Quando è nata l’idea della borsa lavoro e qual è il suo obiettivo?

La borsa di formazione lavoro è nata nei primi anni Ottanta, nel nostro Dipartimento, riconvertendo parte del fondo sussidi destinati agli utenti in borse di formazione lavoro. E’ stato ritenuto indispensabile fare in modo che soprattutto la fascia di utenza giovanile non venisse incanalata in una logica assistenziale, ma venisse inserita piuttosto in un progetto più dinamico quale è stato ed è tuttora la borsa di formazione lavoro.

Attualmente quante borse lavoro ci sono?

Attualmente sono aperte centonove borse lavoro: trentasette donne e settantadue uomini. Guardando le statistiche, notiamo però come il numero delle borse lavoro del 2010 sia diminuito rispetto agli anni passati. Forse anche perché abbiamo cercato di aumentare per tutti il contributo economico che così si è messo in pareggio con le borse lavoro erogate dagli altri servizi. Abbiamo dunque dovuto ridurre il numero delle borse perché il budget è rimasto invariato. Diverse borse di lavoro sono state anche spostate in Provincia, ente con il quale abbiamo messo a punto un protocollo interessante rispetto a percorsi formativi che prevedono l’utilizzo della L.68, e questi borsisti vengono seguiti nel loro percorso da entrambi gli enti.

La borsa lavoro può sfociare in un inserimento lavorativo?

 

Deve farlo, perché il lavoro è un diritto e ovviamente lo è anche per le persone con problemi di salute mentale. Il servizio pubblico nelle sue diverse articolazioni deve darsi come obiettivo quello di costruire, promuovere e difendere tale diritto. Ritengo che non ci può essere salute mentale se questo diritto non viene riconosciuto. Bisogna costruire percorsi e contesti nei quali questo diritto possa essere esercitato. Inoltre, quando parliamo di diritto al lavoro, ricordiamo che con esso intendiamo lo svolgimento di un’attività reale capace di produrre ricchezza, responsabilità e gratificazione per la persona che la compie.

Con l’attuale situazione politica /economica del nostro paese, cosa si rischia ? Verranno ridotte le borse e le politiche di inserimento lavorativo?

Intorno alle politiche della salute mentale, e in particolare le borse di lavoro, ci sono segnali poco incoraggianti. Nel DSM sono infatti decisamente diminuiti gli inserimenti lavorativi: siamo passati dalle ventidue assunzioni del 2008 alle diciotto del 2009, ed infine alle undici del 2010. Va ricordato che l’inserimento lavorativo delle persone con problemi di salute mentale non rappresenta soltanto un diritto che deve essere rispettato, ma un modo intelligente di far emergere le potenzialità e le risorse presenti in ognuno, e quindi deve essere più che mai potenziato. Purtroppo ci troviamo oggi più che mai di fronte a politiche poco lungimiranti, che tendono a emarginare e a escludere troppe persone. Il risultato è quello di impoverire il tessuto sociale e quindi l’economia del territorio. Ritengo che far bene salute mentale significhi in primo luogo costruire e praticare la cultura dell’inclusione, e questo nell’ interesse di tutti. E’ evidente che le politiche di incentivazione che possano consentire un assorbimento dei borsisti in cooperative e aziende con regolari contratti di lavoro sono venute meno; mi auguro tuttavia che per il futuro possa rimanere intatto il budget aziendale destinato all’erogazione delle borse di formazione lavoro.

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