bernardiniDi Peppe Dell’Acqua

Avevamo dimenticato la storia di Antonia Bernardini, morta bruciata il 31 dicembre 1974 legata a letto nel manicomio criminale femminile di Pozzuoli. Cominciammo a pensare allora che la pratica della contenzione sarebbe stata bandita. Prese infatti forza la lunga marcia attraverso le istituzioni manicomiali che arriverà tre anni dopo alla legge e alla sofferta chiusura dei manicomi. Ma soprattutto restituirà diritto costituzionale ai malati di mente: cittadinanza, dignità, singolarità. Anni dopo nel 2014 l’impensabile chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari.

Della contenzione si parlò poco. Tutti pensarono (e ancora tantissimi oggi pensano) che quella legge con la fine dei manicomi avrebbe posto fine anche all’orribile e inutile insensatezza della contenzione. Così non è stato. Di lì a poco le fasce sono diventate un ricordo sbiadito, una rimozione collettiva. Poi le tante morti per contenzione sottaciute e occultate da certificati stilati dagli stessi medici che quelle contenzioni avevano ordinato. Contenzioni che durano non per poche ore o per una notte come molti pensano, ma anche per più giorni, settimane, mesi.

Poi, nel 2006, la morte nell’ospedale Is Mirrionis di Cagliari di Giuseppe Casu, fruttivendolo sessantenne di Quartu Sant’Elena, dopo un’intera settimana di contenzione. L’associazione dei familiari, la figlia e la famiglia di Giuseppe, le direzioni del DSM e dell’Azienda sanitaria non occultano ma aprono a una pubblica e vibrante denuncia. Come al solito la procura apre un’inchiesta e dopo i tre gradi di giudizio, con capovolgimenti, false testimonianze, comportamenti omertosi delle lobby mediche e psichiatriche, tutti assolti. Non è successo niente. Ma questa è un’altra storia. Giovanna Del Giudice, allora direttrice del DSM di Cagliari, la racconta nel bel libro …e tu slegalo subito.

E poi il maestro anarchico Francesco Mastrogiovanni.

E poi la campagna per l’abolizione.

E poi il comitato etico.

E poi…

E poi Elena, non ancora ventenne, un’adolescenza travagliata, un trasferimento recente da altro servizio psichiatrico milanese (?), una sua umanissima inquietudine e rabbia, che traspare dalle parole raggelanti dei comunicati, muore carbonizzata, legata al letto nel servizio psichiatrico di diagnosi e cura di Bergamo (servizio del territorio, e non reparto ospedaliero, si dovrebbe dire, ma si sa che i nomi sono conseguenza delle cose…e delle cattive pratiche! Ma anche questa è un’altra storia).

Questa morte accade in un momento in cui le politiche regionali per la salute mentale sono sempre più lontane dai bisogni delle persone e sempre più ispirate alle più arretrate culture accademiche, dominate da trascuratezza e disattenzione, da fragili e misere organizzazioni, da pratiche inefficaci e inumane in molti luoghi della psichiatria (e certamente nella regione Lombardia).

Noi tutti del Forum dopo numerose telefonate pensiamo quanto prima di mobilitarci, di convergere tutti a Bergamo e chiedere al sindaco Gori, di cui conosciamo sensibilità e cultura, di assumere una posizione forte e critica su questa pratica terribile. I sindaci sanno che la legge di riforma ha voluto garantire libertà, dignità e possibilità alle persone con disturbo mentale, indicando proprio il sindaco come la figura che non solo ordina il TSO, ma diventa, al tempo stesso, garante della cura e della salute di quel cittadino come di qualsiasi altro. A maggior ragione per quei cittadini evidentemente più fragili. Molti sindaci, con abissale superficialità, hanno denunciato questo compito come un ulteriore appesantimento burocratico. Molti a loro difesa dicono: «Ma cosa sappiamo noi di salute mentale?» – come se quando firmano ordinanze per regolamentare un mercato di frutta e verdura o di pesce fossero esperti botanici e zootecnici. Vogliamo immaginare che magari per iniziativa del sindaco Gori si arrivi a un fronte comune dei sindaci contro la contenzione nelle città che amministrano.

Questo solo per dire dei sindaci.

E le amministrazioni regionali che continuano a redigere linee guida per la corretta contenzione (che, badate bene, è illegale) e a riordinare il territorio riducendo personale, ore di apertura e chiudendo servizi?

E le psichiatrie?

E la Società Italiana di Psichiatria?

Le indagini e il processo, sappiamo già, ricondurranno questa orrenda morte a mancanze del sistema di sicurezza, all’assenza di telecamere di vigilanza nella stanza della contenzione (!), a mancanza di personale, alla negligenza degli infermieri, alla disattenzione di un medico, a carenza di formazione adeguata e specifica per divenire esperti in questa pratica di morte (!).

Tanto per dire che ancora si processeranno persone e procedure.

Le psichiatrie della pericolosità, della contenzione, dell’annientamento, dei protocolli, dei manuali diagnostici, delle distanze quando saranno processate? E da quali tribunali?

A quando la terza rivoluzione?

How many roads…

4 Comments

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  2. Egregio dott. Dell’Acqua.
    Apprezzo molto le battaglie che Lei , come molti altri colleghi, impegnati attivamente nella cura ed assistenza della patologia psichica, intraprende da tempo.
    Io sono un infermiere dell’équipe di un Spdc ligure, nello specifico del Spdc dell’Ospeale di Savona. Ho dedicato la mia formazione di base e la specialistica al nursing psichiatrico, a partire dal 1997.
    Ho sempre nutrito interesse culturale, imprescindibile da quello profesionale, per la formazione psichiatrica, cercando di avere la mente aperta alla critica di “proclami istituzionali” al fine di tentare di garantire la più conapevole assistenza alle persone che incontravo durante il mio operato.
    La contenzione meccanica é sempre stata una difficilissima circostanza ed uso non a caso questo termine, poiché, per onestà intellettuale non saprei, ad oggi come definirla diversamente.
    Apprezzo moltissimo il passaggio del Suo articolo, relativo alla necesità di processare la psichiatria, credo che i processi intellettuali siano gli unici che possano portare ad evoluzioni etiche.
    Mi perdoni, però, per la volontà di evidenziare come la negligenza degli infermieri, di cui accenna, possa essere una costante presenza, in fatti della drammaticità che solo la morte può manifestare. La negligenza che avrebbe potuto provocare la morte di una persona, quando questa negligenza fosse stata il totale rispetto dell’autodeterminazione ? Sarebbe stata altrettanto imputabile secondo Lei? La difficoltà intellettuale, per prima e non prescindibile da quella operativa, della “circostanza contenitiva” forse non mette in luce dubbi, fortissimi, sulla linea di confine tra il tentativo disperato, di evenienze altrettanto disperate, di salvare la vita alla persona che altrimenti non potrebbe essere salvata.
    Il mio semplice intento é quello di esprimere i dubbi di chi ,come me, si impegna da anni in situazioni spesso ambigue, che si giocano sul piano esclusivo di un controllo sociale delegato.
    Ma, certo c’é un ma, non solo così si può ridurre “la questione”, perchè la linea di confine tra il disperato tentativo di salvare la vita di una persona e rispettarne la dignità, troppo spesso viene scavalcato per brandire la lancia di accuse totalizzanti, come totalizzante é l’istutuzione, qualunque essa sia.
    Davide Sciolti.

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