locandina-abitare-si-puo%cc%80Il 24 novembre 2020 il Tribunale di Sassari ha assolto dall’accusa di avere realizzato strutture sanitarie abusive gli operatori del Centro di Salute Mentale di Sassari che avevano sostenuto, nel corso del 2010, la realizzazione di due progetti di abitare condiviso.

La vicenda prende avvio mercoledì 6 luglio 2011. Alle otto del mattino, i carabinieri dei N.A.S. arrivano in due appartamenti in cui vivono cinque donne e quattro uomini con storie difficili di sofferenza mentale e li trasferiscono d’imperio in strutture residenziali psichiatriche che il Dipartimento di Salute Mentale di Sassari ha ubicato in palazzine dell’ex-ospedale psichiatrico. Le nove persone erano regolarmente in carico al Centro di Salute Mentale, che aveva promosso e seguito il loro percorso di vita autonoma, ed erano sostenute 24/24 ore da una cooperativa sociale con cui avevano firmato, singolarmente, un contratto di assistenza generica per la gestione della vita quotidiana. Le persone residenti nei due appartamenti avevano un regolare contratto d’affitto, stipulato personalmente o dai loro tutori legali, eppure i N.A.S., con l’avallo della magistratura, considerano queste abitazioni “residenze sanitarie abusive”, e alcuni operatori del Centro di Salute Mentale e della cooperativa vengono accusati di averle, senza autorizzazione, realizzate. Senza essere mai sentiti dall’autorità giudiziaria competente, quattro psichiatri, un’assistente sociale e un educatore professionale vengono così rinviati a giudizio con accuse pesanti: dalla concussione all’abbandono di incapace e all’utilizzo improprio di risorse sanitarie. Dopo 9 anni, numerose udienze e testimonianze e una perizia, il 24 novembre2020 il Tribunale assolve pienamente tutti gli imputati e riconosce la natura di abitare condiviso di quel progetto che l’inchiesta della magistratura ha comunque distrutto.

Questa vicenda è un’occasione importante per molte ragioni: per riaffermare il diritto all’abitare delle persone con sofferenza mentale, delle persone anziane e con disabilità; per denunciare i pregiudizi che caratterizzano a tutt’oggi l’operare di magistrati e forze dell’ordine e le cattive pratiche e le culture manicomiali di non pochi operatori psichiatrici e amministratori pubblici; per evidenziare i costi economici e sociali delle strutture che istituzionalizzano le persone e le disabilitano; per segnalare ancora una volta i numerosi e sperimentati esempi di servizi e di politiche locali che creano spazi di vita, socialità, dignità e diritti, e per chiedere che questi esempi diventino finalmente indirizzi politici e di governo.

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