di Toni Jop.

“Quel che so per certo è questo: grazie al decreto, cancelleremo la tortura degli ospedali psichiatrici giudiziari, nessun internato sarà più legato al letto e costretto a defecare attraverso un buco nella rete, intanto…”: ecco Ignazio Marino, senatore Pd e chirurgo, rispondere alle critiche lanciate da Franco Rotelli e dai “basagliani” alla legge che abolisce i cosiddetti Opg e propone l’apertura di un certo numero di strutture alternative regionali. Marino è anche il presidente della commissione parlamentare che ha mostrato al paese la disumanità dei vecchi lager istituiti dal codice Rocco, nonché primo firmatario della legge di riforma. Su questo giornale, Rotelli aveva ieri denunciato quello che secondo gli obiettori è un “fatto”: e cioè che con la nuova legislazione in materia si creeranno nuovi manicomi, piccoli e carini ma in aperta contraddizione con lo spirito e la cultura su cui si fondava la legge 180 che ha abolito gli ospedali psichiatrici. Non solo: gli psichiatri “triestini” lamentano che da qui in poi ai medici verrà imposto un ruolo di custodia, quello stesso che sempre la legge 180 aveva fatto correttamente saltare.

D- Allora, dottor Marino: si è trovato di fronte a delle osservazioni che vanno respinte al mittente, oppure c’è da discutere?

R- Io dico che abbiamo fatto un passo avanti e che nessuno può metterlo in dubbio. Quando sono entrato per la prima volta in un Opg, ho trovato un uomo legato da cinque giorni al suo lettino. Pensare che non sarà più sottoposto a una simile tortura per me è motivo di moderata soddisfazione, non un motore di insoddisfazione. Avere la certezza che finirà prestissimo il calvario di un altro internato che un quarto di secolo fa aveva rubato seimila lire fingendo, con altri complici, di essere armato e non era mai più uscito da quelle mura atroci è, ancora, motivo di moderata soddisfazione. In questo non sono d’accordo con Rotelli, Dell’Acqua e gli altri che parlano di un passo indietro. Proprio non ci riesco a vederla così. Per il resto, sempre e comunque confronto e discussione, soprattutto con loro che sono gli autori della demolizione del manicomio, che sanno quel che dicono e soprattutto quel che fanno…

D- Quindi, per lei non si affida alle regioni il compito di costruire dei piccoli manicomi, puliti e garbati ma dove la contenzione è comunque legge?

R- Vede, io e la commissione che per mesi e con grande coralità ha lavorato a questo tema, siamo entrati in una cucina e abbiamo cercato di confezionare un piatto decoroso con i mezzi che avevamo a disposizione. Capisco il punto messo a fuoco da Rotelli, sta tutto dentro la definizione di “pericolosità sociale”, dentro il codice di procedura penale che consente al tribunale di dirottare un reo dalla cella all’Opg in virtù di una sentenza che accerta l’incapacità di intendere e di volere del giudicato. Rotelli dice: che il colpevole sconti la sua pena in cella, si giudica il reato non la persona, quindi conta relativamente il suo disagio mentale nel comminare la pena. Il matto che ha commesso un delitto, stia, conclude, in cella e lì sia curato…

D- E’ così, se non si vuole, di nuovo, blindare la psichiatria nel ruolo di secondino…

R- E posso comprendere. Ma io ho a che fare con gente che è già stata giudicata. Che devo fare con i pluriomicidi affetti da gravi sofferenze psichiche? Non posso destinarli ad una cella a dispetto delle disposizioni di un tribunale. Quindi, qualcuno mi aiuta ad uscire da questo vicolo cieco? Sicuro: sono abbastanza d’accordo con Rotelli, bisognerebbe riformare il Codice Rocco, ma lei crede che sia iniziativa da poco e di poco tempo? Quello schifo doveva cessare, intanto. E mi pare che ce l’abbiamo fatta in un lasso di tempo sorprendentemente breve, inseguiti da un giudizio del Consiglio d’Europa che ci accusava di esercitare la tortura. Comunque, massima apertura…

D- Ma se è vero che niente, in Italia, è più tenace del provvisorio, non crede che comunque si istituiscano, grazie a questa legge, dei luoghi non diversi dai manicomi? In altre parole: se un matto non commette reato non va in manicomio, ma se invece viene condannato allora in manicomio ci può andare. Ma non avevamo detto basta ai manicomi?

R- Non saranno manicomi: all’interno della struttura alternativa ci sarà solo personale sanitario. Per nessun motivo gli agenti di sicurezza entreranno in contatto con gli internati.

D- Perché staranno fuori, a far cordone. Ma nemmeno nei manicomi la “legge” interna era garantita dagli agenti, ci pensavano i medici e gli infermieri. Ammetterà che esiste un “vallo” almeno nebbioso in questa logica dei due tempi. Prima chiudere i vecchi Opg e poi pensiamo al codice Rocco?

R- Senta, concorda con me e sulla base di considerazioni lucidissime anche Cesare Bondioli, responsabile per Psichiatria Democratica degli Opg. Trovo conforto nella legislazione di alcuni paesi del Nord Europa e ancora sono convinto che siamo solo all’inizio di un percorso che senza dubbio dovrà essere progettato con la massima partecipazione dei tecnici della materia, quindi a partire da chi ha lavorato con Basaglia all’abolizione dei manicomi. Ma di lasciare al loro destino quelle persone trattate peggio delle bestie non se ne parla nemmeno.

D- Proprio perché sanno il fatto loro, magari hanno ragioni da accampare quando criticano la nuova legge…

R- Certo, ma quando Rotelli dice: i matti colpevoli di delitti vadano in cella, non in strutture alternative, e lì si facciano curare, altrimenti ricreiamo i vecchi manicomi, resto, mi creda, perplesso. Ha idea di che cosa voglia dire oggi in Italia pretendere una qualsivoglia cura in un carcere? Rotelli e Dell’Acqua dovrebbero con umiltà visitare qualche penitenziario per rendersi conto di questa inattualità: in cella non si cura nemmeno un raffreddore, altro che sofferenze psichiche gravi.

(da L’Unità)

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