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La passione per il calcio e per la politica è l’espediente narrativo che permette all’autore, Carlo Miccio, mediatore culturale ch vive a Latina, di collocare la sua storia amorosa e dolorosa. Sullo sfondo Berlinguer, l’avanzata del Partito Comunista,  i drammatici turbamenti di quegli anni, come pure le inimmaginabili riforme che toccano proprio la delicata condizione della malattia mentale.

Giugno 1975: la travolgente avanzata elettorale del PCI di Berlinguer minaccia di sconvolgere l’ordine politico e sociale dell’intero paese. Per Sebastiano La Rosa, quarant’anni e una diagnosi di Depressione Bipolare Schizoaffettiva, si profila il peggiore degli incubi: un paese in mano ai barbari che bruceranno chiese e sequestreranno case. Una paura capace di spingerlo nel baratro psicotico sotto gli occhi di suo figlio Marcello, dieci anni, che la realtà la decifra solo attraverso il gioco del calcio. E che al significato della parola comunismo, e al senso vero delle paure di suo padre, ci arriverà scoprendo le meraviglie del calcio totale: un modulo perfetto praticato dalla nazionale olandese sotto la guida del suo rivoluzionario condottiero, il compagno Johan Cruyff. Inizia su un campetto di calcio di paese un cammino di trasformazione che porterà negli anni quel ragazzino a trovare la maniera per gestire l’ingombrante presenza della malattia paterna e le sue stesse reazioni emotive davanti alla paura e al pericolo.

Il calcio suggerisce il titolo. Dicono infatti le regole del calcio che tra il giocatore d’attacco e la porta avversaria deve essere sempre presente, oltre al portiere, almeno uno dei calciatori avversari. Se non viene soddisfatta questa condizione, si va in fuori-gioco, si va fuori. La trappola del fuorigioco è sempre in agguato. La presenza dell’altro è la condizione essenziale perché il gioco possa accadere. La presenza dell’altro tanto cruda quanto necessaria, schietta. Come schietta e diretta non può che essere, di riflesso, la narrazione incalzante del frantumarsi delle dinamiche familiari di fronte alla malattia. Un effetto domino. Un susseguirsi di reazioni a catena.

Il calcio diventa anche metafora e permette così al lettore di accostare il Trattamento Sanitario Obbligatorio al tempo supplementare di una partita. Come dire: se non si è arrivati ad alcun dunque, occorre una possibilità di gioco in più, un nuovo rilancio della palla, un tempo ulteriore.

Ogni volta che c’era un ricovero, i medici mi chiamavano e mi chiedevano di convincerlo a rimanere il più a lungo possibile per farsi curare per bene. Io a volte ci riuscivo e a volte no, e alla fine lui s’incazzava quasi sempre e diceva che io ero d’accordo con i dottori per tenerlo rinchiuso lì dentro contro la sua volontà. Come avevano fatto le Brigate Rosse con Moro, prima di ammazzarlo

racconta Carlo Miccio/Marcello.


Si arriva così al cuore pulsante del testo, ovvero l’ovvia e imprescindibile constatazione che nessuno si salva da solo. In fondo è un’affermazione tanto semplice quanto difficile a realizzarsi: una persona che inizia a star male avrebbe bisogno di tutti, di un collettivo che la sostenga, come fa il Collettivo Olandese in ogni suo passaggio o come i paesani pugliesi che circondano, abbracciano, sostengono come in un formidabile collettivo la tarantolata.

I risultati dei campionati di calcio di quegli anni si incrociano con la speciale stagione di Berlinguer e fanno da sfondo all’intenso quanto difficile rapporto padre-figlio. Una relazione sempre in bilico, condizionata dai repentini cambiamenti di umore del padre che, mentre addolora e interroga il figlio, riesce a donare momenti di straordinaria felicità quando, in un momento di irrefrenabile maniacalità, riesce a far costruire l’agognato campo di calcio accanto alla chiesa del paese.

È l’impotenza, l’incapacità di rendersi docilmente e dolcemente utile nei confronti di un padre che deve essere curato a segnare i punti più delicati del libro: un voler fare e non voler essere annientati ab initio dagli indugi burocratici e amministrativi della legge psichiatrica appena approvata negli anni del racconto.

La malattia mentale che irrompe in una famiglia devasta e interroga. Non riuscire a capire di cosa soffra esattamente tuo padre, al di là della diagnosi, non riuscire a essergli veramente d’aiuto, coincide un po’ con l’ammalarti anche tu. Un fatale autogol appunto, se le circostanze della vita, i suoi percorsi impervi e scoscesi, faranno sì che, per ironia della sorte, quegli stessi passi nei circuiti della psichiatria rischiano di essere ripercorsi anche da Marcello. E che forse, per ragioni di ordine alfabetico, un giorno il suo fascicolo sarà conservato a fianco a quello di suo padre negli archivi della psichiatria.

Con La trappola del fuorigioco Collana 180 vuole parlare non solo a chi si occupa o ha interesse di questioni legate alla psichiatria o alle malattie della mente, ma a tutti. Il tabù e lo stigma della malattia mentale incontrano con questi testi una neutralizzazione progressiva alla stregua di qualsiasi altro tema oggetto di narrazione e trattazione letteraria. Oggi, grazie a Carlo Miccio e al suo racconto, che appassiona anche calciofili e non, molti avranno modo di entrare in questioni altre e apparentemente distanti dal calcio, dalle sue regole e dal fuorigioco.

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