vecchi-da-morireL’attenta giornalista Francesca De Carolis ci ha segnalato Vecchi da morire. Anziani in casa di riposo, libro di Silvina Petterino, un’infermiera che ha raccontato cos’è la vita nelle case di riposo, un’autrice che vorremmo e cercheremo di conoscere meglio.

Le case di riposo sono luoghi in cui rischiamo di finire tutti. E se cominciassimo a pensare di distruggerle, queste prigioni? E se i vecchi potessero continuare a vivere – e anche a morire – nella loro casa? E se finalmente il welfare si piegasse alle singolari esigenze di ognuno? Non sono solo utopie, un’altra forma di sostegno è possibile. Sempre più spesso sentiamo di esperienze singolari ed entusiasmanti, come quella delle microaree triestine, raccontata nel libro di Giovanna Gallio e Maria Grazia Cogliati Dezza e poi nel film di Erika Rossi La città che cura.

Di seguito riportiamo parte dell’articolo Le prigioni della nostra vecchiaia. Dove abitavo? In via della libertà di Francesca De Carolis.

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Sono andata a ripescare un libro…Vecchi da morire (l’editore Stampa Alternativa), scritto da Silvina Petterino, che è infermiera e ha raccontato cos’è la vita nelle case di riposo. Un libro dove la parola che più torna è solitudine, perché non c’è struttura, scrive, per quanto efficiente, che possa restituire a un anziano il senso dell’appartenenza. «Se ci entri da adulto, la prima volta ti colpisce perché non avevi mai visto prima, tutti insieme, tanti vecchi. Sono in prevalenza donne, e tutte così diverse tra loro: persino i capelli imbiancati hanno diverse sfumature… […] Tanti occhi ti guardano incuriositi quando ti vedono. Altri rimangono semichiusi o scrutano il vuoto… […] Verrebbe la pena chiedersi perché chiamiamo casa un luogo che non è casa, e di riposo un luogo dove la sveglia suona alle sei del mattino….». Un libro da leggere. Vi si affaccia una folla di persone, molti malati, ognuno con qualche disabilità, ma i più semplicemente malati di vecchiaia. C’è un’ipocrisia che l’autrice svela e combatte: la prevalenza della malattia sulla persona, oggi che si tende a confondere i malanni della vecchiaia, la normalità della vecchiaia quindi, con patologie assolutamente da curare. Che per lo più, per questi poveri vecchi, si traduce spesso in pura tortura, fisica e psicologica. Ogni vita è un racconto che Silvina Petterino raccoglie. Ci sono ritratti indimenticabili…Luigia, che guarda il mondo attonita come una bambola; Anna, fuori di sé perché legata, lei che amava muoversi e viaggiare; Pietro, che quando gli viene chiesto dove abitava risponde: «In via della libertà»…che è una bugia, ma anche una grande verità…Perché la libertà è qualcosa di cui molti si sentono rapinati. In un luogo dove nulla è più personale e tutto è solo organizzazione. E il sentire che si incontra, i sentimenti degli ospiti, sono un vero tumulto…dalla pazienza di chi sa ancora illudersi di tornare un giorno a casa, alla rabbia di chi chiede e chiede e chiede di essere rimandato indietro, alla rassegnazione di chi della propria casa non parla neanche più, e che poi a volte è la strada verso la morte…

Molte delle persone che si incontrano sono affette da demenza, malati di Alzheimer…ma Silvina Petterino si dice convinta che in ogni forma di malattia mentale rimanga una zona, nella mente e nei sentimenti, dove c’è luce…Come quando, mettendo il catetere a Maria, questa le parla del cielo, della luce, della città e le chiede: «Ma se devo morire, perché non mi lasciate morire?».

Viene in mente quell’osservazione di Camus: non essere più ascoltati, la cosa terribile di quando si diventa vecchi. Cosa si può fare capendo tutto questo?

Da soli nulla, risponde Petterino. Ma insieme agli altri sì…insieme agli altri infermieri, in una casa di cura, si può costruire un rapporto che non sia fatto solo di cura e medicine, ma di ascolto, attenzione e rispetto. Insomma, meno terapie e più amore. Ed è qualcosa che forse ovunque possiamo fare anche tutti noi…per aprire varchi nelle mura di questa ennesima prigione che abbiamo costruito…e dove rischiamo prima o poi di finirci tutti…

Con un pensiero a quei popoli antichi, presso i quali il cammino della vecchiaia era un più lieve andare, a ricongiungersi infine con l’anima della terra, che era nel luogo di una montagna, di un albero…ma questa, purtroppo, è proprio un’altra storia…

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