letto1Care amiche, cari amici,

è in corso da tempo una grave modificazione delle prassi e delle culture degli operatori della psichiatria di comunità a mantova, indotta dal combinato disposto dell’influenza dell’opg di Castiglione (voluta dall’azienda sanitaria) e di quella della psichiatria dei servizi lombarda e milanese. Questo ha portato a una ripresa delle contenzioni negli Spdc, escluso ancora quello di Mantova, ma con la clausola che un/una paziente ricoverata nell’Spdc di Mantova, è trasferito/a in un altro Spdc (Pieve di Coriano o Castiglione delle Stiviere) per esservi legato/a,

Luigi Benevelli

Gli ex primari: pazienti psichiatrici legati ai letti. Polemica tra psichiatri. Attenasio, Benevelli e Rossi criticano la gestione del servizio: è tornata la cultura del manicomio

(da La Gazzetta di Mantova, 01.08.2012)

Luigi Attenasio, Luigi Benevelli e Giovanni Rossi criticano la gestione del servizio: è tornata la cultura del manicomio.Lo scontro si gioca su un terreno delicatissimo, quello della psichiatria. Da una parte tre figure storiche nella gestione sanitaria della salute mentale, dall’altra gli attuali vertici dei servizi ospedalieri.

Prima la preoccupazione delle associazioni dei famigliari per il turnover eccessivo alla guida del reparto di psichiatria del Poma (tre primari in sette mesi), ora anche l’appello di tre ex primari dell’azienda ospedaliera di Mantova che si sono succeduti negli anni: Luigi Attenasio, Luigi Benevelli e Giovanni Rossi. I tre psichiatri hanno firmato un documento dai toni durissimi, in cui manifestano «tristezza e preoccupazione» per un lavoro mandato avanti per 22 anni e che ora rischia di andare in fumo.

Il riferimento è agli anni tra il 1988 e il 2010, durante i quali i tre psichiatri hanno concentrato i loro sforzi per superare la cultura del manicomio, abbandonando vecchie prassi assistenziali psichiatriche che avevano portato – sottolineano i tre – i servizi di salute mentale mantovani a riconoscimenti di eccellenza a livello regionale e nazionale. Il passaggio del loro appello più significativo è quello che stigmatizza il ritorno e il riutilizzo ai sistemi di psichiatria restrittiva, con la reintroduzione di pratiche di contenzione fisica e di sistemi violenti. In due parole i pazienti legati ai letti e lo stravolgimento della legge Basaglia di riforma dell’assistenza psichiatria, la 180 del 1978 che chiuse i portoni dei manicomi.

I tre psichiatri vanno giù duro, attaccando soprattutto gli ultimi mesi di attività nei servizi di salute mentale mantovani, un fuoco di fila respinto in toto (leggere articolo sotto) dal dottor Andrea Pinotti, fino a pochi giorni fa alla guida della Psichiatria del Poma e del dipartimento di salute mentale.


Il Testo dell’appello

I firmatari di questo appello, già responsabili del Dipartimento di salute mentale dell’Azienda ospedaliera “Carlo Poma” dal 1988 al 2010 denunciano che negli ultimi mesi nei servizi di salute mentale mantovani è in corso il progressivo abbandono di culture e prassi assistenziali psichiatriche che avevano portato i servizi di salute mentale mantovani a riconoscimenti di eccellenza a livello regionale e nazionale: ci riferiamo alla scelta di tenere le porte aperte e non legare i pazienti nei luoghi di trattamento, e all’importanza attribuita all’alleanza con l’utente e alla ricerca del suo consenso.

Tale azione di revisione e di decostruzione di una cultura e di pratiche prima condivise ha portato in breve tempo a rilegittimare, dopo quasi 25 anni, pratiche di contenzione fisica nei Servizi ospedalieri di Diagnosi e Cura, e in quello del Carlo Poma in particolare, all’aumento del numero dei trattamenti sanitari obbligatori (tso) effettuati dai Centri psicosociali (Cps), all’ormai abituale drammaticità che caratterizza l’esecuzione degli stessi e all’inserimento nei programmi di formazione/aggiornamento degli operatori della psichiatria di comunità mantovana delle pratiche in uso nell’Ospedale psichiatrico giudiziario di Castiglione delle Stiviere, proprio quando istanze legislative e nazionali ne prevedono il superamento per gli arbitri consentiti dal regime della misura di sicurezza e la manicomialità dei trattamenti.

Sappiamo che fare assistenza nei servizi di salute mentale di comunità è oggi più difficile, ma non perché i pazienti siano diventati diversi da quelli di prima (con questo modo di ragionare si reintroducono gli stereotipi della pericolosità sociale superati dalla legge 180/78 di riforma dell’assistenza psichiatrica), ma per i tagli del personale e delle ore di apertura dei servizi. Tuttavia la diminuzione delle risorse non giustifica il riuso di sistemi custodialistici e violenti. Lo conferma il fatto che a Mantova, la svolta è nata dall’adozione di discutibili, a nostro avviso, scelte gestionali e organizzative. Ci riferiamo in particolare:

– alla riduzione del numero dei primari territoriali e dei responsabili dei CPS, all’affossamento delle iniziative di empowerment e di socializzazione,

– a una formazione/aggiornamento volte in una direzione che tende a ignorare valori e insegnamenti come la ricerca del consenso del paziente, la doverosa fatica dell’accoglienza e della contrattazione.

Si tratta di “innovazioni” che non potevano non ricadere pesantemente sulla qualità dell’assistenza.

Il recente avvicendamento alla direzione del Dipartimento di salute mentale del dr. Pinotti con il dr. Magnani documenta una difficoltà e un affanno crescenti.

Facciamo appello ai i manager delle Aziende, ai responsabili dei servizi a trovare luoghi, tempi e sedi per una discussione fra tutti gli operatori professionali del Dsm; ai pazienti, ai famigliari e alle loro associazioni a prendere posizione sulla qualità dei trattamenti e sui diritti dei pazienti; all’opinione pubblica per evitare che sia disperso il positivo valore collettivo costituito dall’esperienza storica della psichiatria di comunità mantovana,

Luigi Attenasio, Luigi Benevelli, Giovanni Rossi

Mantova, 31 luglio 2012

A seguire la risposta-attacco del direttore del dipartimento (dimissionario):

Pinotti: «Con me a Mantova mai successo». Lo specialista appena dimesso: «Qualche caso eccezionale a Pieve e Castiglione, ma era inevitabile»

(da La Gazzetta di Mantova, 01.08.2012)

«E no, così non ci siamo, non si possono affermare cose non vere».

Lo psichiatra Andrea Pinotti, primario del servizio psichiatrico di diagnosi e cura a Pieve di Coriano – Basso Mantovano, ex capo dipartimento e fino a ieri (si è dimesso pochi giorni fa) anche primario ad interim al Carlo Poma, non ci sta a passare per quello che lega i pazienti ai letti e contrattacca.

«Nel periodo in cui sono stati primario a Mantova, vale a dire dal gennaio 2012 a oggi, al Poma non c’è stata una sola pratica di contenzione. Tra l’altro non abbiamo nemmeno gli strumenti per farla, e parlo di polsini e cavigliere. Prima di affermare certe cose bisognerebbe informarsi. Lo scorso anno, sempre al Poma, abbiamo firmato un protocollo specifico in cui è scritto chiaro che al servizio psichiatrico di diagnosi e cura di Mantova non si contiene, perché sussistono le condizioni per evitare questa pratica e tra queste anche quella di usufruire del servizio delle forze dell’ordine».

Pinotti ricorda inoltre che l’autunno scorso l’Urasam, l’associazione lombarda famigliari pazienti psichiatrici, ha fatto visita al reparto di Mantova: «Si sono congratulati con noi – continua lo psichiatra – per il modo di gestione dei pazienti, indicando il modello mantovano da esempio per gli altri dipartimenti lombardi».

E sul tema dei tagli?

Pinotti è un fiume in piena: «Le risorse soprattutto in quest’ultimo periodo sono in effetti un problema per tutta la sanità, ma anche in presenza di tagli e grazie al sacrificio del personale abbiamo sempre evitato la contenzione».

Lo specialista ammette che qualche volta è successo negli altri ospedali mantovani: «A Pieve di Coriano siamo nell’ordine di dieci casi in undici anni, mentre a Castiglione delle Stiviere la cosa può succedere quattro-cinque volte all’anno, però in questi casi parliamo di situazioni eccezionali, che non rientravano nella capacità che ha il Carlo Poma di usufruire di un intervento delle forze dell’ordine. Quei casi erano riferiti a pazienti che potevano fare del male a se stessi o agli operatori».

Poi arriva il momento del contrattacco: «Nel periodo in cui sono stato capo dipartimento in effetti ho visto qualcosa che non mi è piaciuta. Mi riferisco a quello che io chiamo il manicomio in città, la sede di viale della Repubblica, Cps, centro diurno e comunità riabilitativa ad alta intensità. Lì sì che c’è da produrre un’evoluzione culturale molto forte, aumentando l’attività domiciliare e trasformando il Cps in un vero centro di salute mentale dove uno viene per farsi curare e non un’area dove uno arriva, si ferma un giorno intero, bivacca e poi se ne va senza cercare di farsi una vita fuori. Così io lo ritengo solo un manicomio in città».

La risposta di alcuni operatori:

La storia della piccola indiana nel “manicomio in città”.

(da La Gazzetta di Mantova, 07.08.2012)

Sapevamo di lei che in India, all’età di due anni, una violenta alluvione aveva distrutto il suo paese e si era salvata aggrappandosi a un ramo mentre la piena scorreva appena sotto del suo corpicino. Poi era arrivata in Italia da bambina adottata e in poco tempo aveva intrapreso una “promettente” carriera psichiatrica. Quando due anni fa i servizi che si occupavano di lei la inviarono a quello che il dottor Pinotti definisce “il manicomio in città di Viale della Repubblica” di Mantova, aveva già bruciato, in anni di assistenza nei centri molto più apprezzati della provincia, varie strutture tra cui CRA e Comunità protette. Ci era stato detto che sarebbero venuti nel giro di pochi mesi i familiari a riprenderla, come se fosse ancora una bambina, ma nel frattempo era cresciuta, e nessuno si è fatto più vivo a rivendicarne paternità, familiarità, vicinanza.

Il cosiddetto “manicomio in città” l’ha lasciata semplicemente vivere, proprio all’interno della città, una città che a noi sembra, almeno per ora competente e accogliente. L’ex-bambina salvata dalla piena ha cominciato a girare all’interno della sede della Psichiatria cittadina in Viale della Repubblica, a farsi benvolere, a farsi cogliere con le mani nel sacco quando le infilava nelle tasche altrui per alleggerirle, a diventare quasi-amica, di “bivacco” in “bivacco” per utilizzare ancora le parole (che ci hanno suscitato forte perplessità) del dottor Pinotti; poi a uscire, a diventare tifosa del Mantova, a conoscere un compagno di cura diventandone la fidanzata, a partecipare all’attività di RETE180 nonostante l’esperienza fosse nella fase di difficoltà ben nota. Gli operatori, per quanto bisognosi di “un’evoluzione culturale molto forte” (dottor Pinotti) l’hanno supportata e sopportata, l’hanno protetta e stimolata, l’hanno portata davanti ai carabinieri quando i furti erano troppo sfacciati e l’hanno difesa e accudita quando era individuata come colpevole di furti che in realtà non erano neanche avvenuti.

Proprio oggi la piccola-grande Indiana lascia una delle Comunità psichiatriche gestite insieme alla Cooperativa Ippogrifo, con un livello di competenze e di autonomie straordinario se paragonate al suo arrivo in Viale della Repubblica di Mantova. Andrà per un po’ di tempo in una Struttura con caratteristiche ancora più riabilitative. Poi, nel nostro obiettivo globale, è previsto che vada a vivere da sola, con tutti gli aiuti di cui avrà bisogno e magari con vicino il suo fidanzato, col quale il legame si è fatto duraturo e serio.

L’articolo della Gazzetta di Mercoledì 1 Agosto dove il dottor Pinotti descrive questi operatori come artefici di “un manicomio in città … dove si bivacca ”, tende a misconoscere questa storia e tante storie come questa, che, pur all’interno della complessità e della sofferenza dei percorsi psichiatrici, a Mantova si realizzano e, nel caso specifico, in altri paesi no.

Alcuni operatori della Sede della Psichiatria di Mantova di Viale della Repubblica 2h

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