stop_opgL’appello di un cartello di associazioni affinché si ponga “fine allo scandalo degli ospedali psichiatrico giudiziari” perché come recita l’articolo 32 della nostra Costituzione “la legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”.

 

19 APR – L’ultimo dramma si è consumato la scorsa settimana quando un uomo di 58 anni, internato nell’Opg di Aversa (Caserta), si è tolto la vita impiccandosi nel bagno della propria cella dopo otto anni di reclusione. Sembra che l’uomo abbia preso la decisione di uccidersi dopo aver ricevuto la notizia di un’ulteriore proroga della pena, nonostante fosse stato riconosciuto non più socialmente pericoloso.

 

Era, infatti, uno di quei 350 detenuti, su oltre 1400 ancora detenuti negli Opg italiani, individuati come pronti ad uscire subito perchè non più pericolosi per la collettività in quanto hano concluso il loro percorso e su cui oggi si è tornato a parlare nel corso di una conferenza organizzata da un cartello di associazioni tra cui CGIL nazionale, FP CGIL nazionale, Antigone, Fondazione Franco e Franca Basaglia, Unasam e Associazione “A buon diritto”.

 

In sostanza il coordinamento di associazioni e sindacati chiede l’abolizione degli Ospedali psichiatrico giudiziari e lo fa dando vita ad una campagna dal titolo “Stopopg” perchè

questi istituti “rappresentano – sostengono le associazioni – un vero e proprio oltraggio alla coscienza civile del nostro Paese, per le condizioni aberranti in cui versano 1.419 persone (di cui 96 donne), 350 dei quali potrebbero uscirne fin da ora. L’Ospedale Psichiatrico Giudiziario è istituto inaccettabile per la sua natura, per il suo mandato, per la incongrua legislazione che lo sostiene, per le sue modalità di funzionamento, le sue regole organizzative, la sua gestione. La sua persistenza è frutto di obsolete concezioni della malattia mentale e del sapere psichiatrico, ma soprattutto di una catena di pratiche omissive, mancate assunzioni di responsabilità e inappropriati comportamenti a differenti livelli”.

 

La campagna lanciata oggi si fonda su una piattaforma di otto punti in cui tra l’altro si chiede al Governo di “rispettare gli impegni per passaggio della medicina penitenziaria al servizio sanitario nazionale e assicurare il finanziamento previsto dal patto per la salute” e alle regioni di “assumere l’onere dei trattamenti, delle cure, del reinserimento, attribuendo ai Dipartimenti di salute mentale (Dsm) le necessarie risorse se carenti”.

 

Nelgi otto punti che compongono la piattaforma si prevede inoltre la presa in carico degli internati da parte dei Dsm che “deve avvenire attraverso progetti individualizzati di cura e reinclusione”, va previsto “un meccanismo di incentivazione o di sanzione – da definire al tavolo Stato Regioni – per favorire la piena applicazione del Dpcm 2008 (il decreto che prevedeva il trasferimento della sanità penitenziaria dalla Giustizia alla Salute)”.

Alla magistratura si chiede la cessazione dell’utilizzo dell’OPG “per interventi diversi da quelli previsti per le misure di sicurezza per rei prosciolti”, si sollevano “dubbi sulla costituzionalità di un sistema che consente misure repressive assolutamente sproporzionate al reato, come esemplificato da innumerevoli episodi di internamento infinito, a seguito di reati di scarso rilievo”.

 

La piattaforma si chiude con una richiesta affinché il Governo “finanzi i 350 budget di salute/progetti terapeutico riabilitativi individualizzati per la dimissioni degli internati riconosciuti come dimissibili, impegnando attivamente le Regioni a farsene carico”.

 (da Quotidianosanità.it)

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