Manca il 30 per cento del personale necessario Un milione di casi, torna la tentazione del manicomio.  Sono quindici milioni gli italiani ai quali capita, durante la vita, di andare da uno psichiatra, un neurologo, o fare uso di psicofarmaci per problemi legati alla loro psiche. Dall’attacco di ansia al piccolo, e momentaneo, abuso alcolico, da una crisi sentimentale passeggera ai disagi perché c’è il mutuo da pagare. Disagi lievi. Un milione, invece, soffrono di schizofrenia (500 mila) o di disturbi mentali severi: dalla depressione grave agli squilibri di personalità. Dati italiani. Poco più di 30 anni fa sarebbero tutti stati rinchiusi in manicomio. Anche una parte di coloro assolutamente non gravi, come gli smemorati. Poi è arrivato Franco Basaglia con la sua battaglia che si è trasformata in legge nel 1978. Ma che ancora oggi, trent’anni dopo, è incompiuta. Anzi, qualcuno vorrebbe ricreare i manicomi: con nome diverso, moderni e attrezzati, ma pur sempre manicomi. E la cronaca segnala casi limite tutt’ora esistenti con camicie di forza, pazienti legati, elettroshock. Basaglia non lo crederebbe. Incompiuta, la sua riforma, anche perché a livello nazionale dovrebbe essere attivo un operatore ogni 1.500 abitanti; in realtà sono all’incirca uno ogni 5.000, oltre il 30% in meno. La mappa dell’assistenza psichiatrica italiana a trent’anni dall’introduzione della legge di Riforma arriva dal congresso internazionale «Trieste 2010: che cos’è la salute mentale?». Oltre un migliaio di esperti provenienti da 40 Paesi del mondo. Operatori della salute mentale, dell’economia sociale, della cultura e del mondo accademico, ma anche persone con l’esperienza del disturbo mentale, familiari, rappresentanti dell’associazionismo, riuniti nel parco culturale di San Giovanni, fino al 1978 sede dell’ex Ospedale psichiatrico. Oggi centro di riferimento dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms). Il meeting è stato organizzato dagli «eredi» di Franco Basaglia: Franco Rotelli, direttore dell’Azienda sanitaria Ass-1 Triestina, e Giuseppe Dell’Acqua, direttore del Dipartimento di salute mentale di Trieste. Secondo l’Oms i disturbi psichiatrici sono le patologie che causano la quota più rilevante di disabilità: più del cancro o delle malattie infettive. In particolare nella fascia d’età 15-44 anni. Quindi con pesanti ricadute socio-economiche. Il mondo quindi si sta attrezzando e guarda all’esempio Trieste. E il resto d’Italia che cosa fa? A oltre 30 anni dall’entrata in vigore della legge Basaglia, l’attivazione di un Sistema informativo nazionale per la salute mentale è ancora un obiettivo da raggiungere. L’Istat ha pubblicato i dati sui ricoveri psichiatrici relativi al triennio 2004-2006. Numeri analizzati dal Servizio di psichiatria ed epidemiologia comportamentale del Cotugno di Napoli, dal team coordinato da Fabrizio Starace: nel 2006 sono stati registrati in Italia 318.043 ricoveri con diagnosi psichiatrica (di cui 74.327 in day hospital). I ricoveri per Trattamento sanitario obbligatorio (Tso) rappresentano il 4,3% e corrispondono a un tasso per 100.000 abitanti di 17,6. «E’ confortante rilevare—dice Starace—che i tassi di Tso mostrano un decremento passando da 18 per 100.000 abitanti a 17,6. Fenomeno non omogeneo: le Regioni con i tassi più contenuti sono il Friuli Venezia Giulia (5,7), la Basilicata (6,6) e la Toscana (7,6); all’opposto si collocano la Sicilia (29,1), l’Emilia Romagna (28,3) e l’Abruzzo (24,4)». A parte i Dsm (Dipartimenti di salute mentale: 190 in Italia), l’attuale rete territoriale di servizi comprende una gamma di strutture: Centri di salute mentale (Csm), Centri diurni (Cd), Day-hospital (Dh), Servizi per l’inserimento lavorativo, Strutture residenziali (Sr)e Servizi psichiatrici di diagnosi e cura (Spdc). Ma come sono distribuiti i 190 Dsm? Settantasette (41%) servono una popolazione tra i 100.000 e i 250.000 abitanti, mentre per altri 68 (36%) il bacino di utenza è tra i 250.000 e i 500 mila abitanti. Quattro Dsm nel meridione assistono oltre un milione di persone. I Csm, ovvero i servizi di base più importanti, sono 707. In Molise non sono mai stati attivati. Devono essere aperti, anche per interventi domiciliari, almeno 12 ore al giorno per 6 giorni la settimana. Solo 112 Csm (15,8%) sono aperti almeno 72 ore su 6 giorni la settimana. Frequente l’orario ridotto nei prefestivi e festivi, o la chiusura completa. Liste d’attesa? Mediamente quasi 8 giorni (7,80). Ma ci sono picchi di 75 giorni. Nel complesso in Italia (Sicilia esclusa), vi sono 4.113 posti letto nelle strutture pubbliche (0,79 per 10.000 abitanti). Le case di cura psichiatriche, ubicate in 10 tra le 20 Regioni censite, sono 54, con 4.862 posti letto. Il Lazio, la Campania e la Calabria hanno il minor numero di letti nelle strutture pubbliche e presentano la più elevata concentrazione nelle case di cura. Ma in Italia sembra riemergere la logica dei manicomi. Circa l’80% dei Spdc ha le porte d’ingresso chiuse a chiave. Dai dati della più recente ricerca condotta dall’Istituto superiore di sanità risulta che in 3 su 10 dei reparti visitati c’era almeno una persona legata, fino a 4 contemporaneamente in alcuni. Gli uomini più delle donne, gli immigrati più dei locali. In uno a essere legata era una ragazzina di 14 anni. Duecento Spdc sui 285 totali dichiarano di attuare la contenzione meccanica e di usare un camerino di isolamento. Gli altri 85 dichiarano di non ricorrere mai alla contenzione. Aggiunge Dell’Acqua: «E nei reparti di neuropsichiatria infantile, per esempio, bambini tra i 9 e 14 anni vengono legati al letto e trattati con super dosi di psicofarmaci. Malgrado la disponibilità ormai diffusissima di educatori, accompagnatori, volontari». E torna la medicalizzazione dei disturbi mentali. Dell’Acqua lancia l’allarme: «Le persone rischiano di nuovo di essere rinchiuse dentro mura ancora più spesse di quelle del manicomio. Sono le mura costruite dalla forza del modello medico e dal ritorno prepotente di una psichiatria che vede solomalattia, che fonda la sua credibilità sulla promessa della sicurezza e dell’ordine, su fondamenti disciplinari quanto mai incerti e controversi. Questa psichiatria è tornata nei Servizi psichiatrici di diagnosi e cura ospedalieri “blindati”, nelle affollate e immobili strutture residenziali, in comunità senza tempo che si dicono terapeutiche e che si situano fuori dal mondo delle relazioni, nei Centri di salute mentale vuoti e ridotti a miseri ambulatori».

(Mario Pappagallo DAL cORRIERE DELLA sERA.IT,  13 febbraio 2010)

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