni e le attività relative alla tutela della salute mentale nella Regione tendenti a: privilegiare l’intervento diretto a prevenire lo stato di disagio psichico e l’insorgenza di ogni forma di patologia psichiatrica; eliminare ogni forma di discriminazione, di emarginazione e di segregazione pur nella specificità delle misure terapeutiche; favorire il recupero e il reinserimento sociale dei disturbati psichici”.

La storia dei manicomi calabresi comincia a Catanzaro nel 1878. Per l’esattezza inizia a Girifalco, scelta per ospitare il manicomio provinciale che avrebbe potuto accogliere fino a 50 “folli” e che nel 1881 iniziò la sua attività con le 21 anime sofferenti censite nella provincia di Catanzaro.

Per questo Girifalco è stata definita dallo scrittore di lì originario, Domenico Dara, “archivio della follia calabrese per oltre un secolo”. A Reggio Calabria, ospite del circolo culturale Calarco alcune settimane fa, lo scrittore ha presentato l’ultimo suo libro “Appunti di meccanica celeste” con il quale ha vinto il premio Stresa e il premio letterario Vincenzo Padula 2017. Ambientato a Girifalco, il romanzo rende anche omaggio alla memoria del paese ancora strettamente legata a ciò che il manicomio ha rappresentato.

La sede del manicomio provinciale di Girfalco fu l’antico convento dei Riformati che all’epoca il Comune, in competizione con le altre amministrazioni, aveva messo a disposizione per l’istituzione manicomiale in Calabria. Arrivato nel lungo arco della sua vita anche a ospitare oltre 1000 degenti, il manicomio girifalcese ebbe nel corso di oltre un secolo oltre ventimila degenti prevalentemente uomini. Domenico Marcello, nel suo volume “Storia del Manicomio di Girifalco” edito da Vincenzo Ursini, medico per lungo tempo del manicomio, riferisce delle anime che popolarono il manicomio calabrese provenienti non solo da tutta la provincia ma anche dall’estero, dalla Grecia, dalle Isole Egee e, addirittura, dai Paesi dell’Africa settentrionale.

Il manicomio provinciale di Girifalco mutò denominazione nel 1927 in ospedale psichiatrico provinciale di Catanzaro. [..]La storia di questo comune catanzarese è legata profondamente alla presenza del manicomio fin dalla fine del 1800. Non a caso il comune di Girifalco è stato a lungo noto come “il paese dei pazzi”. E’ una memoria forte e ancora viva nel borgo catanzarese adagiato ai piedi del monte Covello, a poco più di trenta chilometri dal capoluogo di regione. Qui molti ancora si definiscono con orgoglio figli del manicomio perchè nipoti e figli di persone che, a diverso titolo, lavorarono all’interno della struttura. Questo ancora oggi attesta l’opportunità di sviluppo e il volano economico che il manicomio rappresentò per Girifalco.

La sua lunga vita è stata scandita dalle grandi trasformazioni che riguardarono la psichiatria in Italia; tra i cambiamenti significativi, il passaggio dai sorveglianti agli infermieri, la contaminazione con la psichiatria sociale e il ricorso ad interventi terapeutici e riabilitativi in luogo dell’esclusiva modalità della contenzione fisica. Una storia lunga quella del manicomio di Girifalco che riflette in Calabria le luci e le ombre, le sfide e le difficoltà di un cammino nazionale accidentato e faticoso verso il superamento dei manicomi e di una condizione di degenza degradante, verso la liberazione dal pregiudizio che pervadeva e, ancora oggi seppure in misura diversa, pervade la malattia mentale. Tra i punti luce va ricordata l’esperienza open door di cui il manicomio di Girifalco fu antesignano. Le persone ricoverate, infatti, uscivano ed entravano dal manicomio intessendo anche relazioni con la comunità. In tanti oggi, tra i ricordi di infanzia, rammentano di averli avuti ospiti nelle occasioni di festa, nella propria casa. Esperienza comune anche ad altri manicomi in Italia è stata quella del lavoro all’interno del manicomio; in tanti ricordano una sorta di autogestione – all’interno si faceva il pane, si rilegavano libri, si lavorava la ginestra, si sfornavano mattoni, si allevavano animali. Ciò consentiva di offrire anche servizi all’esterno. Di tutto questo oggi resta solo la memoria di chi, pur se in tenera età, c’era e lo ricorda.

[..] Nelle settimane scorse è stato eseguito un sopralluogo alla presenza del commissario nazionale per il superamento degli Opg, Franco Corleone. Le Rems sono strutture gestite dal dipartimento Salute Mentale e dall’Asp territorialmente competente, istituite per il superamento delle strutture di contenzione sociale destinate ai cosiddetti “folli rei”, persone macchiatesi di un reato e anche affette da patologie psichiatriche, e per porre fine al cosiddetto ergastolo bianco che condannava queste persone a rimanere internate per periodi superiori alla pena comminata. Gli Ospedali psichiatrici giudiziari (Opg) o manicomi criminali, aboliti nel 2013 con due proroghe per la chiusura slittate al 2014 e al 2015, ad oggi sono sostituiti da queste strutture denominate Rems. In Calabria anche questo cammino ha richiesto tempo. Non essendoci mai stato in Calabria un Opg, i cittadini calabresi, autori di reato ritenuti socialmente pericolosi, afferivano in massima parte all’Opg di Barcellona Pozzo di Gotto in provincia di Messina, ultimo manicomio criminale ad essere stato chiuso dopo quelli di Reggio Emilia, Firenze, Mantova, Napoli e Aversa, struttura nel casertano che per prima fu istituita in Italia nel 1876). [..] La storia del manicomio è adesso raccontata nel documentario uscito quest’anno e che nel suo titolo richiama le parole che si leggevano all’ingresso del manicomio: “Sanusegredieris”, “Uscirai sano”. Diretto dalla girifalcese Barbara Rosanò e da Valentina Pellegrino, il documentario, prodotto dall’associazione culturale “Kinema” con la partecipazione di un cast di attori calabresi, è stato già proiettato in diverse località. Esso ha partecipato allo “Sguardi Altrove Film Festival” di Milano e alla selezione dei David di Donatello.

Un progetto promosso dall’amministrazione comunale impegnata a preservare la memoria storica del legame del manicomio con il territorio. Tra i sostenitori anche la Calabria film commissione che ha dato un contributo per la distribuzione.

La storia manicomiale approdò nel 1914 anche a Reggio Calabria con l’istituzione di un altro manicomio provinciale che nel 1932 divenne Ospedale psichiatrico provinciale e nel 1967 ospedale neuropsichiatrico. Inizialmente la struttura prevista con decreto nel 1906 avrebbe dovuto sorgere a via Borrace. Poi il sisma del 1908 travolse anche questo progetto e la nuova collocazione fu la zona panoramica dei piani di Modena. Il manicomio entrò in funzione nel 1932 e venne chiuso agli inizi degli anni Novanta dopo circa sessanta anni di attività. Sei decenni in cui, tuttavia, il progetto iniziale di colonia agricola per la rieducazione delle persone ricoverate lasciò il posto a un lager dove ad essere rinchiusi non furono solo malati mentali ma anche persone disabili, abbandonate ed emarginate. Un’umanità sofferente di cui si prese cura anche don Italo Calabrò, l’amico degli ultimi e dei poveri, con i giovani volontari ai quali faceva da guida. Dal 1994, laddove sorgeva il manicomio, ha sede la scuola allievi carabinieri “Fava – Garofalo” di Reggio Calabria.

Attraverso la documentazione presente presso l’archivio di stato di Reggio Calabria è possibile ricostruire la storia del manicomio reggino. Le corrispondenze custodite testimoniano anche come il disagio psichico dei congiunti era vissuto dai familiari fino al secolo scorso. Interessanti sono le carte relative al progetto del manicomio, nato per accogliere e rieducare e non per internare e isolare. Degne di nota anche documentazione processuale e le perizie.

Tutti tasselli di un cammino di civiltà che ancora è in corso, nel nostro paese come nei nostri territori, e il cui traguardo di accoglienza e umanizzazione è un’irrinunciabile conquista di dignità.

Memorie. Periferie dei luoghi e della mente, appunti da Girifalco e Reggio Calabria[1]


[1]L’Stril.it quotidiano calabrese dal 2006.

[2]vedi il DdlS2850/17 “Disposizioni in materia di tutela della salute mentale volte all’attuazione e allo sviluppo dei principi di cui alla legge 13 maggio 1978, n. 180” presentata al senato lo scorso settembre anche su iniziativa di questo Forum

[3]vedi la campagna nazionale per l’abolizione della contenzione “..e tu slegalo subito

[4]Dal maggio 2014 anche gli Opg, ospedali psichiatrici sono chiusi. l’ultimo internato è uscito dall’Opg di Barcellona Pozzo di gotto lo scorso 27 gennaio. vedi l. 81/2015

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