AldaMerini1_2di Elisa Frisaldi

“Fuma mille sigarette al giorno, getta la cenere sempre per terra. Alda Merini ti riceve a casa sua in imbarazzanti divise. Ti offre tutto quello che ha: le sue plaquettes, i tortelli dolci che arrivano chissà da dove, un bicchier di vino dal gusto caldo e aromatico. Le fotografie con lei nuda e ironica campeggiano sulle pareti accanto a foto della vecchia Milano raccolte chissà dove. Non ha pudori. Non ha remore. Se gli sei simpatico ti racconta tutto della sua vita”.

Così descrive la poetessa chi ha avuto la fortuna di parlarle di persona, ospite nella sua casa umile, ma ricca di oggetti, ricordi e simboli.

A partire dalla metà del Novecento Alda Merini è diventata una delle voci più “alte” della poesia. Ha vissuto il dolore del manicomio e dei 46 elettroshock che le sono stati inflitti; se li ricorda bene perché, nonostante tutto, la sua memoria non si è mai spenta. Un vero miracolo.

Alda Merini ha vissuto di poesia e di fede e ha sempre lasciato che la comprensione della vita spettasse a chi è più in alto di noi. “È la vita che ci dà un senso, sempre che noi la lasciamo parlare”. La voce della vita arriva prima di quella dei poeti che invece di interrogarsi sul perché del male e del dolore li accettano, trasformandoli in versi. “Io il male l’ho accettato ed è diventato un vestito incandescente. È diventato poesia. È diventato fuoco d’amore per gli altri”.

Ho cominciato

a piangere per gioco,

e poi ho creduto

che fosse il mio destino

Trattandosi di un dono di cui era semplice portatrice, Alda Merini ammetteva di non poter capire fino in fondo il senso della propria poesia e con la stessa naturalezza si abbandonava alla sfera onirica. I sogni le suggerivano sempre grandi verità e le portavano il divertimento e il gioco scomparsi molto in fretta dalla sua vita reale. “Sento a volte delle mani che rovistano nella carne, che cercano l’anima. I grandi poeti parlano come venissero dall’aldilà e per parlare da uno stato di morte bisogna prima morire. Da un’esperienza di morte come quella del manicomio bisogna uscire per parlarne poi da vivi”.

Anche nell’atto creativo della scrittura era come se Alda dormisse, riuscendo così a entrare nel profondo della sua anima. Pochi hanno capito che la sua poesia era nata a prescindere da tutto e da tutti “È una forza che nasce in me, come una gravidanza che deve essere portata a termine. Molti mi considerano la poetessa della pazzia. Ma chi si è accorto che sono la poetessa della vita? Ho parlato del manicomio perché era il luogo in cui vivevo in quel periodo”.

Il dottor Enzo Gabrici, lo psichiatra che l’aveva seguita durante gli anni del manicomio, ritiene che l’atto creativo della scrittura sia stato per Alda il “balsamo” del suo dolore. La sua inclinazione artistica, a lungo soffocata dai problemi della vita quotidiana, aveva trovato modo di manifestarsi permettendole di ritrovare un proprio equilibrio e un posto di tutto rispetto nella società. “Se io non ho una base, non ho un sogno da custodire ed allevare dentro il mio cuore, non posso più scrivere e di conseguenza non potrei nemmeno vivere”. La tanto meritata celebrità è stata comunque un’arma a doppio taglio.“Il poeta va incontro a invidie, paure, ricatti, delusioni. La vita ti fa pagare il successo; gli ignoranti, i persecutori e persuasori del talento te lo fanno pagare”.

Quando fu ricoverata per la prima volta in manicomio era molto giovane. “Avevo due figlie e qualche esperienza alle spalle, ma il mio animo era rimasto semplice, pulito, sempre in attesa che qualcosa di bello si configurasse al mio orizzonte; del resto ero poeta. Ero una sposa e una madre felice, anche se talvolta davo segni di stanchezza e mi si intorpidiva la mente. Provai a parlare di queste cose con mio marito, ma lui non fece cenno di comprenderle e così il mio esaurimento si aggravò”.

Alda fu internata a propria insaputa. Non sapeva nemmeno dell’esistenza degli ospedali psichiatrici perché non ne aveva mai visto uno. “Quando mi ci trovai nel mezzo credo che impazzii sul momento stesso in quanto mi resi conto di essere entrata in un labirinto dal quale avrei fatto fatica ad uscire. Improvvisamente, come nelle favole, tutti i parenti scomparvero”.

Io ero un uccello

dal bianco ventre gentile,

qualcuno mi ha tagliato la gola

per riderci sopra

non so.

Io ero un albatro grande

e volteggiavo sui mari.

Qualcuno ha fermato il mio viaggio,

senza nessuna carità di suono.

Ma anche distesa per terra

io canto ora per te

le mie canzoni d’amore.

Parlando del suo primo internamento al manicomio Paolo Pini di Milano, Alda ci fa conoscere le condizioni dei malati prima della legge Basaglia, le umiliazioni, le violenze, i maltrattamenti loro inferti da medici e infermieri, forti solo perché sicuri della loro “presunta normalità”. Ci parla della sua famiglia, dei suoi quattro figli, visti al di qua della malattia, in un crescendo di incomprensione e indifferenza.

“Nelle malattie mentali la parte primitiva del nostro essere, la parte strisciante, preistorica, viene a galla e così ci troviamo a essere rettili, mammiferi, pesci, ma non più esseri umani. Così la mia bellezza si era inghirlandata di follia, ed ora ero Ofelia, perennemente innamorata del vuoto e del silenzio, Ofelia bella che amava e rifiutava Amleto”. Dopo il primo periodo di reclusione Alda cominciò ad accettare l’ambiente del manicomio. Di fatto la società per lei era morta; dopo averla rifiutata e insediata tra quei rifiuti sociali non poteva e non doveva più esistere. L’amore e la famiglia erano concetti che considerava superati. Ci racconta invece dell’amore ai tempi dell’abolizione dei padiglioni che separavano donne e uomini, descrivendo il dolce Pierre, così pieno di attenzioni e tenerezze nei suoi confronti.

Del manicomio la poetessa rimpiangerà tutto, specialmente la non socialità. Fuori aveva cercato disperatamente di crearsene una, ma fu una grande delusione. Aveva scritto, mandato lettere, cercato disperatamente di avere dei contatti, scoprendo che probabilmente nessuno l’avrebbe cercata di propria iniziativa.

“Mio marito non veniva mai a trovarmi. Ogni giorno mi appostavo davanti all’ingresso e mi accoccolavo per terra, proprio come una geisha, e aspettavo per ore che lui si facesse vivo. Poi, vinta dalla stanchezza, e con le lacrime agli occhi, tornavo nel mio reparto”.

Ti aspetto e ogni giorno

mi spengo poco per volta

e ho dimenticato il tuo volto.

Mi chiedono se la mia disperazione

sia pari alla tua assenza

no, è qualcosa di più:

è un gesto di morte fissa

che non ti so regalare.

Figlia del proprio vissuto, intenso, doloroso, pieno di solitudine, Alda ha creduto fermamente che la malattia mentale non esistesse. Esistono gli esaurimenti nervosi, esistono le pene familiari, le responsabilità dei figli, la fatica di crescerli ed esiste anche la fatica di amare. Il manicomio che ha vissuto fuori, tornando nella società, non era paragonabile a quell’altro supplizio che però lasciava quanto meno speranza alla parola. “Il vero inferno è fuori, qui a contatto degli altri, che ti giudicano, ti criticano e non ti amano”.

Questo corpo che mi ha tradito

io lo voglio punire,

lo punirò con uno sparo,

secco, tagliente, ferita

ultima alla mia anima di giglio.

Lo punirò in un momento

per lunghi anni di torture e bassezze

questo corpo che io volevo cristallo

e che è un impasto di limo.

Lo punirò per punire

anche chi ha ferito

moltitudine assurda

di Giuda inferociti.

Dopo avrò forse un fiore

dopo avrò forse un frutto

quella nota di amore

che non ho avuta mai.

 

Per chi, incuriosito, desiderasse approfondire, ecco le fonti in ordine di citazione:

– Alda Merini. La poesia luogo del nulla. Poesie e parole con Chicca Gagliardo e Guido Spaini. Piero Manni editore, collana Pretesti, 1999.

– Ho cominciato a piangere per gioco, tratto da Aforismi e magie, Alda Merini, BUR, collana La Scala.

– La poetessa Alda Merini al “Senso della vita”. www.youtube.it

– ALDA. Un film di Ricky Farina. www.youtube.it

– Alda Merini. Lettere al dottor G, Frassinelli Edizioni, 2008.

– Alda Merini – Parte 1 di 2. Un’intervista del programma Magazine2. www.liberolibro.it/alda-merini-diario-di-una-diversa/

– Alda Merini. L’altra verità. Diario di una diversa. BUR Rizzoli, quarta edizione, febbraio 2009.

– Io ero un uccello, poesia tratta da Alda Merini. Folle, folle, folle di amore per te. Salani Editore 2002, p. 48.

– Ti aspetto e ogni giorno, poesia tratta da Alda Merini. Clinica dell’abbandono, Einaudi Editore 2003 e 2004, p. 79.

– Al Dr. Gabrici (21-11-1979), poesia tratta da Alda Merini. Lettere al dottor G, Frassinelli Edizioni, 2008, p. 96.

6 Comments

  1. Ciro Frisaldi

    E’ un articolo che mi commuove e quindi bello perchè lascia spazio alle emozioni. Questa è una cosa di cui sento il bisogno perchè a volte la routine quotidiana è assorbente e si rischia di essere un automa. Grazie per questo attimo di piacere emotivo.

  2. Articolo molto interessante, che ti fa percepire la solitudine nella vita di questa donna. Solitudine all’interno della famiglia dove nessuno, neanche il marito, le è mai stato vicino, e solitudine nel manicomio durante la sua permanenza. I suoi versi sono molto eloquenti al riguardo, e proprio attraverso quei versi lei sembra chiedere un aiuto, una mano, per uscire da quel tunnel in cui era finita.Articoli come questo ti fanno riflettere…

  3. Non ricordavo più il personaggio di Alda Merlini.
    Il frastuono del quotidiano, la continua e spasmodica ricerca di qualcosa che ci dia la sensazione di appartenere a questo mondo dove la ordinaria follia degli altri ci regala l’illusione di vivere una dimensione di forzata normalità, tutto questo ci fa dimenticare coloro cui
    la società dei “giusti” per comodo, preferisce assegnare l’indelebile ed ignominosa etichetta di “PAZZO”.
    Ma la grande umanità che trasuda da questi “diversi” dovrebbe farci riflettere e cercare di capire dove realmente alberga il seme della follia.

  4. “I poeti invece d’interrogarsi sul perché del male e del dolore li accettano, trasformandoli in versi”, in arte, in un’alchimia preziosa ed unica che permette loro di essere dentro e fuori la quotidianeità, certamente sempre proiettati verso un sogno da custodire ed allevare dentro il “cuore” per potere essere vivi…Chi riesce a coglierne l’essenza, il valore è più vicino d’altri alla Poesia ed i suoi versi, tenuti per ora solo “in grembo” quando saranno letti, saranno ” preziosi”.Io li sento già nella tua prosa.

  5. nicoletta

    Credo proprio che Alda abbia ragione : la malattia mentale non esiste, o almeno non esiste nel modo in cui noi cosidetti “sani” siamo abituati a concepirla. Esistono le difficoltà, i problemi, la fatica nell’affrontare il quotidiano, nel gestire la vita. Esistono anche le patologie psichiatriche, quelle vere, ma sono solamente mali del corpo, che non intaccano l’anima. Alda ne è la prova vivente, è come se fosse ancora qui a dircelo, che non dobbiamo avere paura di quello che non è “normale”. Alda è l’emblema di tutti i diversi, di quelli che non trovano ascolto, che sono evitati, che vanno isolati. Lei che ha saputo dare parole a quei meandri oscuri della mente che sono le nostre stanze chiuse. Alda le ha aperte, e ne è sgorgata la sua freschissima poesia,un fiore che non smette di emanare il suo profumo. Grazie Alda, e grazie ad Elisa che oggi mantiene viva la sua voce. Noi che percorriamo ogni giorno a testa bassa le nostre giornate come le formiche nel loro formicaio, abbiamo bisogno di fermarci sentire ancora chi ci parla d’amore (quello vero!).

  6. Maria Giovanna

    Il tema in questione mi tocca profondamente e Alda, con la sua vita e la sua poesia, lo ha saputo raccontare al mondo con estrema lucidità alla faccia di chi ha provato ad “oscurarla”.
    Ho seguito qualche servizio televisivo che parlava di lei (dopo morta)ma non avevo colto la sua “bellezza” e la sua “profondità” così come è riuscita a dipingerla Elisa in questo che non definirei articolo bensì elegia ad una persona cara. Dentro c’è rispetto, simpatia, affetto e soprattutto gratitudine per essere esistita e per aver dato voce a tutti coloro che spesso vengono costretti al silenzio.
    Cara Elisa sono certa che avrebbe profondamente gradito il tuo “quadro”.

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