2miliardiDi Jessica Masucci

[articolo pubblicato sull’Espresso il 22 marzo 2021]

Da vent’anni non investiamo una quota adeguata del budget sul disagio psichico. E ora servono più psicologi nelle scuole e nelle asl

Se si cercano le parole salute mentale nelle 168 pagine del Piano nazionale di ripresa e resilienza del 12 gennaio scorso, il Recovery plan italiano, non si ottiene alcun risultato. Eppure attivisti globali e locali, familiari dei pazienti, psichiatri, psicologi, tutti coloro che a vario titolo si occupano di questo tema sono d’accordo: investire nel benessere mentale dei cittadini è necessario per la ripresa sociale ed economica delle comunità, soprattutto dopo la pandemia di Covid-19. E conviene, perché fa risparmiare.

La questione nel dibattito internazionale è stata posta già a fine gennaio 2020, quando l’organizzazione United for global mental health ha lanciatola campagna #Timetoinvest durante il World economic forum di Davos, per sensibilizzare i leader mondiali sul tema.

L’Italia da oltre vent’anni non investe una quota adeguata del suo budget sanitario per la salute mentale. Nel 2001 i presidenti delle Regioni si sono impegnati a destinare almeno il 5 per cento dei fondi sanitari regionali alla sua tutela. Da allora quell’obiettivo non è mai stato raggiunto: la media nazionale è inchiodata ancora oggi a poco più del 3,5 per cento.

«Francia, Germania, Regno Unito stanziano almeno il 10 per cento e in alcuni casi vanno oltre», sottolinea Fabrizio Starace, presidente della Società italiana di epidemiologia psichiatrica, che nel 2020 ha fatto parte della task force di Vittorio Colao per l’emergenza coronavirus. In quella sede aveva proposto un incremento del budget di almeno il 35 per cento, pari a circa un miliardo e mezzo di euro. Con il Recovery fund in arrivo dall’Unione europea, si potrà fare di più per un settore della sanità pubblica cronicamente sotto finanziato? «Sarebbe veramente ingenuo attendersi che una iniezione di denaro in un sistema che non funziona possa risolverne i problemi», ammonisce lo psichiatra, ricordando che bisogna verificare cosa funziona e cosa va cambiato in ogni Regione e aggiornare il Piano di azioni nazionale per la salute mentale, redatto nel 2013.

L’arrivo, sette anni dopo, della pandemia ha reso evidenti le contraddizioni presenti nel sistema. Valerio Canzian, presidente di Urasam, il coordinamento delle associazioni di familiari di pazienti psichiatrici in Lombardia, racconta come negli ultimi mesi sia stata ancor più complicata la vita di queste famiglie. Nei periodi di massima criticità sono mancate le visite a domicilio, i centri diurni sono stati parzialmente o del tutto chiusi, era difficile per un parente visitare chi si trovava in una comunità ed è aumentato l’uso dei farmaci. L’esigenza principale, secondo chi vive su questo fronte della trincea della salute mentale, è assumere più infermieri, più psichiatri, più educatori, più psicologi e soprattutto passare «da una cura di attesa – spiega Canzian – a una cura di iniziativa», con i medici che, invece di aspettare che i pazienti psichiatrici vadano in ospedale, li raggiungano dove vivono. Ma per inviare medici e infermieri a casa di chi ha bisogno, non serve solo più personale, servono gli adeguati mezzi di trasporto per i Dsm, Dipartimenti di salute mentale.

Il rinnovo del parco auto fa parte della lista di priorità per gli investimenti nel settore, anche in vista dell’arrivo degli aiuti europei, stilata dal presidente della Società italiana di psichiatria (Sip), Massimo Di Giannantonio. Oltre ai mezzi per i Dsm, l’elenco include i sistemi informatici e di telemedicina per mantenere il contatto con il paziente anche quando non è possibile visitarlo in presenza e l’edilizia sanitaria. La Sip ha inoltre stimato che servirebbe assumere 800 professionisti della salute mentale – non solo medici – perché i Dsm garantiscano ai cittadini almeno i livelli essenziali di assistenza previsti. Nel complesso, secondo Di Giannantonio, servono 2 miliardi e mezzo di euro per rimettere in moto la psichiatria italiana. «Il mancato finanziamento corretto della salute mentale – aggiunge – porta a un aumento dei casi clinici, un peggioramento del loro decorso e un aumento dei costi che se fossero affrontati a tempo debito avrebbero un esito assolutamente migliore». Non finanziare significa anche non diagnosticare in tempo: sono circa 837mila i pazienti dei Dsm (secondo i dati dell’ultimo rapporto del ministero della Salute, riferiti al 2018), ma ci sarebbero altre 300mila persone con disturbi psichiatrici gravi non ancora intercettate dal sistema. E tutti questi numeri riguardano solo una parte degli italiani che presentano un disagio mentale.

Uno dei problemi con i quali ci si confronta quando si parla di questo tema è infatti quello dei dati. Quelli disponibili, certificati dai rapporti annuali del ministero della Salute, fanno riferimento, appunto, all’assistenza psichiatrica. A questo calcolo sfugge tutta la fascia di popolazione che soffre di un malessere psicologico che può essere affrontato con delle sedute di psicoterapia private, possibili solo per chi se le può permettere economicamente.

Proprio nel 2021 è difficile pensare che la ripresa anche economica di un paese possa prescindere dall’aiutare le persone a stare meglio. «Vedersi è la cosa che è mancata di più, soprattutto per coloro che già hanno pochi momenti di contatto con altre persone», racconta Cristina Ardigò, presidente dell’associazione milanese di pazienti psichiatrici e loro familiari Aiutiamoli. Quest’ultimo anno in tanti li hanno cercati anche via Facebook per chiedere aiuto, persone che prima non avevano mai avuto contatti con loro.

Secondo un’indagine condotta dall’Istituto Piepoli per il Consiglio nazionale dell’ordine degli psicologi (Cnop), lo “stressometro” degli italiani lo scorso 8 marzo ha segnalato che solo il 16 per cento dei cittadini si sente poco stressato, gli altri avvertono livelli di stress medi (46 per cento) oppure alti (38 per cento). «Occorre un uso pubblico della psicologia oltre a quello privato», rimarca David Lazzari, presidente del Cnop. Il rappresentante degli psicologi è stato ascoltato il 27 gennaio scorso in audizione dalla commissione Affari sociali della Camera dei deputati sul Pnrr, dove ha proposto dei voucher per consentire a chi non può permetterselo un certo numero di sedute di psicoterapia privata. Ma ci sarebbe, a suo dire, soprattutto bisogno di intervenire su sanità, scuola, lavoro, welfare.

Stiamo parlando di assunzioni di psicologi nelle Asl, che da 5.000 dovrebbero arrivare a essere almeno 15.000; più psicologi nelle scuole, dove ne servirebbero circa 2.000 in più e quelli che ci sono dovrebbero poter fare più ore; di istituire presidi psicologici nei centri per l’impiego e punti di consulenza a livello provinciale per le piccole e medie imprese. «Se si aiutano le persone in tempo, si impedisce che lo stress degeneri e si trasformi, con ulteriori costi a carico del Sistema sanitario nazionale», spiega Lazzari, il quale aggiunge che «mediamente ogni euro speso per interventi psicologici ne produce due di risparmio». Ma il guadagno nell’investire sul benessere delle persone non è solo quello economico. La risposta del rappresentante delle associazioni di familiari, Valerio Canzian, è senza esitazioni: investire in salute mentale consente di «prendere la sofferenza là dove nasce».

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