Venerdì sera (23 novembre) a “Ottoemezzo” da Gruber ancora Andreoli (vedi quanto già pubblicato sul Forum). Più volte ha detto che “ama i suoi matti” e che lui stesso è mezzo matto per aver tanto amato i suoi matti. Ancora nessuno dei giornalisti che ritengo dotati di forte capacità critica riesce a far notare al vecchio ed esperto psichiatra che ha tanto da raccontare che il paternalismo è violenza quanto e più dell’esercizio della sopraffazione, della violazione del corpo.

L’uso del pronome possessivo, usato per connotare persone gerarchicamente sottoposte non può che denunciare la prepotenza del potere. Il mio infermiere, il mio assistente, la mia caposala, i miei malati non fanno altro che smascherare il benevolo e magnanimo direttore.

Gruber, dotata di evidente intelligenza critica, alla fine ha fatto fatica a trattenere un certo fastidio. Almeno così mi è parso, e così voglio credere.

Non posso non ricordare Dandini, che stimo per la sua scanzonata visione critica, che sempre intervistando il nostro, mostra entusiasmo per le parole “profonde” e lo nomina il “suo psichiatra preferito”.

Come è possibile ignorare le pesanti posizioni “scientifiche” e culturali che prefigurano per gli “amatissimi matti” incapacità, manicomi giudiziari, infantilizzazione, pericolosità, luoghi sicuri per proteggere tutti noi dalla imprevedibilità del folle?

Amatissimo sempre, specie se ridotto alla contenzione, all’isolamento, alla sottomissione.

di Peppe Dell’Acqua

2 Comments

  1. Aboutwater

    Ci risiamo. Quelli che “io i miei matti li amo, veramente”.
    Andreoli come Tobino. Che Dio ci aiuti!
    Ma almeno Tobino era uno scrittore, veramente!

  2. Nel mio lavoro mi accade di avere la sensazione e vedere quanto in realtà i pazienti siano scomodi, senza appartenenza e per dirla tutta e sinteticamente quanto piuttosto, non siano di nessuno.
    Ma non è sempre così perchè se gli stessi possono rappresentare un qualche interesse istituzionale o di parte allora si assiste ad una rapida “escalation” per utilizzarli in nome di ragioni legate alla pericolosità, alla loro condizione di malattia o di vantaggio manipolativo e personalistico.
    Non è impossibile che Andreoli quando dice i “miei matti” riesca a mettere insieme ciò che gli altri non vogliono (i matti) e un interesse paternalistico del “ghe pensi mi”.
    Una rappresentazione rassicurante in cui l’amore gioca a farsi caricatura.

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