lavoroTrieste 23 giugno 2012 impazzire si può parte 3

Il viaggio in treno funge da diaframma, da lento mezzo di trasporto da una dimensione all’altra. Arrivare in certe città in treno è un’esperienza: quando arrivi a Venezia, l’ultimo pezzo di laguna sembra una sospensione spazio-temporale sull’acqua; Trieste, una galleria alla volta, l’adriatico blu, le colline, la vista dall’alto, somiglia a un miraggio molto concreto.

Trieste è miscellanea di miti, primi fra tutti quelli letterario e psichiatrico, entrambi strettamente umanistici, umani, e in quanto tali, imperfetti. Forse è proprio questa propensione al mito imperfetto, a farmela amare così tanto.

Oggi il tema è “il lavoro che mi fa impazzire”, e le esperienze che si susseguono sono caratterizzate dalla concretezza. In alcuni casi, quasi tutti a dire il vero, anche dal genio e dal coraggio, nella loro dimensione ordinaria e quotidiana.

Riconversione al biologico in zona campana. Può diventare perfino conveniente, ma le difficoltà, nella zona di Caserta, sono molto complesse e pericolose.

Esperienza a Casal di Principe, approccio a partire da esperienze triestine- appartamenti al posto di cliniche, ecc.-. Il ragazzo che presenta (Peppe Pagano, ndr) dice che allora aveva paura, e che confessava ad uno psichiatra triestino che non aveva esperienza, e che questo gli ha risposto che questa era la sua vera fortuna.

La storia di come la comunità accetta i matti, pur con un’iniziale, ovvia, diffidenza.

Keynes diceva che, per far fronte alla crisi, non si deve tanto inventarsi qualcosa di nuovo, ma liberarci di quella parte che ci opprime e non serve più.

Esperienza della trattoria dell’amicizia di Roma, fondata dalla Comunità di Sant’Egidio. Piccola coop di tipo b, locale. Difficoltà iniziali che sembravano insuperabili, ma insistendo il ristorante, da piccolo, è diventata un’impresa con 23 dipendenti: è un posto speciale con un sovrappiù dato dal capitale umano dei cosiddetti ” matti”.

Finalmente Rotelli, anche se in video da Torino. Riconversione del modo di intendere il recupero e il lavoro: le istituzioni totali non producono un bene, ma hanno un uso di contenimento, di esclusione controllata. Smetterla di costruire il nuovo e gestire l’esistente, e le esistenze delle persone.

La cooperazione sociale, le buone pratiche producono, anche in caso di persone fortemente compromesse, protagonismo attivo e diritto alla parola.

Esperienza rete di biblioteche. Incapacità farraginose degli enti pubblici. Uscendone, grandi disponibilità. L’idea di mettere in rete tutte le biblioteche, ma anche quelle di privati cittadini, riutilizzando gli spazi esistenti.

Ripensare al bene comune come contrasto alla crisi.

Intervento sull’economia civica.

Il 50% delle borse lavoro è cronicizzata, l’80% delle formazioni lavoro non portano a niente. Questo rischia di mantenere sacche di inutilità sociali e di spesa. Domandarsi cos’è una vita buona, a partire dal mondo del lavoro. L’ente pubblico spreca molti soldi in laboratori che non c’entrano con la vita. Uscire dal mito di autonomia, per passare alle interdipendenze positive e intelligenti.

Reinvestire, ad esempio, in quei luoghi spopolati che non hanno più un panificio e una latteria, e riapro un negozio, che magari porta a domicilio i beni primari, creando non tanto profitto, ma relazione.

Riaprire negozi, investire nella rete delle fattorie sociali, nell’agricoltura sociale.

Esperienza del mad pride. Torino. Uscire dai circuiti autoreferenziali sanitari e sociali, e uscire, farsi vedere, incontrare. Costituzione di un’agenzia interinale a cottimo, coinvolgendo soggetti psichiatrici.

torinomadpride@gmail.com

Gruppo teatrale sperimentale all’interno delle scuole.

Associazione che produce giochi in legno e animazione.

E infine le conclusioni di Peppe.

Cita, pronunciando nomi e cognomi, le associazioni assenti al forum, invitando loro e i presenti a rinunciare ai piccoli egoismi, a non cedere ai piccoli motti d’orgoglio, e unirsi. Parla della commissione, a cui è stato invitato, convocata in parlamento per ridiscutere la 180 con Ciccioli, e fa i nomi di alcuni di quelli che partecipano, dei quali prova vergogna per la comune appartenenza alla casta degli psichiatri.

Invita tutti, citando Gramsci, a dire la verità, a denunciarla, sempre e comunque, perché ” la verità è rivoluzionaria”.

Esco dal teatro Basaglia, un vento morbido mi accarezza. L’impressione di struggente piccola felicità privata, e al tempo stesso condivisa, mi strattona, mi premia con un senso di fiducia e non cede al pessimismo che tanto poi, fuori da qui, tutto e tutti sono uguali, e spesso impauriti e attaccati ai loro ruoli sociali, come soldatini ubbidienti. No, la consapevolezza che è la dispersione, la vera arma segreta di chi gestisce i poteri e impedisce la rivoluzione del diritto di essere ciò che si è. Quel che si è, è un’unicità che va tutelata, affermata, voluta e stretta forte in un abbraccio caloroso, competente e non pietistico. Il peggior torto che ci auto infliggiamo è quello di cedere al conformismo, alla innaturale fisionomia dei modelli sociali.

Il sociale siamo noi, e se noi non siamo ma fingiamo di essere, il sociale diventa finzione massificata in cui, più che vivere, recitiamo la vita.

Cristiano Prakash Dorigo

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