Unione degli universitari (Udu) e Rete degli studenti medi hanno presentato alla Camera dei deputati una proposta di legge per istituire presidi psicologici in tutte le scuole e università. Ad appoggiarli anche diversi esponenti dell’opposizione, dal Pd al M5s, ma gli studenti ribadiscono: “È una battaglia senza colore politico, perché riguarda tutti”.

Qualche giorno fa ho letto questa notizia. Mi piacerebbe trovare il modo di parlarne, proprio con questi giovani. Gli esperti sull’argomento sono tanti e hanno completamente invaso il campo. Sembrano i virologi di qualche anno fa. Una spietata medicalizzazione.

I ragazzi e le ragazze che cercano di trovare la loro strada affrontano sentieri impervi e pietrosi e ce la mettono tutta. Chi più chi meno si trova a navigare per mari ora tempestosi ora in bonaccia. 

È di tutti noi, uomini e donne, il ricordo e i tormenti dell’adolescenza. Se qualcuno mi chiedesse, per magia, di tornare a un’altra età della vita, ora che sto vivendo la mia vecchiaia, non avrei nessun imbarazzo: tutte tranne l’adolescenza. Non posso non ricordare il sentimento di inadeguatezza che ho vissuto nel cortile delle palazzine dei ferrovieri nell’incontro con i miei coetanei e le mie coetanee. La sessualità ci interrogava e le scoperte che in segreto ci comunicavamo erano ragione di sgomento, di colpa, di felicità fugace, di incomprensibili tenaci tristezze. 

Quante volte sentivo lontani i miei compagni, inaccessibile lo sguardo delle compagne, quante volte ho avvertito il vuoto e nei sogni e nel fantasticare ho immaginato tutti gli amici del cortile dolenti al mio funerale. Abbiamo sopportato insegnanti distanti, il terrore dell’interrogazione, preti col dito puntato. Potrei andare avanti.

Malgrado tutto siamo cresciuti, abbiamo costruito difese, più o meno adeguate.

Non posso non ricordare che la nonna, che chiamavano “la maestra”, con lei ho passato i giorni più belli delle mie estati, di fronte alle preoccupazioni delle mamme del paese, che andavano a chiedere consiglio, non faceva altro che ascoltare, “lasciatelo crescere” diceva alla fine. Mi piacerebbe che oggi, di fronte alle certezze di tanti opinionisti, medici, psicologi, giornalisti e appassionati di luoghi comuni, si potesse dire “lasciateli crescere” con la saggezza di una nonna. Basterebbe avere sotto gli occhi, solo per citarne uno, Panorama di qualche mese fa: generazione devastata da ansia, problemi psichici, disturbi del comportamento alimentare, suicidio, psicofarmaci, bullismo, famiglie disperate, identità sessuale liquida…

Altro che lasciateli crescere. Schiere agguerrite di psicologi e neuropsichiatri sono lì in agguato, pronti a ogni respiro dell’adolescente difficile per trovare parole che pronunciano con irresponsabile leggerezza. Sono le diagnosi del manuale statistico diagnostico della psichiatria che non fa altro che produrre nomi di malattie per rivestire quella condizione della vita, la più ricca, la più dolorosa, la più produttiva, di un velo oscuro. L’interesse gridato per quella condizione rende oggetto “l’adolescente”, lo annienta, gli ruba i silenzi e le parole. Non credo sia necessario qui riportare tutte le parole che si ritrovano sui giornali, che si ascoltano alla radio, alla televisione. Intere scelte editoriali inseguono le dichiarazioni, le più allarmate e acritiche, delle psicologie e delle psichiatrie. Raccomandazioni perentorie: “non perdetelo di vista”; “registrate ogni cosa che vi sembra strana”; “parlatene con lo psicologo quanto prima”. Allarmi gridati che seminano disperazione, costruiscono distanze, isolamento mentre ragazzi e  ragazze  altro non pretenderebbero se non almeno “un prete per chiacchierar”.

Ho l’impressione che la soglia di sopportazione del dolore per un insuccesso, per una mortificazione, per un momentaneo abbandono si sia abbassata. Forse, anche i genitori fanno molta fatica a sopportare la distanza che naturalmente accade con i loro figli che crescono. Un ragazzo o una ragazza può perfino provare un sentimento di odio nei confronti dei suoi genitori mentre si muove per prendere il largo ostinatamente silenzioso e i genitori impauriti sono naturalmente tentati di cercare una parola che spieghi, una diagnosi che sollevi dalla colpa, un qualcosa che aiuti a immaginare una possibilità di cura. E allora accade che molti, specialmente tra quelli che hanno la responsabilità del governare, si dispongano ad ascoltare, e con la consulenza degli esperti propongono posti letto nei reparti di neuropsichiatria (che il più delle volte sono luoghi orrendi), delegano al “percorso psicoterapeutico” che sembra dover risolvere ogni cosa. Di recente abbiamo perfino potuto pensare che un po’ di soldi, il bonus psicologico, spesi per un incontro con lo psicologo, avrebbero lenito “il disagio dei giovani che escono dal Covid”. Abbiamo fatto diventare la pandemia causa e conseguenza di ogni cosa.

Nel corso di tutti questi anni ho imparato a pensare che quella che chiamiamo adolescenza è un tumultuoso torrente che corre a valle e che rischia di fare danni irreparabili: dilagare, rompere, invadere, perdersi in terreni paludosi. Sempre si rischia di voler dominare l’irruenza del torrente con sbarramenti, dighe, negazioni. Accade più di frequente, in una dimensione di ascolto e di attenzione, che si pensi di arginare. Argini che tengono conto del corso naturale di quel torrente, di quella singolare tortuosità, dei rischi nell’accadere di quella storia.

Bambini e bambine, ragazzi e ragazze che vivono la ventura del disturbo mentale, della limitazione, dell’incapacità, del non riuscire a essere nelle relazioni hanno bisogno certo di cure, di sguardi attenti e consapevoli, sguardi capaci di rassicurare, proporre immagini di futuro. Tanto biologiche quanto psicologiche, quanto a sostegno della banale vita quotidiana. E anche per questi, tanto più per questi, il rassicurante “lasciatelo crescere” di mia nonna è quanto i migliori gruppi di lavoro, psicologi, educatori, neuropsichiatri, cercano di fare senza pensare neanche per un attimo a un posto letto, a una fascia di contenzione, a reparti privi di rubinetti, di lampadari, di docce, di tavolini, di letti inchiodati al pavimento, dove in ogni angolo domina “la pericolosità”. Non si sa mai cosa possono combinare questi giovani!

Il disagio giovanile pretenderebbe una singolare attenzione, originali e impensabili investimenti. E allora: perché non mettiamo in campo tutte le conoscenze che abbiamo finora acquisito e le tante buone pratiche? E le esperienze comunitarie? E l’aiuto tra pari? E i luoghi dove giovani e motivati educatori e accompagnatori e formatori pensano e agiscono programmi insoliti e personalizzati?

Perché invece che reparti di neuropsichiatria e bonus psicologici, non immaginiamo interventi nella comunità, nelle periferie, nei luoghi dei ragazzi e delle ragazze?

Perché le risorse per i bonus non si investono per rendere belle e attraenti le periferie, gli spazi per lo sport, gli oratori, i luoghi dove fare musica, teatro, scrittura, o anche niente? E perché non si pensa a un grande, immenso investimento che abbia come oggetto e tormento principale la scuola? Quando gli operatori della scuola potranno essere retribuiti come tutti i loro colleghi europei? Perché le nostre scuole non possono diventare i luoghi più belli di quel territorio? Luoghi da desiderare e da vivere per i ragazzi e le ragazze? Perché una scuola media inferiore, superiore, elementare, non può restare aperta e accogliente dalla mattina alla sera?

Già ora giovani operatori, strani e inimmaginabili, servizi pubblici, fantasiose cooperative sociali, associazioni di genitori, hanno dimostrato quanto l’impensabile può diventare realtà. In ogni luogo, perfino a Scampia.

E’ di una salute mentale collettiva che abbiamo bisogno. 

martedì 28 marzo 2023