(ph Jörg Heidenberger)
(ph Jörg Heidenberger)

Pietro Pellegrini*

Il tema della creazione di un sistema che sostituisca gli Ospedali Psichiatrici Giudiziari (OPG), chiusi ope legis ad aprile 2015, una “rivoluzione gentile” così l’ha definita il commissario Franco Corleone, resta di grande attualità da un lato per tutti i problemi legislativi rimasti irrisolti e dall’altro per la necessità di ridefinire visioni e prassi operative sia della magistratura che dei dipartimenti di salute mentale.

Come è noto la riforma non ha modificato il codice penale relativamente ad imputabilità, pericolosità sociale, misure di sicurezza e non sono state eliminate nemmeno le contraddizioni più evidenti. La necessità di superare il c.d. “doppio binario”,  di garantire il diritto al processo a tutte le persone comprese quelle con disturbi mentali, evitando misure e percorsi opachi, spesso assai poco garantiti, resta una priorità.

La recente approvazione della legge delega sulla giustizia penale ha scongiurato un pericolosa regressione ma tutto il percorso richiede ancora un’alta attenzione in vista dell’emanazione dei decreti attuativi. A questo proposito, in coerenza con gli ordini del giorno approvati in Parlamento, l’intenzione del Ministero della giustizia[1] sembra quella di volere riservare le Residenze per l’Esecuzione delle Misure di Sicurezza (REMS) ai soggetti con misure di sicurezza detentive di tipo definitivo mentre per le altre situazioni (coloro che sono sottoposti a misure di sicurezza detentive provvisorie o nei quali lo stato di infermità psichica sia sopravvenuto nel corso della detenzione e le persone alle quali è stato riconosciuto un vizio parziale di mente) la risposta in primis dovrebbe essere data dalle Articolazioni per la salute mentale negli istituti di pena.

Soluzione questa che, almeno sotto il profilo clinico, non appare convincente in quanto la sede ove curare la persona dovrebbe essere quella più adatta in relazione ai bisogni sanitari. Sembra si continui a ragionare più di strutture, di posti dove collocare le persone e non tanto di progetti terapeutico riabilitativi da realizzarsi in primis, come per altro indica la legge 81/2014, nella comunità sociale.

L’OPG non è stato sostituito dalle REMS bensì dal sistema di welfare di comunità, del quale fa parte il Dipartimento di salute mentale, al cui interno come strutture socio-sanitarie e non penitenziarie, operano le REMS.

Non so quanto consapevolmente ma l’azione legislativa, per quanto incompleta, ha determinato le condizioni per la creazione di un sistema fondato su attività di cura e misure giudiziare di comunità. Un nuovo impianto che sposta l’attenzione dai luoghi separati alla comunità sociale e all’insieme delle attività e dei servizi che in essa vi operano. Alla precedente impostazione penitenziaria (custodialistica) se ne è sostituita una di carattere sanitario (inclusiva) con una funzione di garanzia della magistratura. Ciò deve essere registrato nei diversi accordi, ad esempio quello Stato-Regioni, onde evitare passi indietro, il mantenimento di approcci e linguaggi del tutto inadeguati o pesantemente in contrasto con il nuovo approccio. In questo quadro credo siano essenziali la vigilanza della società civile (Stopog e tante altre realtà associative) e il protagonismo dei Dipartimenti di salute mentale (DSM), del Coordinamento nazionale delle REMS affinché la revisione della normativa sia coerente con quanto finora si è realizzato nelle pratiche e con gli orientamenti parlamentari.[2]

Altro elemento assai importante è il pronunciamento del Consiglio Superiore della Magistratura[3] che costituisce un sicuro punto di riferimento sia per quanto attiene ai contenuti che al metodo indicato. Formazione e lavoro congiunto (cruscotti, tavoli, protocolli regionali) tra magistratura e dipartimenti di salute mentale possono essere gli strumenti per sviluppare e implementare le “buone pratiche”. La costituzione formale di un organismo di coordinamento stato-regioni e di cruscotti regionali che coinvolgano tutti gli attori del nuovo sistema potrebbe essere un passaggio significativo.

Un percorso che può portare a nuovi, più avanzati punti di incontro tra giustizia e psichiatria per dare piena funzionalità al sistema riformato, superare le criticità (ad es. le liste di attesa, gli invii inappropriati, le dimissioni dalle REMS, i migranti e senza fissa dimora, un’appropriata risposta alle  donne) e raggiungere così un risultato straordinario: fare strutturalmente a meno dell’OPG e delle logiche che lo sostenevano.

Questo, tuttavia, non può risolvere tutte le contraddizioni evidenziate dalla chiusura degli OPG: mi riferisco da un lato alla questione della salute mentale negli istituti penitenziari, alla necessità di dare corso a misure alternative e innovative e, dall’altro all’impegno crescente dei DSM per occuparsi in modo efficace di tutti quei casi con misure giudiziarie (libertà vigilata, arresti domiciliari ecc.) presenti nel territorio. E’quindi essenziale un’attenzione politica che sappia sostenere il sistema di welfare pubblico universalistico, legiferare e programmare adeguate risorse nell’ambito di politiche per i diritti, la salute e la sicurezza in grado di essere efficaci e non siano incentrate in primis sulla detenzione, dotando di adeguati mezzi l’intero sistema sia quello sanitario che giudiziario. La riforma ha evidenziato anche alcuni limiti nella risposta del sistema socio-sanitario a problemi posti da soggetti affetti da autismo, disabilità intellettiva, decadimento cognitivo che assolutamente non dovrebbero entrare in REMS ma trovare altre tipologie di risposte.

Il futuro della riforma dipenderà dal respiro e dalla forza della nuova impostazione. Senza tutto questo, il superamento degli OPG per via sanitaria, che è riuscito con uno sforzo ingente, rischia di non reggere la pressione che viene dall’esterno, dal sistema giudiziario e da quello penitenziario o dall’opinione pubblica, affinché svolga un mandato, quello custodialistico-securitario, strutturalmente impossibile. Il reflusso e la controriforma avanzeranno, magari sotto il peso dei problemi irrisolti (liste di attesa, cedimento dei DSM per impossibilità a svolgere la cura e l’abilitazione) dando spazio a diverse soluzioni come ad esempio strutture a gestione “penitenziaria” (che, va ricordato, dovevano portare alla chiusura degli OPG ma quella via più volte ipotizzata non si è mai realizzata).

Dimostrato che l’OPG può essere chiuso tramite la psichiatria di comunità, occorrono una vision chiara e una precisa metodologia. Seppure la misura di sicurezza deve essere adeguata ad assicurare le cure e a fare fronte alla pericolosità sociale, è la stessa Corte Costituzionale a precisare che «le esigenze di tutela della collettività non potrebbero mai giustificare misure tali da arrecare danno, anziché vantaggio alla salute del paziente» (Sentenza n. 253/2003). Quindi per quanto si cerchi di dare equilibrio e sinergia fra i mandati che fanno capo a normative e competenze diverse, nel nuovo sistema a gestione sanitaria, deve prevalere con nettezza quello di cura.

Quindi occorre più coraggio, maggiore capacità di ascolto per prevenire con uno sforzo comune le misure di sicurezza detentive, più innovazione per preservare le caratteristiche essenziali della riforma: ad esempio avvallare l’intero programma di cura, sviluppare soluzioni altamente personalizzate anche sperimentali, garantire fin da subito permessi e attività, forte elasticità nei percorsi, sicurezza e libertà nelle cure.

Gran parte delle misure di sicurezza detentive è evitabile, molti dei pazienti in REMS sono già oggi dimissibili, vanno abbandonate posizioni autoreferenziali e decisioni unilaterali a volte del tutto al di fuori dello spirito della nuova legge. Ancora troppe volte si ha una concezione della misura amministrativa di sicurezza come pena, dotata di una sua autonomina e priorità quando invece dovrebbe accompagnare e sostenere il percorso di cura.

La chiusura degli OPG ha evidenziato la questione della salute mentale negli istituti di pena dove è rilevante la percentuale di persone detenute con disturbi psichici o dipendenze patologiche e vi sono grandi difficoltà o l’impossibilità a realizzare un adeguato trattamento individualizzato all’interno di apposite sezioni dedicate. Osserva, amaramente, il CSM: «La realtà nota agli operatori, purtroppo, è nel senso della sostanziale inesistenza, allo stato, di contesti penitenziari in cui siano offerti regimi di trattamento differenziato indirizzati alla osservazione, alla cura e alla riabilitazione effettive di individui affetti da infermità psichica».

Quindi un raccordo fra magistratura di cognizione, di sorveglianza, amministrazione penitenziaria e DSM è essenziale per creare percorsi sperimentali negli istituti penitenziari anche per quei soggetti (non responders, gravi psicopatici, elevate esigenze di custodia, etc.) per i quali non risulta appropriato il ricovero nelle REMS. Poi vi sono questioni specifiche quale quella dei soggetti senza fissa dimora (circa 8% del totale degli ospiti delle REMS), delle donne autrici di reato e prosciolte.

In questo quadro certamente complesso è ancora troppo diffusa la convinzione che la REMS sia/debba essere un’appendice degli istituti di pena, in una sorta di circuito parallelo nel quale la funzione custodiale sia prevalente. O nel migliore dei casi sia una sorta di area di transizione tra due sistemi con una sorta di impossibile bilanciamento fra due funzioni cura e custodia che i sanitari non possono svolgere contemporaneamente.

La riforma, nell’affidare alla sanità (e non solo alle REMS) la gestione dei percorsi dei pazienti autori di reati e prosciolti, ha cambiato l’intero sistema, collocando il mandato di cura in una prevalenza di fatto perché è solo attraverso questo che la persona può migliorare, cambiare e ritornare ad essere parte della comunità sociale. È un compito assai difficile che la psichiatria di comunità italiana si è assunta e con coraggio e molte difficoltà sta portando avanti meglio laddove vi è il dialogo e il sostegno delle magistrature con le quali condividere programmi e rischi, definire le garanzie, rispetto alle possibili ricadute della patologia e recidive dei reati. Un lavoro che è più facile laddove vi sono Enti locali sensibili, comunità accoglienti, sensibili e solidali…

Attualmente non vi è una strada diversa, né può mai essere tale l’abbandono delle persone. Al contempo appare a tutti chiaro che il processo riformatore non è finito ma è solo iniziato. Occorrono altri investimenti che portino a una diversificazione dei Servizi e delle strutture, all’affermazione dei diritti, a linguaggi nuovi (non più internati ma ospiti, non più minorati ma “persone con…”, “affette da…” e così via) e pensieri lunghi nella relazione fra magistratura e psichiatria.


* Dipartimento Assistenziale Integrato Salute Mentale e Dipendenze Patologiche (DAI-SMDP) della Ausl di Parma, Largo Natale Palli 1/B, 43126 Parma, tel. 0521-396624/8, fax 0521-396633, E-Mail <ppellegrini@ausl.pr.it>.

[1] https://www.giustizia.it/giustizia/it/mg_6_9.page;jsessionid=W2QHD2iEtw+PBRJYbxIeShOs?contentId=NOL33582&previsiousPage=homepage

[2] http://documenti.camera.it/leg17/resoconti/assemblea/html/sed0813/leg.17.sed0813.allegato_a.pdf

[3] (Fasc. 37/PP/2016 del 19 aprile 2017, “Disposizioni urgenti in materia di superamento degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari (OPG) e di istituzione delle Residenze per l’Esecuzione delle Misure di Sicurezza (REMS), di cui alla Legge n. 81 del 2014. Questioni interpretative e problemi applicativi”: www.societadellaragione.it/2017/04/22/falsi-allarmi-la-verita-sulla-chiusura-degli-opg).

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