Responsabilità sociale d’impresa, contrattazione: quale relazione?

di MANLIO TALAMO

Si ha la sensazione che – in maniera molto prudente e abile – si stia aprendo una campagna per l’abrogazione delle faticose conquiste legate alla legge Basaglia di cui si è celebrato (speriamo non ultimo!), l’anniversario, il trentesimo.

Si fa perno sulla cosiddetta pericolosità sociale del malato mentale e sulla insostenibilità (ovvia) da parte delle famiglie, spesso, a convivere con familiari gravemente disturbati. Se passa il messaggio che la 180 è nefasta, ovvio che debba essere abolita!

Sono state presentate due proposte di legge, una a firma dell’on. Ciccioli (An) e l’altra a firma del senatori Carrara, Bianconi e Colli (Pdl). Tendono entrambe a rafforzare e prolungare il ricovero coatto. In quella del Senato si ripropone un processo di rimanicomializzazione, correlando il dissenso, non validamente espresso (sic!) dai malati di mente, con un intervento obbligatorio finalizzato al controllo soprattutto comportamentale dei malati stessi, controllo che, quando non possa ottenersi mediante idonee “terapie”, deve essere attuato in termini di custodia, con un ragionamento, del tutto manicomiale, per cui se i comportamenti malati non sono “guariti” dal trattamento, allora s’impone la prosecuzione di quello stesso trattamento (già risultato inefficace!) tenendo il malato rinchiuso.

“Dove non arrivano le cure (così in un commento al disegno di legge, trascritto dal sito del senato, come le precedenti informazioni) arrivano dunque i muri di recinzione, ovviamente solo ai fini di una pretesa tranquillità sociale”.

Probabilmente la Cisl può avere un suo ruolo costruttivo e innovativo anche su questo versante sociale,

perché “Diventa allora un obiettivo strategico di questa fase storica l’elaborazione sul piano culturale, economico e sociale di un “nuovo umanesimo del lavoro” articolato sull’etica della responsabilità e dell’impegno di ogni persona nel proprio lavoro, sulla priorità assoluta che la sicurezza e la salute sia sempre salvaguardata attraverso la prevenzione e la tutela , sull’esercizio attivo dei diritti contrattuali e delle tutele sociali per i lavoratori, sulla cultura della partecipazione dei lavoratori nell’impresa in cui operano” (dal documento per il dibattito congressuale Cisl, nel capitolo La strategia riformatrice della Cisl).

Per quanto riguarda il diritto al lavoro dei disabili, la legge n. 68 del 1999 ha lo scopo di promuovere l’inserimento e l’integrazione lavorativa delle persone disabili nel mondo del lavoro attraverso servizi di sostegno e di collocamento mirato. In particolare, l’art. 2 ha una formulazione molto ampia e contiene l’indicazione di interventi per l’inserimento del disabile e di azioni positive per la soluzione dei problemi.

Al di là, quindi dei presupposti consistenti negli obblighi di assunzione e delle previste agevolazioni sia in forma fiscale e contributiva, sia in forma di rimborsi.

Sembrerebbe che la legge 68 abbia introdotto un sistema piuttosto avanzato, ma sappiamo però che raramente trova effettiva e concreta applicazione, soprattutto per coloro che, secondo la lettera della legge “sono affetti da un grave handicap mentale o psichico”.

Già la stessa previsione di legge potrebbe dare argomenti alle RSU, titolari del potere contrattuale aziendale, per stipulare accordi per l’attuazione delle assunzioni obbligatorie, previa predisposizione delle “azioni positive” previste dall’art. 2 della legge.

Ma ancora maggiori possibilità contrattuali possono trovarsi nella visione più partecipativa dei lavoratori alla vita, alle scelte e alle prospettive aziendali, che non è ancora diventata patrimonio comune e condiviso del movimento sindacale italiano, ma attraverso il quale possono ottenersi, con la contrattazione aziendale, risultati ulteriori quando vengono aperti spazi significativi dalla contrattazione nazionale, nei cui accordi possono trovare definizione alcuni principi e linee strategiche di futuro intervento, che predispongono gli strumenti per la specifica contrattazione aziendale.

Mi riferisco, qui, alla formulazione contrattuale, già presente in molti CCNL, della responsabilità sociale d’impresa, che già normativamente viene definita come “integrazione volontaria delle preoccupazioni sociali ed ecologiche delle aziende e organizzazioni nelle loro attività commerciali e nei loro rapporti con le parti interessate” (articolo 2, comma 1, lettera ff) del D. Lgs 81 del 2008.)

La “volontarietà” della previsione legislativa, può diventare e diventa reale e attuabile solo attraverso la contrattazione che può ben riguardare anche più ampie prospettive di effettivo inserimento dei disabili.

In relazione al concetto di responsabilità sociale si sono sviluppati modelli di gestione aziendale innovativi, legati al tema dell’etica. A titolo semplificativo, la Social Accountability (SAI), organizzazione internazionale nata nel 1997, ha emanato la norma SA 8000 che certifica se e quanto nelle aziende siano assicurate condizioni di lavoro che rispettino la responsabilità sociale; certificazione applicabile ad aziende di qualsiasi settore, per valutare il rispetto da parte delle imprese dei requisiti minimi in termini di diritti umani e sociali, con riferimento alle convenzioni OIL, alla Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, ecc.

Tutto questo materiale legislativo e contrattuale può essere la base per proporre, in attuazione della normativa richiamata, la percorribilità di “progetti di vita” cioè non progetti di cura, che appartengono ad altre competenze, ma progetti di inserimento lavorativo, che significa, appunto, laddove possibile, predisporre anche le condizioni ambientali e culturali per l’accoglimento e l’integrazione dei soggetti tutelati. Ma per far questo, occorre conoscere quali sono i progetti percorribili proposti da strutture pubbliche e private, per far sì che le organizzazioni sindacali possano in pratica trasferire alle RSU la necessità e le possibilità concrete di una contrattazione aziendale anche su questo tema. Sono certamente necessari approcci tra strutture pubbliche e private e le organizzazioni sindacali territoriali (confederali e di categoria) per quei progetti che contengano, in un intervento socio-sanitario ampio, il reinserimento o inserimento lavorativo, che possa, come tale, formare oggetto specifico di contrattazione aziendale.

È possibile, anche prevedere nella formazione sindacale dei moduli o dei seminari-laboratorio, in cui nel più ampio tema della contrattazione aziendale, possano inserirsi conversazioni, interventi, incontri, laboratori specifici sulla responsabilità sociale e, all’interno di questa, sull’aspetto dell’inserimento lavorativo dei disabili, che, partendo dagli strumenti legislativi e contrattuali, possa portare ad una miglior definizione e ad una più ampia individuazione degli spazi di contrattazione nell’ambito dell’attuazione della responsabilità sociale d’impresa. Vi sono molte realtà (Asl, fondazioni, associazioni) che cercano di costruire intorno al disabile una “proposta di vita”, che non può essere sconosciuta a un sindacato come la Cisl: potremmo così dare più respiro alla partecipazione e alla rappresentanza delle diversità.

3 Comments

  1. ho ricevuto nella mia posta privata in facebook, questa nota:

    Maurizio Caiazzo 28 maggio alle ore 18.32 segnala
    A me sembra che l’autore non abbia ben chiaro quale sia la fase nella quale viviamo, ed il ruolo che CISL e UIL (ma anche una parte della CGIL) stanno avendo nella destrutturazione del mercato del lavoro e del welfare. Certo l’eventualità che possano essere coinvolti in percorsi di formazione può certamente favorire un loro opportunistico coinvolgimento, ma mi sembra assai improbabile che possano davvero contrastare i nuovi dispositivi di esclusione sociale in atto.
    A me sembra, inoltre, che il forum della salute mentale si stia sempre più chiudendo negli specialismi professionali, abbandonando quell’analisi critica che ha fatto di Basaglia uno dei più grandi studiosi del novecento.

  2. non è mia competenza rispondere sulle scelte del Forum, ma voglio dire (e gli ho detto come risposta):

    Manlio Talamo 29 maggio alle ore 11.26
    be’, come analisi fatta “di corsa” delle relazioni tra le confederazioni e il ruolo di ciascuna di esse, non male per parlarne con gli amici. Ma qui si tenta un’operazione a più lunga scadenza che, senza pregiudiziali, contribuisca anche a far ripartire un necessario percorso unitario, se non su tutto, almeno su ciò che è possibile. Poi, se proprio una proposta vada nella direzione della reinclusione sociale… be’ mi sembra quanto meno insolito e contraddittorio non coglierne le potenzialità di contrasto ad un mercato del lavoro che certo frantuma la classe lavoratrice. Allora che facciamo? Non ci rivolgiamo proprio la parola o cerchiamo di capire che cosa si può fare? A meno che la Cgil da sola non si creda capace di dare qualsiasi risposta. Insomma, non discutiamo delle occasioni contrattuali aziendali che potrebbero, là dove è possibile, offrire spazi di inserimento lavorativo a disagiati mentali, perché le confederazioni sindacali hanno linee diverse? Be’, saranno contenti coloro che potrebbero esser coinvolti in questi piccoli processi di integrazione e ringraziare il nostro severo contraddittore.

  3. Credo che Matteo Caiazzo faccia parte di quei giovani ‘indignati’ che non apprezzano i passi indietro che si sono fatti nel welfare e nel sindacato in generale. Che apprezzi la rivoluzione basagiana, che è basata su uno studi approfondito e costante anche della società, che deve cambiare, perchè ad essa va restituita la persona sofferente. Tutto vero. Si avverte, soprattutto dai giovani studenti di psichiatria, che fanno formazione invitando studiosi della materia da soli, la pren entazionearticoltata e approfondita del pensiero basagliano, perchè tutti me lo richhiaro nel percorso da fare. Ora non si sa bene, neanche i giovani indignatos, sanno cosa fare , se non dire sempre e solo di No. iedono, da tante lettere che ricevo. Mi chiedo solo perchè i nuovi indignatos non comincino a studiare loro non solo Basaglia, ma tutti gli altri che hanno contribuito allora ed ora a sviluppare il pensiero dell’utopia della realtà. Allora, negli anni del movimento basagliano, i giovani andavano a Trieste e Gorizia, offrivano aiuto e contributi di saperi. Anche orabisognafare così, perchè nell’epoca della globalizzazione , qualcosa sarà cambiato no? E allora chiarirsi gli obiettivi, la progettualità della terapia e delll cura della sofferenza.Le vie di relazione con gli altri. Allora il clima era diverso, molto più consapevole e colto. ora bisogna trovare un’altra chiace di interpretazione di proposte.
    Ben vengano le proposte e non solo il no.
    Il Dsm di Trieste sta difendendo fino allo stremo una legge che è minacciata nei fatti, è forse l’unico punto forte che ci è rimasto. Non basta dire che non segue il pensiero basagliano. Non basta, anche se bisogna riproporre e far studiare l’opera di Basaglia.E poi continuare.. Le rivoluzioni a metà si scavano la fossa.

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