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DEVIANTE

Il termine è stato importato nella nostra cultura come astratta elaborazione ideologica di un problema altrove reale. A livelli socio-economici diversi corrispondono forme diverse di definizioni culturali: il problema definito con questo termine resta da noi perciò patrimonio di una élite culturale ristretta e il termine stesso si riduce a una specie di ammiccamento fra privilegiati capaci di decifrare un messaggio segreto e di scoprirvi riferimenti in chiave.

Nella nostra cultura il problema del deviante, ossia di colui che devia dalla norma (v.) resta affidato alla competenza della medicina o della magistratura, le quali riescono ancora a spiegarlo e a controllarlo attraverso le definizioni di personalità psicopatica (v.) o di delinquente.

Nelle culture di quei paesi (generalmente più progrediti del nostro) nei quali l’ideologia della diversità non è più sufficiente a controllare in istituzioni chiuse le devianze che pongono in discussione la norma, il problema viene trasferito anche alla competenza della sociologia. Si tende così a creare nuove forme di organizzazione sociale aventi lo scopo di garantire il dominio e il controllo del numero sempre crescente di marginali ottenuto, attraverso i meccanismi di esclusione della produzione, nelle fasi avanzate di sviluppo del capitale. Una recente statistica americana, presentata in una sua relazione dallo psichiatra sociale Jurgen Ruesch, calcola per esempio nel 65 per cento del totale della popolazione statunitense la quota di disadattati o devianti.

DIAGNOSI

Momento in cui il medico trae le conclusioni del suo lavoro interpretativo sulle condizioni del paziente e ne deriva un adeguato indirizzo terapeutico.

In psichiatria, non potendo rifarsi all’obiettività dell’esame clinico, ogni interpretazione della malattia mentale, da quella organicistica a quella psicogenetica o sociologica, deve assumere, come valore assoluto infranto dalla condotta deviante (v.), il limite di norma (v.) di volta in volta fissato dalla stessa natura dell’interpretazione: la norma organica, quella psichica e quella sociologica.

In questo senso lo psichiatra si trova a costruire il suo concetto assoluto di malattia sulla base di una definizione relativa del concetto di norma.

La diagnosi si riduce quindi per lo più a un puro giudizio di valore da cui trarre misure e sanzioni che non possono avere carattere terapeutico, dato che ci si limita allo smistamento fra ciò che è normale e ciò che non lo è. La psichiatria tradizionale, fondandosi soltanto sul suo bagaglio semiologico e facendo riferimento a questo concetto puramente relativo di norma, si trova cioè impotente a decifrare il proprio oggetto. Un medico generico, per esempio, può chiedere al paziente di pronunciare la parola trentatré per compiere un determinato rilievo polmonare. Ma lo psichiatra non dispone di un eguale strumento. Il dramma dello psichiatra è di non essere ancora riuscito a trovare il suo trentatré.

DIAGNOSI DIFFERENZIALE

Qual è la differenza fra un nevrotico, uno psicotico e uno psicopatico? Per lo psicotico 2 + 2 fanno indifferentemente 4, 6, 10, eccetera, a seconda del grado del suo rapporto con il reale. Per il nevrotico 2 + 2 fanno 4, e il fatto gli provoca uno scoppio d’ansia per il suo instabile rapporto con il reale. Per lo psicopatico 2 + 2 fanno sempre 4, ma ciò gli provoca sovente una rabbia antisociale.

F

FOLLIA

Termine dotto col quale si definisce in modo aulico il concetto volgarmente espresso dal termine pazzia (v.) (v. anche: alienazione mentale).

G

GUARIGIONE

Nel caso della malattia mentale, del cui processo morboso è difficile stabilire l’inizio, il termine guarigione è puramente convenzionale. Abitualmente, serve per indicare l’avvenuto riadattamento del paziente alle regole del gruppo sociale cui egli appartiene. Guarire significherebbe insomma ridurre l’esperienza della malattia a un comportamento comune, definito aprioristicamente sano.

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