il latodi  Luigi Benevelli

“Il lato positivo” è un film che rappresenta con grande efficacia l’importanza delle relazioni affettive e dell’evolversi delle vicende personali nel portare a guarigione, o comunque nel migliorare la capacità di funzionare nella vita quotidiana  delle persone con disturbi di interesse psichiatrico.

Un giovane adulto americano, con un disturbo cosiddetto bipolare, che comporta l’alternarsi di fasi di euforia e fasi di depressione, è in trattamento coatto in una struttura psichiatrica giudiziaria e impedito a contattare e avvicinare la moglie che lo aveva tradito. In particolare egli perde il controllo di sé quando sente la canzone cantata quando si era sposato. Nella struttura psichiatrica  il trattamento è prevalentemente farmacologico, però lui le pillole le sputa fuori perché lo fanno star male, “sentire strano”.

Riesce a circuire la madre e con il suo aiuto riesce a uscire anticipatamente dalla struttura psichiatrica, affidato ai genitori. Rifiuta di prendere i farmaci prescritti e cerca di controllare le proprie tensioni affaticandosi con la corsa, ma rimane rumoroso, disturbatore, sempre tirato al limite. Incontra una giovane donna, anch’essa piena di problemi e con una vita disordinata, turbolenta, irregolare. L’incontro cambia la vita dei due che faticosamente si emancipano dalle tutele dei genitori  e dai pregiudizi dei conoscenti.

Al di là della conduzione e della recitazione straordinarie (alla protagonista Jennifer Lawrence è stato assegnato l’Oscar per la miglior interprete femminile), del film mi hanno colpito alcuni  elementi che sono noti a chi è dentro l’esperienza e il lavoro per la salute mentale, ma meno noti al pubblico:

  • Nella struttura psichiatrica il trattamento è centrato sul farmaco; ma anche per la famiglia la cura coincide con l’assunzione del farmaco
  • Il terapeuta  che segue il protagonista dopo la dimissione dalla struttura psichiatrica giudiziaria più che sul farmaco insiste perché il protagonista trovi i modi, le strategie utili a controllare i propri comportamenti nelle situazioni che possono provocare le crisi
  • Nella famiglia, che gli vuole bene, il padre è una persona gravemente dipendente dal gioco delle scommesse, tifoso della locale squadra di football americano  (come anche il terapeuta),    diffidato dall’entrare nello stadio per i suoi comportamenti violenti. Il fratello, che si ritiene persona di successo e normale, lo considera un malato e un fallito
  • I membri della “comunità” di relazioni sociali e di parentela nutrono forti e radicati pregiudizi e preoccupazioni nei confronti dei due protagonisti in quanto diagnosticati affetti da disturbi mentali.

Alla fine, per il succedersi degli eventi il nostro e la sua problematica compagna ritrovano la capacità di funzionare, amare, controllare e liberarsi dagli incubi che li turbavano. Ma anche l’atteggiamento degli altri nei loro confronti cambia.

Per dire che non si guarisce da soli, che i cambiamenti nei percorsi di cura riguardano non solo le persone con disturbo, ma anche chi sta loro vicino e ha con loro relazioni, per quanto conflittuali possano essere, che “nessuno da vicino è normale” , che i farmaci possono essere utili, ma non sono risolutivi né il mezzo esclusivo di cura. Basti notare che i genitori del protagonista, che pure qualche sintomo di interesse psichiatrico lo presentano, cambiano, ma non perché hanno assunto psicofarmaci.

“Il lato positivo” è uno straordinario “manifesto” dell’importanza del ruolo dei fattori non clinici nella guarigione delle persone con disturbo mentale; del fatto che le cure per forza, senza e contro il consenso dell’interessato non sono efficaci e che le persone sono sempre protagoniste della propri a salute.

Consigliato a chi è impegnato nel lavoro per la salute mentale propria e quella degli altri.

Write A Comment