di Peppe Dell’Acqua

Il grido di dolore di Giorgio Bignami (vedi l’articolo “Se l’ideologia acceca, ..”) va a ingrossare un piccolo coro di segnalazioni che giungono al Forum e alla mia posta personale. Molti amici mi chiamano allarmati. Mi dicono che quasi ogni settimana “Il Manifesto” pubblica un articolo, un intervento, un qualcosa che si pone in un campo oscuramente critico nei confronti degli sforzi del cambiamento del lavoro di Basaglia, della straordinaria conoscenza che si è prodotta. Mi dicono che anche “L’Unità” non è da meno. Pubblica un inserto, “Left”, che pare abbia l’obiettivo di demolire il valore della conoscenza conseguente alla ricerca, all’innovazione che sono avvenute nel nostro paese. Di recente, ancora più allarmati, mi segnalano che l’iniziativa editoriale de “L’Espresso”, “Psicologia”, contiene un volume su Basaglia che sarà curato da Vittorino Andreoli. A chiamarlo lo stesso Galimberti, che dirige la collana. E adesso Giorgio Bignami segnala con il rigore, l’onesta intellettuale, lo spessore scientifico della sua lunga carriera quanto, purtroppo – e ce ne dispiace davvero molto – ha pubblicato Galimberti su “Donna” di “Repubblica”.

Dobbiamo prendere atto di un tanto e discutere. Essere nelle cose, sapere che le culture dominanti sono queste e tuttavia essere consapevoli della nostra forte minoranza. Voglio dire a Umberto Galimberti gli siamo grati per le parole luminose che hanno guidato le nostre ricerche, il nostro lavoro e ci hanno aiutato a sopportare la fatica e le offese che inevitabilmente si vivono quando si sperimenta il cambiamento.

Sono sicuro che Galimberti capirà le nostre critiche e vorrà ritornare sulla questione e liberarsi dalla trappola che l’indefinibile comportamento di Ciccioli gli ha teso: credo sia ora dismetterla di parlare dei familiari in quella vergognosa maniera. Spero che quanti, operatori, cittadini, familiari e persone con l’esperienza, leggeranno l’appello di Bignami dedichino un’ ora della loro intelligenza a discutere e a scrivere a Umberto Galimberti. E lo stesso invito rivolgo ai promotori della campagna di opposizione alla legge che in questi mesi si è sviluppata.

Dobbiamo dire qualcosa, fare qualcosa. Dobbiamo indignarci insieme. I segni che abbiamo rilevato sono indicatori preoccupanti di tempi oscuri. E’ tempo di ricominciare a parlare, a dire, a scrivere. A dire la verità, semplicemente. A volerla.

1 Comment

  1. roberto.morsucci

    L’Afasop ha inviato la seguente lettera a Galimberti:

    Gentile prof. Galimberti,
    abbiamo letto il Suo articolo apparso su D del 20 ottobre nel quale ha espresso un’opinione favorevole alla proposta di legge dell’on. Ciccioli. Lei ha una sola scusante: il non aver “letto nella sua articolazione” il disegno di legge.
    Siamo un gruppo di genitori triestini (diciamolo subito, di ogni tendenza politica) che hanno esaminato la legge in modo dettagliato e ne siamo inorriditi.
    Lei ritiene che questa legge vada incontro alle esigenze dei famigliari. Ipotizza cioè che ci siano genitori che, per avere un po’ di pace, siano disposti a far rinchiudere i loro figli? Perché di questo si tratta; lo diciamo per esperienza. E non ci venga a dire che non conosciamo bene il carico di sofferenze che le famiglie attraversano. Anche qui a Trieste. Non osiamo immaginare quello di chi vive in una città dove i servizi funzionano male o non funzionano affatto. Così, invece di migliorare i servizi si rinchiudono le persone che “danno fastidio”. In questo modo le risorse vengono dirottate dai servizi a quelle cliniche private che ricoverano per sei mesi, mandano a casa per qualche giorno e poi ricoverano di nuovo per altri sei mesi in un processo che non conosce fine. Non è manicomio questo? E’ questo che propone l’on. Ciccioli e che peraltro già avviene in altre regioni.
    Le persone che attraversano la sofferenza mentale hanno una loro volontà che non si può ignorare. Non li si può curare a forza: non solo perché non è giusto ma anche perché non funziona. Esistono altre modalità di coinvolgerli attivamente nel percorso di guarigione. E’ un processo difficile ma non impossibile. Qui a Trieste avviene ogni giorno.
    A nostro avviso questa legge fa leva sui dolori dei famigliari, sulle loro debolezze e sul fatto che non sanno che esistono altre modalità di cura e di alleviamento delle sofferenze. L’ignoranza dei genitori è normale: non sono mica psichiatri. Che non lo sappia Lei, che è un autorevole opinionista, riteniamo sia un po’ più grave. Naturalmente si può sempre rimediare. Venga a Trieste a conoscere le buone pratiche con le quali si affrontano i problemi della salute mentale. E’ mai possibile che qui vengano tedeschi, svedesi, giapponesi, australiani a studiare i nostri metodi di cura e gli italiani ci snobbano con l’accusa di ideologismo.
    Siamo stufi di questa etichetta. Qui ci sono solo buone pratiche che si evolvono continuamente da quando Basaglia è venuto a lavorare nella nostra città. Noi crediamo, infine, che a forza di demonizzare le ideologie (che nessuno di noi rimpiange) si rischia di rimanere a corto di idee e in balia solo delle nostre pulsioni. Sta già succedendo e non solo nella salute mentale.

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