jfkCommunity Mental Health

Di Allegra Carboni

John Fitzgerald Kennedy dimostrò un’insolita sensibilità nei confronti del tema della salute mentale, con ogni probabilità acuita da una complicata situazione familiare. Sua sorella minore, Rosemary, nacque infatti con una disabilità mentale a causa di complicazioni durante il parto e all’età di 23 anni fu sottoposta a un intervento di lobotomia che la costrinse a trascorrere il resto della vita in istituti psichiatrici. Nell’ottobre del 1963, il giorno di Halloween, JFK approvò una serie di audaci finanziamenti sotto il nome di Community Mental Health Act per la costruzione o l’adeguamento di strutture destinate a diventare nuovi community-based centers. Ciò che è successo il 22 novembre 1963 a Dallas ha fatto sì che quella restasse una semplice idea, ma portò anche Basaglia a recarsi negli Stati Uniti nel 1969, per vedere con i propri occhi che cosa stava effettivamente succedendo laggiù, sull’onda della traccia lasciata da Kennedy. Qualcosa sulla scia del Community Mental Health Act si è mosso comunque, dopo il 1963, ma c’è da dire che in realtà si è trattata di una lunga serie di pasticci, basata in buona parte sulla convinzione – espressa in precedenza dallo stesso Kennedy – che alcune sostanze come la clorpromazina potessero risolvere qualunque problema e sul potere miracoloso di alcuni antipsicotici. Come racconta Powers, nella maggior parte dei casi il dirottamento dei pazienti psichiatrici verso la comunità significò un dirottamento verso le strade[1], spesso sulla via per il carcere.

Nell’immagine: John Fitzgerald Kennedy / AP Photo/Bill Allen

[continua]


[1] Ron Powers, Chissenefrega dei matti, Trento, Edizioni Centro Studi Erickson, 2018, p. 217

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