sm[articolo uscito su associazionelucacoscioni.it]

In 300.000 si rivolgono ai servizi per le dipendenze , 900.000 le richieste di assistenza. Solo il 55% ottiene risposte.

In occasione della Giornata Internazionale per la Salute Mentale del 10 ottobre Fabrizio Starace, ex membro della Task Force di Colao, Presidente della Società Italiana di Epidemiologia Psichiatrica (SIEP), nel corso del XVII Congresso Nazionale dell’Associazione Luca Coscioni, di cui è Consigliere Generale, ha presentato una proposta per rispondere a un’emergenza che riguarda 300.000 persone con 900.000 richieste di assistenza presso i servizi di salute mentale.

Dai dati del Sistema Informativo Salute Mentale (SISM) emerge che nel triennio 2015-2017 si è verificata una progressiva riduzione delle risorse, un depauperamento del capitale umano e un impoverimento delle attività di inclusione sociale e lavorativa a fronte di un incremento delle prestazioni territoriali, di un aumento delle degenze e delle prescrizioni di ansiolitici e un’accentuazione delle disparità interregionali.

La sintesi del modello proposto dal professor Fabrizio Starace

Ovunque è in atto una crescente domanda di servizi relativi alla salute mentale determinati da fattori sociali, economici e culturali, come evidenziato dall’Oms.

Un’analisi condotta dalla Società Italiana di Epidemiologia Psichiatrica sul rapporto tra fabbisogno assistenziale espresso dall’utenza in carico ai Dipartimenti di salute mentale e la capacità assistenziale ha dimostrato che essi sono in grado di rispondere correttamente a solo il 55,6% del fabbisogno stimato. L’analisi condotta da FederSerD sulla base dei criteri minimi previsti dal DM 444/90 evidenzia una carenza di personale molto grave: in media la norma prevederebbe un numero 3 volte maggiore degli operatori attuali.

L’Italia si attesta nelle ultime posizioni in Europa per percentuale della spesa sanitaria investita in questo ambito (3,6% a fronte di Francia, Germania, Regno Unito che stanziano circa il 10%). Per le Dipendenze Patologiche, a fronte dell’1,5% della spesa sanitaria considerato standard di riferimento, la spesa non raggiunge lo 0,7%.

Investire nell’assistenza, incrementare l’investimento nei settori della Salute mentale e delle Dipendenze patologiche di almeno il 35% rispetto alla spesa attuale, prevedendo il graduale superamento delle disuguaglianze di accesso interregionali, attraverso il reclutamento del personale carente della dirigenza sanitaria e delle professioni sanitarie.

Tale incremento è pari complessivamente a circa 2 miliardi di euro e dovrà procedere parallelamente a un ri-orientamento delle prassi dei Servizi verso la personalizzazione degli interventi e il superamento delle strutture residenziali, attraverso un imponente piano di formazione e di qualificazione delle attività secondo criteri evidence-based.

Solo con sostanziali investimenti nei servizi di salute mentale e delle dipendenze patologiche per incrementare la consistenza numerica, tecnica, motivazionale e relazionale degli operatori impegnati nei servizi stessi si potrà recuperare il gap determinatosi nell’ultimo decennio tra fabbisogno assistenziale e capacità di risposta, accentuato dall’emergenza coronavirus.

Potenziamento dei servizi territoriali per la salute mentale e le dipendenze

In questa proposta si sostiene la necessità di sostanziali investimenti “in capitale umano” dei servizi di salute mentale e delle dipendenze patologiche, per incrementare la consistenza numerica, tecnica, motivazionale e relazionale degli operatori impegnati nei servizi stessi, per recuperare il gap determinatosi nell’ultimo decennio tra fabbisogno assistenziale e capacità di risposta, accentuato dall’emergenza coronavirus.

Sono stati presi in considerazione i servizi di Salute Mentale Adulti e delle Dipendenze Patologiche, indipendentemente dalla configurazione e dal vario grado di integrazione che le macrostrutture organizzative hanno assunto nelle diverse Regioni.

Secondo la World Health Organization (WHO), il sistema dei servizi di salute mentale è chiamato ad uno sforzo sempre maggiore per fronteggiare la crescente domanda di salute mentale determinata da fattori sociali, economici e culturali (WHO, European Mental Health Action Plan, 2013). Il cambiamento demografico in atto – dovuto principalmente alle ondate migratorie (Priebe et al., 2015) e all’invecchiamento della popolazione europea ed italiana (Volkert et al., 2012) –, la progressiva riduzione delle risorse a disposizione e l’impegno nel processo di deistituzionalizzazione richiedono una realistica analisi delle effettive possibilità operative dei servizi a fronte della domanda di assistenza e dell’impegno clinico richiesto.

Le informazioni ricavate dal Sistema Informativo Salute Mentale (SISM) relative all’anno 2016 (Ministero della Salute, Rapporto Salute Mentale, 2018), documentano le seguenti variazioni osservate nel solo triennio 2015-2017:

  • il depauperamento del capitale umano dei Servizi (oltre 500 medici in meno, 100 psicologi in meno, 1.000 infermieri in meno), a fronte di un incremento della domanda di assistenza (80.000 persone in più rispetto al 2015) attualmente quantificabile in circa 900.000 persone;
  • l’incremento delle prestazioni territoriali, da 10 milioni del 2015 a circa 11 milioni e mezzo nel 2017, anche se solo l’8% di queste è effettuato a domicilio delle persone assistite;
  • la riduzione ulteriore (solo 1 su 3) delle persone in contatto coi servizi territoriali nelle 2 settimane successive alle dimissioni ospedaliere;
  • l’aumento del 50% delle giornate di degenza in assistenza residenziale e della durata media di degenza, che supera gli 800 giorni;
  • l’aumento notevole dei soggetti ai quali vengono prescritti antipsicotici, che quasi raddoppiano dal 2015 al 2017, passando da 23 a 40 x 1.000.

Da quanto riportato sopra, sembrerebbe che l’intensità e l’appropriatezza delle cure erogate all’utente non costituiscano un set definito di attività ed interventi codificati da linee guida e raccomandazioni, in base al fabbisogno assistenziale espresso dall’utenza, quanto piuttosto una variabile dipendente dalla materiale disponibilità di personale operante.

Per quanto concerne i SerD, essi hanno in carico pazienti con elevata afferenza, frequenza di contatto anche giornaliera, frequentemente immunocompromessi e con stili di vita ad alto rischio di “contatto e di diffusione per SARS-CoV-2”.

Considerando le ultime Relazioni al Parlamento sia sulle Droghe illegali sia sull’Alcol e prendendo in esame l’applicazione delle numerose intese stato regioni e leggi settoriali (Gioco d’Azzardo e altre Dipendenze senza sostanza; Tabagismo; Farmaci legali; Accertamenti alcol e guida; accertamenti lavoratori a rischio; percorsi amministrativi con Prefetture art. 75 e 121 DPR 309/90; Competenze certificative legali, ecc…) si può affermare che il flusso annuo di persone che si rivolgono ai SerD abbia una consistenza numerica complessiva di circa 300.000 persone.

Questo dato è raddoppiato negli ultimi 10 anni, con diminuzione di almeno mille operatori addetti nei SerD (attualmente secondo i dati della relazione al parlamento 2019 gli operatori sono 6.496 in 568 Servizi e 628 sedi).

La pandemia da coronavirus ha interessato un settore già in grave sofferenza.

L’analisi condotta dalla Società Italiana di Epidemiologia Psichiatrica (Starace et al., 2019) sul rapporto tra fabbisogno assistenziale espresso dall’utenza in carico ai Dipartimenti di Salute Mentale e la capacità assistenziale necessaria per realizzare tutte le azioni previste da Raccomandazioni, Linee Guida, Percorsi e Protocolli di Cura, ha dimostrato che i DSM sono in grado di rispondere correttamente a solo il 55,6% del fabbisogno assistenziale stimato.

Analogamente, l’analisi condotta da FederSerD sulla base dei criteri minimi previsti dal DM 444/90, comprensivi dell’attività che i Servizi sono tenuti a svolgere presso Carceri e Comunità Terapeutiche segnala su tutto il territorio nazionale una carenza di personale molto grave: in media la norma prevederebbe un numero 3 volte maggiore degli operatori attuali.

Questi dati trovano conferma nella attuale configurazione degli investimenti nei rispettivi settori. Nonostante l’Italia rappresenti un modello per la Salute Mentale di Comunità (chiusura degli Ospedali Psichiatrici nel 1978 e degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari nel 2016) il Paese si attesta nelle ultime posizioni in Europa per percentuale della spesa sanitaria investita in questo ambito (3,6% a fronte di Francia, Germania, Regno Unito che stanziano circa il 10%). Per le Dipendenze Patologiche, a fronte del 1,5% della spesa sanitaria considerato standard di riferimento, la spesa non raggiunge lo 0,7%.

La ridotta disponibilità di fondi si è tradotta nel depauperamento dei Servizi Territoriali e nell’impoverimento delle attività di inclusione sociale e lavorativa, accentuando le disparità inter-regionali. Ne è conseguito un sempre più ampio ricorso alla residenzialità, da alcuni definita «nuova forma di istituzionalizzazione territoriale». Di fatto la spesa per la residenzialità rappresenta il 50% circa dell’intera spesa per la Salute Mentale in Italia e ben oltre il 50% per le Dipendenze Patologiche.

Di qui la proposta di incrementare l’investimento nei settori della Salute Mentale e delle Dipendenze Patologiche di almeno il 35% rispetto alla spesa attuale, prevedendo il graduale superamento delle disuguaglianze di accesso inter-regionali, attraverso il reclutamento del personale carente della dirigenza sanitaria e delle professioni sanitarie. Tale incremento è pari complessivamente a circa 2 miliardi di euro.

Tale investimento dovrà procedere parallelamente ad un ri-orientamento delle prassi dei Servizi verso la personalizzazione degli interventi ed il superamento delle strutture residenziali, attraverso un imponente piano di formazione e di qualificazione delle attività secondo criteri evidence-based.

Le attività svolte dovranno essere sottoposte a monitoraggio e valutazione sistematica, includendo indicatori di processo ed esito relativi alla Salute Mentale e alle Dipendenze Patologiche nel Nuovo Sistema di Monitoraggio dei LEA.

L’aumento atteso della capacità di resilienza della popolazione di utenti fragili della Salute Mentale e delle Dipendenze Patologiche così ottenuto potrà essere verificato attraverso indagini nazionali sui sistemi informativi della salute mentale e delle dipendenze patologiche, nonché su dati ISTAT.