virusDi Alberto Fragomeni

Mi chiamo Alberto Fragomeni e, tra le cose che faccio, ormai da diversi anni lavoro in una cooperativa sociale dove impaglio le sedie e restauro mobili assieme ad altre persone con fragilità simili alle mie. Nella cooperativa ci sono anche altri laboratori, e in uno di questi ci lavora un tizio simpatico, sui sessanta, dallo sguardo intenso che a guardarlo sembra serissimo, un uomo d’altri tempi. Finisce le sigarette in tre, massimo quattro tiri, e anche a tavola è piuttosto vorace. Lo vedo solo un giorno alla settimana, durante la pausa di metà mattina e a quella del pranzo, quando andiamo in una trattoria lì vicino. Ebbene, questo signore è assediato da dubbi paurosi, che farebbero uscire di senno i più. Per anni l’ho sentito condividere queste sue preoccupazioni con chi gli stava attorno e ho ascoltato le rassicurazioni che da loro gli provenivano, i no no che tra l’altro sembravano convincerlo immediatamente. Poi, un giorno, mi sono reso conto che queste domande erano, per un motivo o per un altro, tutte meravigliose. All’improvviso mi è parso sciocco che tutti noi, gli altri utenti e gli operatori, avessimo finito per considerarle ovvie, pur nel loro continuo rinnovarsi. Era uno spreco. Ho deciso allora di prenderne nota. Non sapevo cosa ne avrei fatto, se mai ne avessi fatto qualcosa. Ecco, forse ora è arrivato il momento di farne qualcosa. Ora che in tutta Italia, e nella mia città, Bergamo, in particolare, la paura è una sola, quella del virus, e il dubbio è uno solo, quello di essere infetti. Propongo un piccolo elenco di ciò che tocca la coscienza di un genio creativo, un virtuoso delle angosce legate al corpo. Che però, ci tengo a precisare, come ogni grande Maestro esercita il suo talento nella massima tranquillità. Infatti, nonostante le enigmatiche immagini che gli si presentano alla mente, mantiene il sangue freddo, lui.

Non so se lo rivedrò più, questo signore, dato che non so se, passato il casino, la cooperativa riaprirà. Mi riferisco alla questione economica, alla crisi che ci travolgerà, ma non solo. Chissà che ne sarà della salute mentale dopo che ci siamo scoperti tutti pazzi fissati fobici e paranoici.

Riporto le domande nell’ordine in cui le ho sentite pronunciare, raggruppate secondo il giorno (tranne le prime, che non avevo avuto ancora questa idea), e chiudo con un breve dialogo tra me e lui, avvenuto non so di preciso quando, e che non c’entra molto con le paure relative al corpo, ma che trovo comunque bellissimo:

C’ho i denti per terra?

Ho un pugno qui sul petto?

C’ho una proboscide di elefante?

Sono sotto terra?

C’ho una biscia qua?

C’ho un coso grigio sotto i piedi?

Va bene la mia lingua?

C’ho un fuoco che sale su da un piede?

La mia testa va bene?

Sono qui vero, non da un’altra parte…?

C’ho delle spalle qua?

C’ho addosso una signora?

C’ho le mani sotto ai piedi?

C’ho la porta sui piedi?

(Toccandosi la bocca) Ho un occhio qui?

Ho gli occhi di un altro?

Vado bene io?

(Toccandosi lo stomaco) Ho uno spigolo qui?

(Toccandosi la tasca dei pantaloni) C’è una vipera…c’è una biscia?

La mia mano sinistra va bene?

(Toccandosi in mezzo alle gambe) Ho un toro qua, la testa di un toro?

(Mentre mangia) C’è del veleno di vipera?

Ho un orso qui?

Mi hanno toccato il collo? C’è qualcuno che tocca il collo, ne sai qualcosa?

Posso accendere una sigaretta o c’è una cicala?

C’è un muro colorato addosso a me?

(Toccandosi la bocca) Ho un cane qui davanti?

(Toccandosi il fianco) C’è un cane bianco che mi ha sbranato qui?

C’ho delle palline sotto i piedi?

C’ho un microfono davanti alla bocca?

Ho gli occhi chiusi?

C’ho un dito che si arrotola così su sé stesso?

(Mostrando il dorso della mano) C’ho un cagnolino qui?

Sono rimasto davanti all’Atalanta Store?

C’è odore di cane a pelo lungo?

La mia lingua va bene?

Ho digerito: la mia pancia va bene?

(Toccandosi la nuca) Ho una testa qui dietro?

(Toccandosi ancora la nuca) C’ho qua tutto spiattellato?

C’ho una pentola sulla schiena?

C’è un elicottero?

(Toccandosi una gamba) C’ho una lingua qua, sulla pelle?

(Toccandosi la bocca) Ho un pesciolino qui?

(Al ristorante) C’è una signora col brasato?

Ho la lingua di fuori? Non la mia, quella di mia mamma…?

Ho una testa qui sul torace?

Ho qualche osso fuori posto?

Ho il naso nel gelato…o…il gelato nel naso?

(Con una brioche confezionata in mano) C’è una lucertola qui dentro?

(Toccandosi i jeans) C’ho delle strisce da zebra…?

C’ho la testa nella pancia?

(Al ristorante) C’è un batuffolo nel bicchiere?

(Con la bocca piena) Ho un naso in bocca?

(Al ristorante) C’ho un filo attorcigliato attorno allo stomaco?

(Lui) C’è la paletta lì accanto alla scopa?

(Io) Sì, perché, ti servono?

(Lui) No.

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