pregiudizioL’estate è iniziata da poco ma osservando il quinto piano di un palazzo dell’hinterland napoletano non si direbbe. Quelle finestre, poste di fronte alla casa in cui chi scrive è cresciuto restano chiuse. Come lo sono state per tutto l’inverno. Come lo sono state per tutte le stagioni di questi ultimi quattro anni. Lì vive una comune famiglia borghese, un anziano ingegnere docente in pensione, la seconda moglie di questi, e due figli, di cui il primo avuto dal precedente matrimonio. Il padre, poco dopo la pensione, a causa del progressivo peggioramento del suo stato di salute, a poco a poco, non è più uscito di casa. I due fratelli sono pazienti psichiatrici. Il primo, per lungo tempo in cura, dopo molti “eventi di crisi psichiatrica”, oggi sembra trascorrere una vita tranquilla, si è laureato ed insegna. Il secondo, avuto in tarda età e con una situazione familiare resa difficile dalle condizioni del fratello, è cresciuto nel segno di un’apprensività genitoriale molto forte e soprattutto è stato sempre considerato, fin da bambino, dagli altri ragazzi dell’abitato, quantomeno strano. E siccome “dietro ogni scemo c’è sempre un villaggio”, G., negli anni è divenuto lo scemo del villaggio, considerato e trattato da tutti come un “ritardato”. Vittima degli scherzi più crudeli, continuamente sottoposto a pressioni di natura sessuale, malmenato e deriso, si è trovato escluso dal gruppo dei suoi coetanei, mentre era evidentemente a maggior agio con i più piccoli. Situazione, questa, che ha ulteriormente accentuato la stigmatizzazione sociale, a cui si accompagnava il suo sempre maggior disagio per le manifestazioni palesi di sofferenza psichica del fratello. Ben presto l’intera famiglia si è trovata sottoposta ad una schermaglia di pregiudizi mai velati del vicinato che sfociavano spesso anche in episodi di tipo violento (di cui era vittima anche lo stesso anziano ingegnere). Alla fine, G., si è ritirato a casa sua, sono anni che non esce più. Qualche volta, sempre più pallido ed emaciato, mi è stato possibile scorgerlo affacciato alla finestra. Pochi istanti. Poi le tendine ricadevano giù e lui, ancora spariva. L’anziano ingegnere muore pochi giorni prima della stesura di questo testo. Al funerale è accompagnato da cinque persone. Tra questi G. non c’è. Il fratello ha provato a convincerlo a partecipare alla celebrazione funebre, ma lui non ha voluto. Si è affacciato alla finestra, qualche istante, il tempo di scorgerne le lacrime. Il fratello ha confidato che è imbottito di psicofarmaci ormai da alcuni anni ma che per ora non si vedono segni di miglioramento. Lo scemo del villaggio, chiuso nella torre, oggi continua ad infastidire perché «nemmeno nel momento della morte ha reso onore al padre che tanto ha fatto per lui ed a cui lui ha dato solo dispiaceri». Nella traduzione dal vernacolo dei commenti del villaggio molto si perde e viene sfumato. Non la scommessa di molti «Tanto prima o poi o ammazza la madre e lo arrestano o si butta giù e si uccide». Il villaggio è già in fila ad aspettare il prossimo spettacolo del suo scemo.

Antonio

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