L. 26 luglio 1975, n. 354 (1).
Norme sull’ordinamento penitenziario e sull’esecuzione delle misure privative e limitative della libertà (2).

(1) Pubblicata nella Gazz. Uff. 9 agosto 1975, n. 212, S.O.
(2)  Vedi, anche, la L. 10 ottobre 1986, n. 663.
 

TITOLO I 
Trattamento penitenziario


Capo I 
Princìpi direttivi

1. Trattamento e rieducazione.
Il trattamento penitenziario deve essere conforme ad umanità e deve assicurare il rispetto delle dignità della persona. 
Il trattamento è improntato ad assoluta imparzialità, senza discriminazioni in ordine a nazionalità, razza e condizioni economiche e sociali, a opinioni politiche e a credenze religiose. 
Negli istituti devono essere mantenuti l’ordine e la disciplina. Non possono essere adottate restrizioni non giustificabili con le esigenze predette o, nei confronti degli imputati, non indispensabili a fini giudiziari. 
I detenuti e gli internati sono chiamati o indicati con il loro nome. 
Il trattamento degli imputati deve essere rigorosamente informato al principio che essi non sono considerati colpevoli sino alla condanna definitiva. 
Nei confronti dei condannati e degli internati deve essere attuato un trattamento rieducativo che tenda, anche attraverso i contatti con l’ambiente esterno, al reinserimento sociale degli stessi. Il trattamento è attuato secondo un criterio di individualizzazione in rapporto alle specifiche condizioni dei soggetti.

 2. Spese per l’esecuzione delle pene e delle misure di sicurezza detentive.
Le spese per l’esecuzione delle pene e delle misure di sicurezza detentive sono a carico dello Stato. 
Il rimborso delle spese di mantenimento da parte dei condannati si effettua ai termini degli articoli 145, 188, 189 e 191 del codice penale e 274 del codice di procedura penale. 
Il rimborso delle spese di mantenimento da parte degli internati si effettua mediante prelievo di una quota della remunerazione a norma del penultimo capoverso dell’articolo 213 del codice penale, ovvero per effetto della disposizione sul rimborso delle spese di spedalità, richiamata nell’ultima parte dell’articolo 213 del codice penale. 
Sono spese di mantenimento quelle concernenti gli alimenti ed il corredo. 
Il rimborso delle spese di mantenimento ha luogo per una quota non superiore ai due terzi del costo reale. Il Ministro per la grazia e giustizia, al principio di ogni esercizio finanziario, determina, sentito il Ministro per il tesoro, la quota media di mantenimento dei detenuti in tutti gli stabilimenti della Repubblica.

3. Parità di condizioni fra i detenuti e gli internati.
Negli istituti penitenziari è assicurata ai detenuti ed agli internati parità di condizioni di vita. In particolare il regolamento stabilisce limitazioni in ordine all’ammontare del peculio disponibile e dei beni provenienti dall’esterno.

 4. Esercizio dei diritti dei detenuti e degli internati.
I detenuti e gli internati esercitano personalmente i diritti loro derivanti dalla presente legge anche se si trovano in stato di interdizione legale.

 4-bis. Divieto di concessione dei benefìci e accertamento della pericolosità sociale dei condannati per taluni delitti (3).
1. L’assegnazione al lavoro all’esterno, i permessi premio e le misure alternative alla detenzione previste dal capo VI, esclusa la liberazione anticipata, possono essere concessi ai detenuti e internati per i seguenti delitti solo nei casi in cui tali detenuti e internati collaborino con la giustizia a norma dell’articolo 58-ter della presente legge: delitti commessi per finalità di terrorismo, anche internazionale, o di eversione dell’ordine democratico mediante il compimento di atti di violenza, delitto di cui all’articolo 416-bis del codice penale, delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dallo stesso articolo ovvero al fine di agevolare l’attività delle associazioni in esso previste, delitti di cui agli articoli 600, 600-bis, primo comma, 600-ter, primo e secondo comma, 601, 602, 609-octies, e 630 del codice penale, all’articolo 291-quater del testo unico delle disposizioni legislative in materia doganale, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 23 gennaio 1973, n. 43, e all’articolo 74 del testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309. Sono fatte salve le disposizioni degli articoli 16-nonies e 17-bis del decreto-legge 15 gennaio 1991, n. 8, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 marzo 1991, n. 82, e successive modificazioni (4) .
1-bis. I benefici di cui al comma 1 possono essere concessi ai detenuti o internati per uno dei delitti ivi previsti, purché siano stati acquisiti elementi tali da escludere l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata, terroristica o eversiva, altresì nei casi in cui la limitata partecipazione al fatto criminoso, accertata nella sentenza di condanna, ovvero l’integrale accertamento dei fatti e delle responsabilità, operato con sentenza irrevocabile, rendono comunque impossibile un’utile collaborazione con la giustizia, nonché nei casi in cui, anche se la collaborazione che viene offerta risulti oggettivamente irrilevante, nei confronti dei medesimi detenuti o internati sia stata applicata una delle circostanze attenuanti previste dall’articolo 62, numero 6), anche qualora il risarcimento del danno sia avvenuto dopo la sentenza di condanna, dall’articolo 114 ovvero dall’articolo 116, secondo comma, del codice penale (5). 
1-ter. I benefici di cui al comma 1 possono essere concessi, purché non vi siano elementi tali da far ritenere la sussistenza di collegamenti con la criminalità organizzata, terroristica o eversiva, ai detenuti o internati per i delitti di cui agli articoli 575, 600-bis, secondo e terzo comma, 600-ter, terzo comma, 600-quinquies, 628, terzo comma, e 629, secondo comma, del codice penale, all’articolo 291-ter del citato testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 23 gennaio 1973, n. 43, all’articolo 73 del citato testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, e successive modificazioni, limitatamente alle ipotesi aggravate ai sensi dell’articolo 80, comma 2, del medesimo testo unico, all’articolo 416, primo e terzo comma, del codice penale, realizzato allo scopo di commettere delitti previsti dagli articoli 473 e 474 del medesimo codice, e all’articolo 416 del codice penale, realizzato allo scopo di commettere delitti previsti dal libro II, titolo XII, capo III, sezione I, del medesimo codice, dagli articoli 609-bis, 609-quater e 609-octies del codice penale e dall’articolo 12, commi 3, 3-bis e 3-ter, del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, e successive modificazioni (6).
1-quater. I benefici di cui al comma 1 possono essere concessi ai detenuti o internati per i delitti di cui agli articoli 609-bis, 609-ter, 609-quater e 609-octies del codice penale solo sulla base dei risultati dell’osservazione scientifica della personalità condotta collegialmente per almeno un anno anche con la partecipazione degli esperti di cui al quarto comma dell’articolo 80 della presente legge. Le disposizioni di cui al periodo precedente si applicano in ordine al delitto previsto dall’articolo 609-bis del codice penale salvo che risulti applicata la circostanza attenuante dallo stesso contemplata (7). 
2. Ai fini della concessione dei benefìci di cui al comma 1 il magistrato di sorveglianza o il tribunale di sorveglianza decide acquisite dettagliate informazioni per il tramite del comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica competente in relazione al luogo di detenzione del condannato. In ogni caso il giudice decide trascorsi trenta giorni dalla richiesta delle informazioni. Al suddetto comitato provinciale può essere chiamato a partecipare il direttore dell’istituto penitenziario in cui il condannato è detenuto. 
2-bis. Ai fini della concessione dei benefìci di cui al comma 1-ter, il magistrato di sorveglianza o il tribunale di sorveglianza decide acquisite dettagliate informazioni dal questore. In ogni caso il giudice decide trascorsi trenta giorni dalla richiesta delle informazioni (8). 
3. Quando il comitato ritiene che sussistano particolari esigenze di sicurezza ovvero che i collegamenti potrebbero essere mantenuti con organizzazioni operanti in ambiti non locali o extranazionali, ne dà comunicazione al giudice e il termine di cui al comma 2 è prorogato di ulteriori trenta giorni al fine di acquisire elementi ed informazioni da parte dei competenti organi centrali (9). 
3-bis. L’assegnazione al lavoro all’esterno, i permessi premio e le misure alternative alla detenzione previste dal capo VI, non possono essere concessi ai detenuti ed internati per delitti dolosi quando il Procuratore nazionale antimafia o il procuratore distrettuale comunica, d’iniziativa o su segnalazione del comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica competente in relazione al luogo di detenzione o internamento, l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata. In tal caso si prescinde dalle procedure previste dai commi 2 e 3 (10) (11) (12).

(3)  Rubrica così sostituita dall’art. 15, D.L. 8 giugno 1992, n. 306.
(4)  Comma sostituito dall’art. 15, D.L. 8 giugno 1992, n. 306, modificato dall’art. 11, D.L. 24 novembre 2000, n. 341, dall’art. 6, L. 19 marzo 2001, n. 92 e dall’art. 12, comma 3- sexies del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, inserito dall’art. 11, comma 1, L. 30 luglio 2002, n. 189, sostituito dall’art. 1, L. 23 dicembre 2002, n. 279, modificato dall’art. 15, L. 6 febbraio 2006, n. 38, sostituito, con gli attuali commi da 1 a 1-quater, dall’art. 3, D.L. 23 febbraio 2009, n. 11, come sostituito dalla relativa legge di conversione e, da ultimo, così modificato dal n. 1) della lettera a) del comma 27 dell’art. 2, L. 15 luglio 2009, n. 94.
In relazione al testo precedentemente in vigore la Corte costituzionale, con sentenza 19-27 luglio 1994, n. 357 (Gazz. Uff. 3 agosto 1994, n. 32 – Serie speciale), ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del primo comma, secondo periodo, nella parte in cui non prevede che i benefici di cui al primo periodo del medesimo comma possano essere concessi anche nel caso in cui la limitata partecipazione al fatto criminoso, come accertata nella sentenza di condanna, renda impossibile un’utile collaborazione con la giustizia, sempre che siano stati acquisiti elementi tali da escludere in maniera certa l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata. La stessa Corte, con sentenza 22 febbraio-1° marzo 1995, n. 68 (Gazz. Uff. 8 marzo 1995, n. 10 – Serie speciale), ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 4-bis, primo comma, secondo periodo, come sostituito dall’art. 15, D.L. 8 giugno 1992, n. 306, nella parte in cui non prevede che i benefìci di cui al primo periodo del medesimo comma possano essere concessi anche nel caso in cui l’integrale accertamento dei fatti e delle responsabilità operato con sentenza irrevocabile renda impossibile un’utile collaborazione con la giustizia, sempre che siano stati acquisiti elementi tali da escludere in maniera certa l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata; con sentenza 11-14 dicembre 1995, n. 504 (Gazz. Uff. 20 dicembre 1995, n. 52 – Serie speciale), ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 4-bis, comma 1, nella parte in cui prevede che la concessione di ulteriori permessi premio sia negata nei confronti dei condannati per i delitti indicati nel primo periodo del comma 1 dello stesso art. 4-bis, che non si trovino nelle condizioni per l’applicazione dell’art. 58-ter della L. 26 luglio 1975, n. 354, anche quando essi ne abbiano già fruito in precedenza e non sia accertata la sussistenza di collegamenti attuali con la criminalità organizzata. Con altra sentenza 16-30 dicembre 1997, n. 445 (Gazz. Uff. 7 gennaio 1998, n. 1, Serie speciale), la stessa Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 4-bis, comma 1, nella parte in cui non prevede che il beneficio della semilibertà possa essere concesso nei confronti dei condannati che, prima della data di entrata in vigore dell’art. 15, comma 1, del D.L. 8 giugno 1992, n. 306, convertito, con modificazioni, nella L. 7 agosto 1992, n. 356, abbiano raggiunto un grado di rieducazione adeguato al beneficio richiesto e per i quali non sia accertata la sussistenza di collegamenti attuali con la criminalità organizzata; con sentenza 14-22 aprile 1999, n. 137 (Gazz. Uff. 28 aprile 1999, n. 17 – Serie speciale), ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 4-bis, comma 1, nella parte in cui non prevede che il beneficio del permesso premio possa essere concesso nei confronti dei condannati che, prima della entrata in vigore dell’art. 15, comma 1, del D.L. 8 giugno 1992, n. 306, convertito, con modificazioni, dalla L. 7 agosto 1992, n. 356, abbiano raggiunto un grado di rieducazione adeguato al beneficio richiesto e per i quali non sia accertata la sussistenza di collegamenti attuali con la criminalità organizzata
(5) Comma aggiunto dall’art. 3, D.L. 23 febbraio 2009, n. 11, come sostituito dalla relativa legge di conversione.
(6) Comma aggiunto dall’art. 3, D.L. 23 febbraio 2009, n. 11, come sostituito dalla relativa legge di conversione, e poi così modificato dal comma 6 dell’art. 15, L. 23 luglio 2009, n. 99.
(7) Comma aggiunto dall’art. 3, D.L. 23 febbraio 2009, n. 11, come sostituito dalla relativa legge di conversione, e poi così modificato dal n. 2) della lettera a) del comma 27 dell’art. 2, L. 15 luglio 2009, n. 94.
(8)  Comma aggiunto dall’art. 1, D.L. 14 giugno 1993, n. 187 e poi così modificato dall’art. 1, L. 23 dicembre 2002, n. 279 e dall’art. 3, D.L. 23 febbraio 2009, n. 11, come sostituito dalla relativa legge di conversione
(9)  Articolo aggiunto dall’art. 1, D.L. 13 maggio 1991, n. 152
(10)  Comma aggiunto dall’art. 15, D.L. 8 giugno 1992, n. 306. 
(11)  La Corte costituzionale, con ordinanza 5-23 luglio 2001, n. 280 (Gazz. Uff. 1° agosto 2001, n. 30, serie speciale), ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 4-bis sollevata in riferimento all’art. 25, secondo comma, della Cost. 
(12)  La Corte costituzionale, con ordinanza 12-25 luglio 2001, n. 307 (Gazz. Uff. 1° agosto 2001, n. 30, serie speciale), ha dichiarato la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 4-bis, inserito dall’art. 1 del D.L. 13 maggio 1991, n. 152 convertito, con modificazioni, nella legge 12 luglio 1991, n. 203, come modificato dall’art. 15 del D.L. 8 giugno 1992, n. 306 convertito, con modificazioni, nella legge 7 agosto 1992, n. 356, sollevata in riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma, della Cost. 
La stessa Corte con altra ordinanza 12-25 luglio 2001, n. 308 (Gazz. Uff. 1° agosto 2001, n. 30, serie speciale), ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 4- bis, sollevata in riferimento agli artt. 3 e 25, secondo comma, della Cost. 
 

Capo II 
Condizioni generali 
 

5. Caratteristiche degli edifici penitenziari.
Gli istituti penitenziari devono essere realizzati in modo tale da accogliere un numero non elevato di detenuti o internati. 
Gli edifici penitenziari devono essere dotati, oltre che di locali per le esigenze di vita individuale, anche di locali per lo svolgimento di attività in comune.

 6. Locali di soggiorno e di pernottamento.
I locali nei quali si svolge la vita dei detenuti e degli internati devono essere di ampiezza sufficiente, illuminati con luce naturale e artificiale in modo da permettere il lavoro e la lettura; aerati, riscaldati ove le condizioni climatiche lo esigono, e dotati di servizi igienici riservati, decenti e di tipo razionale. I detti locali devono essere tenuti in buono stato di conservazione e di pulizia. 
I locali destinati al pernottamento consistono in camere dotate di uno o più posti. 
Particolare cura è impiegata nella scelta di quei soggetti che sono collocati in camere a più posti. 
Agli imputati deve essere garantito il pernottamento in camere ad un posto a meno che la situazione particolare dell’istituto non lo consenta. 
Ciascun detenuto e internato dispone di adeguato corredo per il proprio letto.

 7. Vestiario e corredo.
Ciascun soggetto è fornito di biancheria di vestiario e di effetti d’uso in quantità sufficiente, in buono stato di conservazione e di pulizia e tali d’assicurare la soddisfazione delle normali esigenze di vita. 
L’abito è di tessuto a tinta unita e di foggia decorosa. È concesso l’abito di lavoro quando è reso necessario dall’attività svolta. 
Gli imputati e i condannati a pena detentiva inferiore ad un anno possono indossare abiti di loro proprietà, purché puliti e convenienti. L’abito fornito agli imputati deve essere comunque diverso da quello dei condannati e degli internati. 
I detenuti e gli internati possono essere ammessi a far uso di corredo di loro proprietà e di oggetti che abbiano particolare valore morale o affettivo.

 8. Igiene personale.
È assicurato ai detenuti e agli internati l’uso adeguato e sufficiente di lavabi e di bagni o docce, nonché degli altri oggetti necessari alla cura e alla pulizia della persona. 
In ciascun istituto sono organizzati i servizi per il periodico taglio dei capelli e la rasatura della barba. Può essere consentito l’uso di rasoio elettrico personale. 
Il taglio dei capelli e della barba può essere imposto soltanto per particolari ragioni igienico-sanitarie.

 9. Alimentazione.
Ai detenuti e agli internati è assicurata un’alimentazione sana e sufficiente, adeguata all’età, al sesso, allo stato di salute, al lavoro, alla stagione, al clima. 
Il vitto è somministrato, di regola, in locali all’uopo destinati. 
I detenuti e gli internati devono avere sempre a disposizione acqua potabile. 
La quantità e la qualità del vitto giornaliero sono determinate da apposite tabelle approvate con decreto ministeriale. 
Il servizio di vettovagliamento è di regola gestito direttamente dall’amministrazione penitenziaria. 
Una rappresentanza dei detenuti o degli internati, designata mensilmente per sorteggio, controlla l’applicazione delle tabelle e la preparazione del vitto. 
Ai detenuti e agli internati è consentito l’acquisto, a proprie spese, di generi alimentari e di conforto, entro i limiti fissati dal regolamento. La vendita dei generi alimentari o di conforto deve essere affidata di regola a spacci gestiti direttamente dall’amministrazione carceraria o da imprese che esercitano la vendita a prezzi controllati dall’autorità comunale. I prezzi non possono essere superiori a quelli comunemente praticati nel luogo in cui è sito l’istituto. La rappresentanza indicata nel precedente comma, integrata da un delegato del direttore, scelto tra il personale civile dell’istituto, controlla qualità e prezzi dei generi venduti nell’istituto.

 10. Permanenza all’aperto.
Ai soggetti che non prestano lavoro all’aperto è consentito di permanere almeno per due ore al giorno all’aria aperta. Tale periodo di tempo può essere ridotto a non meno di un’ora al giorno soltanto per motivi eccezionali. 
La permanenza all’aria aperta è effettuata in gruppi a meno che non ricorrano i casi indicati nell’articolo 33 e nei numeri 4) e 5) dell’articolo 39 ed è dedicata, se possibile, ad esercizi fisici.
11. Servizio sanitario.
Ogni istituto penitenziario è dotato di servizio medico e di servizio farmaceutico rispondenti alle esigenze profilattiche e di cura della salute dei detenuti e degli internati; dispone, inoltre, dell’opera di almeno uno specialista in psichiatria. 
Ove siano necessarie cure o accertamenti diagnostici che non possono essere apprestati dai servizi sanitari degli istituti, i condannati e gli internati sono trasferiti, con provvedimento del magistrato di sorveglianza, in ospedali civili o in altri luoghi esterni di cura. Per gli imputati, detti trasferimenti sono disposti, dopo la pronunzia della sentenza di primo grado, dal magistrato di sorveglianza; prima della pronunzia della sentenza di primo grado, dal giudice istruttore, durante l’istruttoria formale; dal pubblico ministero, durante l’istruzione sommaria e, in caso di giudizio direttissimo, fino alla presentazione dell’imputato in udienza; dal presidente, durante gli atti preliminari al giudizio e nel corso del giudizio; dal pretore, nei procedimenti di sua competenza; dal presidente della corte di appello, nel corso degli atti preliminari al giudizio dinanzi la corte di assise, fino alla convocazione della corte stessa e dal presidente di essa successivamente alla convocazione (13). 
L’autorità giudiziaria competente ai sensi del comma precedente può disporre, quando non vi sia pericolo di fuga, che i detenuti e gli internati trasferiti in ospedali civili o in altri luoghi esterni di cura con proprio provvedimento, o con provvedimento del direttore dell’istituto nei casi di assoluta urgenza, non siano sottoposti a piantonamento durante la degenza, salvo che sia necessario per la tutela della loro incolumità personale (14). 
Il detenuto o l’internato che, non essendo sottoposto a piantonamento, si allontana dal luogo di cura senza giustificato motivo è punibile a norma del primo comma dell’art. 358 del C.P. (15). 
All’atto dell’ingresso nell’istituto i soggetti sono sottoposti a visita medica generale allo scopo di accertare eventuali malattie fisiche o psichiche. L’assistenza sanitaria è prestata, nel corso della permanenza nell’istituto, con periodici e frequenti riscontri, indipendentemente dalle richieste degli interessati. 
Il sanitario deve visitare ogni giorno gli ammalati e coloro che ne facciano richiesta; deve segnalare immediatamente la presenza di malattie che richiedono particolari indagini e cure specialistiche; deve, inoltre, controllare periodicamente l’idoneità dei soggetti ai lavori cui sono addetti. 
I detenuti e gli internati sospetti o riconosciuti affetti da malattie contagiose sono immediatamente isolati. Nel caso di sospetto di malattia psichica sono adottati senza indugio i provvedimenti del caso col rispetto delle norme concernenti l’assistenza psichiatrica e la sanità mentale. 
In ogni istituto penitenziario per donne sono in funzione servizi speciali per l’assistenza sanitaria alle gestanti e alle puerpere. 
Alle madri è consentito di tenere presso di sé i figli fino all’età di tre anni. Per la cura e l’assistenza dei bambini sono organizzati appositi asili nido. 
L’amministrazione penitenziaria, per l’organizzazione e per il funzionamento dei servizi sanitari, può avvalersi della collaborazione dei servizi pubblici sanitari locali, ospedalieri ed extra ospedalieri, d’intesa con la regione e secondo gli indirizzi del Ministero della sanità (16). I detenuti e gli internati possono richiedere di essere visitati a proprie spese da un sanitario di loro fiducia. Per gli imputati è necessaria l’autorizzazione del magistrato che procede, sino alla pronuncia della sentenza di primo grado. 
Il medico provinciale visita almeno due volte l’anno gli istituti di prevenzione e di pena allo scopo di accertare lo stato igienico-sanitario, l’adeguatezza delle misure di profilassi contro le malattie infettive disposte dal servizio sanitario penitenziario e le condizioni igieniche e sanitarie dei ristretti negli istituti. 
Il medico provinciale riferisce sulle visite compiute e sui provvedimenti da adottare al Ministero della sanità e a quello di grazia e giustizia, informando altresì i competenti uffici regionali e il magistrato di sorveglianza.

(13)  Comma così sostituito dall’art. 1, L. 12 gennaio 1977, n. 1 (Gazz. Uff. 18 gennaio 1977, n. 15). 
(14)  Comma così inserito dall’art. 2, L. 17 aprile 1989, n. 134 (Gazz. Uff. 22 aprile 1989, n. 94). 
(15)  Con D.M. 18 novembre 1998 (Gazz. Uff. 5 marzo 1999, n. 53), sono stati approvati gli schemi di convenzione per prestazioni assistenziali, da parte di aziende sanitarie, ai casi di AIDS nei confronti di detenuti
(16)  Con D.M. 18 novembre 1998 (Gazz. Uff. 5 marzo 1999, n. 53), sono stati approvati gli schemi di convenzione per prestazioni assistenziali, da parte di aziende sanitarie, ai casi di AIDS nei confronti di detenuti. 

12. Attrezzature per attività di lavoro di istruzione e di ricreazione.
Negli istituti penitenziari, secondo le esigenze del trattamento, sono approntate attrezzature per lo svolgimento di attività lavorative, d’istruzione scolastica e professionale, ricreative, culturali e di ogni altra attività in comune. 
Gli istituti devono inoltre essere forniti di una biblioteca costituita da libri e periodici, scelti dalla commissione prevista dal secondo comma dell’art. 16. 
Alla gestione del servizio di biblioteca partecipano rappresentanti dei detenuti e degli internati.

 Capo III 
Modalità del trattamento
13. Individualizzazione del trattamento.
Il trattamento penitenziario deve rispondere ai particolari bisogni della personalità di ciascun soggetto. 
Nei confronti dei condannati e degli internati è predisposta l’osservazione scientifica della personalità per rilevare le carenze fisiopsichiche e le altre cause del disadattamento sociale. L’osservazione è compiuta all’inizio dell’esecuzione e proseguita nel corso di essa. 
Per ciascun condannato e internato, in base ai risultati dell’osservazione, sono formulate indicazioni di merito al trattamento rieducativo da effettuare ed è compilato il relativo programma, che è integrato o modificato secondo le esigenze che si prospettano nel corso dell’esecuzione. 
Le indicazioni generali e particolari del trattamento sono inserite, unitamente ai dati giudiziari, biografici e sanitari, nella cartella personale, nella quale sono successivamente annotati gli sviluppi del trattamento praticato e i suoi risultati. 
Deve essere favorita la collaborazione dei condannati e degli internati alle attività di osservazione e di trattamento (17).

(17)  La Corte costituzionale, con ordinanza 27 novembre-11 dicembre 1997, n. 394 (Gazz. Uff. 17 dicembre 1997, n. 51, Serie speciale), ha dichiarato la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 13, sollevata in riferimento agli artt. 27, terzo comma, e 3 della Costituzione

14. Assegnazione, raggruppamento e categorie dei detenuti e degli internati.
Il numero dei detenuti e degli internati negli istituti e nelle sezioni deve essere limitato e, comunque, tale da favorire l’individualizzazione del trattamento. 
L’assegnazione dei condannati e degli internati ai singoli istituti e il raggruppamento nelle sezioni di ciascun istituto sono disposti con particolare riguardo alla possibilità di procedere ad un trattamento rieducativo comune e all’esigenza di evitare influenze nocive reciproche. Per le assegnazioni sono, inoltre, applicati di norma i criteri di cui al primo ed al secondo comma dell’articolo 42. 
È assicurata la separazione degli imputati dai condannati e internati, dei giovani al disotto dei venticinque anni dagli adulti, dei condannati dagli internati e dei condannati all’arresto dai condannati alla reclusione. 
È consentita, in particolari circostanze, l’ammissione di detenuti e di internati ad attività organizzate per categorie diverse da quelle di appartenenza. 
Le donne sono ospitate in istituti separati o in apposite sezioni d’istituto.

14-bis. Regime di sorveglianza particolare.
1. Possono essere sottoposti a regime di sorveglianza particolare per un periodo non superiore a sei mesi, prorogabile anche più volte in misura non superiore ogni volta a tre mesi, i condannati, gli internati e gli imputati: 
   a) che con i loro comportamenti compromettono la sicurezza ovvero turbano l’ordine negli istituti; 
   b) che con la violenza o minaccia impediscono le attività degli altri detenuti o internati; 
   c) che nella vita penitenziaria si avvalgono dello stato di soggezione degli altri detenuti nei loro confronti. 
2. Il regime di cui al precedente comma 1 è disposto con provvedimento motivato dell’amministrazione penitenziaria previo parere del consiglio di disciplina, integrato da due degli esperti previsti dal quarto comma dell’articolo 80. 
3. Nei confronti degli imputati il regime di sorveglianza particolare è disposto sentita anche l’autorità giudiziaria che procede. 
4. In caso di necessità ed urgenza l’amministrazione può disporre in via provvisoria la sorveglianza particolare prima dei pareri prescritti, che comunque devono essere acquisiti entro dieci giorni dalla data del provvedimento. Scaduto tale termine l’amministrazione, acquisiti i pareri prescritti, decide in via definitiva entro dieci giorni decorsi i quali, senza che sia intervenuta la decisione, il provvedimento provvisorio decade. 
5. Possono essere sottoposti a regime di sorveglianza particolare, fin dal momento del loro ingresso in istituto, i condannati, gli internati e gli imputati, sulla base di precedenti comportamenti penitenziari o di altri concreti comportamenti tenuti, indipendentemente dalla natura dell’imputazione, nello stato di libertà. L’autorità giudiziaria segnala gli eventuali elementi a sua conoscenza all’amministrazione penitenziaria che decide sull’adozione dei provvedimenti di sua competenza. 
6. Il provvedimento che dispone il regime di cui al presente articolo è comunicato immediatamente al magistrato di sorveglianza ai fini dell’esercizio del suo potere di vigilanza (18).

(18)  Articolo aggiunto dall’art. 1, L. 10 ottobre 1986, n. 663. 
 
14-ter. Reclamo.
1. Avverso il provvedimento che dispone o proroga il regime di sorveglianza particolare può essere proposto dall’interessato reclamo al tribunale di sorveglianza nel termine di dieci giorni dalla comunicazione del provvedimento definitivo. Il reclamo non sospende l’esecuzione del provvedimento. 
2. Il tribunale di sorveglianza provvede con ordinanza in camera di consiglio entro dieci giorni dalla ricezione del reclamo. 
3. Il procedimento si svolge con la partecipazione del difensore e del pubblico ministero. L’interessato e l’amministrazione penitenziaria possono presentare memorie. 
4. Per quanto non diversamente disposto si applicano le disposizioni del capo II-bis del titolo II (19) (20) (21) (22).

(19)  Articolo aggiunto dall’art. 2, L. 10 ottobre 1986, n. 663
(20)  La Corte costituzionale, con sentenza 8-16 febbraio 1993, n. 53 (Gazz. Uff. 24 febbraio 1993, n. 9 – Serie speciale), ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 14-ter, primo, secondo e terzo comma e dell’art. 30-bis, nella parte in cui non consentono l’applicazione degli artt. 666 e 678 c.p.p. nel procedimento di reclamo avverso il decreto del magistrato di sorveglianza che esclude dal computo della detenzione il periodo trascorso in permesso-premio. 
(21)  La Corte costituzionale, con sentenza 14-18 ottobre 1996, n. 351 (Gazz. Uff. 23 ottobre 1996, n. 43, Serie speciale), ha dichiarato non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 41-bis, secondo comma, e dell’art. 14-ter, sollevata in riferimento agli artt. 13, secondo comma, 3, primo comma, 27, terzo comma, e 113, primo e secondo comma, della Costituzione. Con successiva sentenza 26 novembre-5 dicembre 1997, n. 376 (Gazz. Uff. 10 dicembre 1997, n. 50, Serie speciale), la stessa Corte ha dichiarato non fondate, nei sensi di cui in motivazione, le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 41-bis comma 2, e dell’art. 14-ter, sollevate in riferimento agli artt. 3, 13, 24, 25, 27, secondo e terzo comma, e 113 della Costituzione. Successivamente la Corte, chiamata nuovamente a pronunciarsi sulla stessa questione, con ordinanza 20-26 maggio 1998, n. 192 (Gazz. Uff. 3 giugno 1998, n. 22, Serie speciale), ne ha dichiarato la manifesta infondatezza. 
(22) La Corte costituzionale, con sentenza 8 – 23 ottobre 2009, n. 266 (Gazz. Uff. 28 ottobre 2009, n. 43, 1ª Serie speciale), ha dichiarato, fra l’altro, inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 14-ter, sollevata, in riferimento agli articoli 3, 24, primo comma, 27, terzo comma, 97, primo comma, 111, primo e secondo comma, e 113 della Costituzione, «ed ai principi generali sulla giurisdizione».
 
14-quater. Contenuti del regime di sorveglianza particolare.
1. Il regime di sorveglianza particolare comporta le restrizioni strettamente necessarie per il mantenimento dell’ordine e della sicurezza, all’esercizio dei diritti dei detenuti e degli internati e alle regole di trattamento previste dall’ordinamento penitenziario. 
2. Per quanto concerne la corrispondenza dei detenuti, si applicano le disposizioni dell’articolo 18-ter (23). 
3. Le restrizioni di cui ai commi precedenti sono motivatamente stabilite nel provvedimento che dispone il regime di sorveglianza particolare. 
4. In ogni caso le restrizioni non possono riguardare: l’igiene e le esigenze della salute; il vitto; il vestiario ed il corredo; il possesso, l’acquisto e la ricezione di generi ed oggetti permessi dal regolamento interno, nei limiti in cui ciò non comporta pericolo per la sicurezza; la lettura di libri e periodici; le pratiche di culto; l’uso di apparecchi radio del tipo consentito; la permanenza all’aperto per almeno due ore al giorno salvo quanto disposto dall’articolo 10; i colloqui con i difensori, nonché quelli con il coniuge, il convivente, i figli, i genitori, i fratelli. 
5. Se il regime di sorveglianza particolare non è attuabile nell’istituto ove il detenuto o l’internato si trova, l’amministrazione penitenziaria può disporre, con provvedimento motivato, il trasferimento in altro istituto idoneo, con il minimo pregiudizio possibile per la difesa e per i familiari, dandone immediato avviso al magistrato di sorveglianza. Questi riferisce al Ministro in ordine ad eventuali casi di infondatezza dei motivi posti a base del trasferimento (24).

(23)  Comma così sostituito dall’art. 3, L. 8 aprile 2004, n. 95 (Gazz. Uff. 14 aprile 2004, n. 87), entrata in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione
(24)  Articolo aggiunto dall’art. 3, L. 10 ottobre 1986, n. 663
 
15. Elementi del trattamento.
Il trattamento del condannato e dell’internato è svolto avvalendosi principalmente dell’istruzione, del lavoro, della religione, delle attività culturali, ricreative e sportive e agevolando opportuni contatti con il mondo esterno ed i rapporti con la famiglia. 
Ai fini del trattamento rieducativo, salvo casi d’impossibilità, al condannato e all’internato è assicurato il lavoro. 
Gli imputati sono ammessi, a loro richiesta, a partecipare ad attività educative, culturali e ricreative e, salvo giustificati motivi o contrarie disposizioni dell’autorità giudiziaria, a svolgere attività lavorativa o di formazione professionale, possibilmente di loro scelta e, comunque, in condizioni adeguate alla loro posizione giuridica.

 16. Regolamento dell’istituto.
In ciascun istituto il trattamento penitenziario è organizzato secondo le direttive che l’amministrazione penitenziaria impartisce con riguardo alle esigenze dei gruppi di detenuti ed internati ivi ristretti. 
Le modalità del trattamento da seguire in ciascun istituto sono disciplinate nel regolamento interno, che è predisposto e modificato da una commissione composta dal magistrato di sorveglianza, che la presiede, dal direttore, dal medico, dal cappellano, dal preposto alle attività lavorative, da un educatore e da un assistente sociale. La commissione può avvalersi della collaborazione degli esperti indicati nel quarto comma dell’articolo 80. 
Il regolamento interno disciplina, altresì, i controlli cui devono sottoporsi tutti coloro che, a qualsiasi titolo, accedono all’istituto o ne escono. 
Il regolamento interno e le sue modificazioni sono approvati dal Ministro per la grazia e giustizia.

17. Partecipazione della comunità esterna all’azione rieducativa.
La finalità del reinserimento sociale dei condannati e degli internati deve essere perseguita anche sollecitando ed organizzando la partecipazione di privati e di istituzioni o associazioni pubbliche o private all’associazione rieducativa. 
Sono ammessi a frequentare gli istituti penitenziari con l’autorizzazione e secondo le direttive del magistrato di sorveglianza, su parere favorevole del direttore, tutti coloro che avendo concreto interesse per l’opera di risocializzazione dei detenuti dimostrino di potere utilmente promuovere lo sviluppo dei contatti tra la comunità carceraria e la società libera. 
Le persone indicate nel comma precedente operano sotto il controllo del direttore.

18. Colloqui, corrispondenza e informazione.
detenuti e gli internati sono ammessi ad avere colloqui e corrispondenza con i congiunti e con altre persone, nonché con il garante dei diritti dei detenuti, anche al fine di compiere atti giuridici (25). 
I colloqui si svolgono in appositi locali, sotto il controllo a vista e non auditivo del personale di custodia.
Particolare favore viene accordato ai colloqui con i familiari. 
L’amministrazione penitenziaria pone a disposizione dei detenuti e degli internati, che ne sono sprovvisti gli oggetti di cancelleria necessari per la corrispondenza. 
Può essere autorizzata nei rapporti con i familiari e, in casi particolari, con terzi, corrispondenza telefonica con le modalità e le cautele previste dal regolamento. 
I detenuti e gli internati sono autorizzati a tenere presso di sé i quotidiani, i periodici e i libri in libera vendita all’esterno e ad avvalersi di altri mezzi di informazione. 
[La corrispondenza dei singoli condannati o internati può essere sottoposta, con provvedimento motivato del magistrato di sorveglianza, a visto di controllo del direttore o di un appartenente all’amministrazione penitenziaria designato dallo stesso direttore] (26). 
Salvo quanto disposto dall’articolo 18-bis, per gli imputati i permessi di colloquio fino alla pronuncia della sentenza di primo grado e le autorizzazioni alla corrispondenza telefonica sono di competenza dell’autorità giudiziaria, ai sensi di quanto stabilito nel secondo comma dell’articolo 11. Dopo la pronuncia della sentenza di primo grado i permessi di colloquio sono di competenza del direttore dell’istituto (27). 
[Le dette autorità giudiziarie, nel disporre la sottoposizione della corrispondenza a visto di controllo, se non ritengono di provvedervi direttamente, possono delegare il controllo al direttore o a un appartenente all’amministrazione penitenziaria designato dallo stesso direttore. Le medesime autorità possono anche disporre limitazioni nella corrispondenza e nella ricezione della stampa] (28) (29).

(25) Comma così sostituito dalla lettera a) del comma 1 dell’art. 12-bis, D.L. 30 dicembre 2008, n. 207, nel testo integrato dalla relativa legge di conversione.
(26)  Comma abrogato dall’art. 3, L. 8 aprile 2004, n. 95 (Gazz. Uff. 14 aprile 2004, n. 87), entrata in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione
(27)  Comma prima sostituito dall’art. 4, L. 10 ottobre 1986, n. 663 e poi così modificato dall’art. 16, D.L. 8 giugno 1992, n. 306 e dall’art. 3, L. 8 aprile 2004, n. 95 (Gazz. Uff. 14 aprile 2004, n. 87), entrata in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione. 
(28)  Comma abrogato dall’art. 3, L. 8 aprile 2004, n. 95 (Gazz. Uff. 14 aprile 2004, n. 87), entrata in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione
(29)  Articolo così sostituito dall’art. 2, L. 12 gennaio 1977, n. 1 (Gazz. Uff. 18 gennaio 1977, n. 15). Con sentenza 19 giugno-3 luglio 1997, n. 212 (Gazz. Uff. 9 luglio 1997, n. 28 – Serie speciale) la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 18, nella parte in cui non prevede che il detenuto condannato in via definitiva ha diritto di conferire con il difensore fin dall’inizio dell’esecuzione della pena. 
 
18-bis. Colloqui a fini investigativi.
1. Il personale della Direzione investigativa antimafia di cui all’articolo 3 del D.L. 29 ottobre 1991, n. 345, convertito, con modificazioni, dalla L. 30 dicembre 1991, n. 410, e dei servizi centrali e interprovinciali di cui all’art. 12 del D.L. 13 maggio 1991, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla L. 12 luglio 1991, n. 203, nonché gli ufficiali di polizia giudiziaria designati dai responsabili, a livello centrale, della predetta Direzione e dei predetti servizi, hanno facoltà di visitare gli istituti penitenziari e possono essere autorizzati, a norma del comma 2 del presente articolo, ad avere colloqui personali con detenuti e internati, al fine di acquisire informazioni utili per la prevenzione e repressione dei delitti di criminalità organizzata. 
1-bis. Le disposizioni di cui al comma 1 si applicano anche ai responsabili di livello almeno provinciale degli uffici o reparti della Polizia di Stato o dell’Arma dei carabinieri competenti per lo svolgimento di indagini in materia di terrorismo, nonché agli ufficiali di polizia giudiziaria designati dai responsabili di livello centrale e, limitatamente agli aspetti connessi al finanziamento del terrorismo, a quelli del Corpo della guardia di finanza, designati dal responsabile di livello centrale, al fine di acquisire dai detenuti o dagli internati informazioni utili per la prevenzione e repressione dei delitti commessi per finalità di terrorismo, anche internazionale, o di eversione dell’ordine democratico (30). 2. Al personale di polizia indicato nei commi 1 e 1-bis, l’autorizzazione ai colloqui è rilasciata: 
   a) quando si tratta di internati, di condannati o di imputati, dal Ministro di grazia e giustizia o da un suo delegato; 
   b) quando si tratta di persone sottoposte ad indagini, dal pubblico ministero (31). 
3. Le autorizzazioni ai colloqui indicate nel comma 2 sono annotate in apposito registro riservato tenuto presso l’autorità competente al rilascio. 
4. In casi di particolare urgenza, attestati con provvedimento del Ministro dell’interno o, per sua delega, dal Capo della Polizia, l’autorizzazione prevista nel comma 2, lettera a), non è richiesta, e del colloquio è data immediata comunicazione all’autorità ivi indicata, che provvede all’annotazione nel registro riservato di cui al comma 3. 
5. La facoltà di procedere a colloqui personali con detenuti e internati è attribuita, senza necessità di autorizzazione, altresì al Procuratore nazionale antimafia ai fini dell’esercizio delle funzioni di impulso e di coordinamento previste dall’art. 371-bis del codice di procedura penale; al medesimo Procuratore nazionale antimafia sono comunicati i provvedimenti di cui ai commi 2 e 4, qualora concernenti colloqui con persone sottoposte ad indagini, imputate o condannate per taluno dei delitti indicati nell’art. 51, comma 3-bis del codice di procedura penale (32).

(30)  Comma aggiunto dall’art. 1, D.L. 27 luglio 2005, n. 144, come modificato dalla relativa legge di conversione. 
(31)  Comma così modificato dall’art. 1, D.L. 27 luglio 2005, n. 144. 
(32)  Articolo aggiunto dall’art. 16, D.L. 8 giugno 1992, n. 306. 
 

18-ter. Limitazioni e controlli della corrispondenza.
1. Per esigenze attinenti le indagini o investigative o di prevenzione dei reati, ovvero per ragioni di sicurezza o di ordine dell’istituto, possono essere disposti, nei confronti dei singoli detenuti o internati, per un periodo non superiore a sei mesi, prorogabile per periodi non superiori a tre mesi: 
   a) limitazioni nella corrispondenza epistolare e telegrafica e nella ricezione della stampa; 
   b) la sottoposizione della corrispondenza a visto di controllo; 
   c) il controllo del contenuto delle buste che racchiudono la corrispondenza, senza lettura della medesima. 
2. Le disposizioni del comma 1 non si applicano qualora la corrispondenza epistolare o telegrafica sia indirizzata ai soggetti indicati nel comma 5 dell’articolo 103 del codice di procedura penale, all’autorità giudiziaria, alle autorità indicate nell’articolo 35 della presente legge, ai membri del Parlamento, alle Rappresentanze diplomatiche o consolari dello Stato di cui gli interessati sono cittadini ed agli organismi internazionali amministrativi o giudiziari preposti alla tutela dei diritti dell’uomo di cui l’Italia fa parte. 
3. I provvedimenti previsti dal comma 1 sono adottati con decreto motivato, su richiesta del pubblico ministero o su proposta del direttore dell’istituto: 
   a) nei confronti dei condannati e degli internati, nonché nei confronti degli imputati dopo la pronuncia della sentenza di primo grado, dal magistrato di sorveglianza; 
   b) nei confronti degli imputati, fino alla pronuncia della sentenza di primo grado, dal giudice indicato nell’articolo 279 del codice di procedura penale; se procede un giudice collegiale, il provvedimento è adottato dal presidente del tribunale o della corte di assise. 
4. L’autorità giudiziaria indicata nel comma 3, nel disporre la sottoposizione della corrispondenza a visto di controllo, se non ritiene di provvedere direttamente, può delegare il controllo al direttore o ad un appartenente all’amministrazione penitenziaria designato dallo stesso direttore. 
5. Qualora, in seguito al visto di controllo, l’autorità giudiziaria indicata nel comma 3 ritenga che la corrispondenza o la stampa non debba essere consegnata o inoltrata al destinatario, dispone che la stessa sia trattenuta. Il detenuto e l’internato vengono immediatamente informati. 
6. Contro i provvedimenti previsti dal comma 1 e dal comma 5 può essere proposto reclamo, secondo la procedura prevista dall’articolo 14-ter, al tribunale di sorveglianza, se il provvedimento è emesso dal magistrato di sorveglianza, ovvero, negli altri casi, al tribunale nel cui circondario ha sede il giudice che ha emesso il provvedimento. Del collegio non può fare parte il giudice che ha emesso il provvedimento. Per quanto non diversamente disposto dal presente comma si applicano le disposizioni dell’articolo 666 del codice di procedura penale. 
7. Nel caso previsto dalla lettera c) del comma 1, l’apertura delle buste che racchiudono la corrispondenza avviene alla presenza del detenuto o dell’internato (33).

(33)  Articolo aggiunto dall’art. 1, L. 8 aprile 2004, n. 95 (Gazz. Uff. 14 aprile 2004, n. 87), entrata in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione. L’art. 2, della stessa legge ha così disposto: «Art. 2. 1. Le disposizioni dell’articolo 18-ter della legge 26 luglio 1975, n. 354, introdotto dall’articolo 1 della presente legge, si applicano anche ai provvedimenti in corso di esecuzione alla data di entrata in vigore della medesima legge; avverso tali provvedimenti l’interessato, nel termine di venti giorni, può proporre reclamo secondo le modalità indicate al comma 6 del medesimo articolo 18-ter»
 

19. Istruzione.
Negli istituti penitenziari la formazione culturale e professionale, è curata mediante l’organizzazione dei corsi della scuola dell’obbligo e di corsi di addestramento professionale, secondo gli orientamenti vigenti e con l’ausilio di metodi adeguati alla condizione dei soggetti. 
Particolare cura è dedicata alla formazione culturale e professionale dei detenuti di età inferiore ai venticinque anni. 
Con le procedure previste dagli ordinamenti scolastici possono essere istituite scuole d’istruzione secondaria di secondo grado negli istituti penitenziari. 
È agevolato il compimento degli studi dei corsi universitari ed equiparati ed è favorita la frequenza a corsi scolastici per corrispondenza, per radio e per televisione. 
È favorito l’accesso alle pubblicazioni contenute nella biblioteca, con piena libertà di scelta delle letture.


20. Lavoro.
Negli istituti penitenziari devono essere favorite in ogni modo la destinazione dei detenuti e degli internati al lavoro e la loro partecipazione a corsi di formazione professionale. A tal fine, possono essere istituite lavorazioni organizzate e gestite direttamente da imprese pubbliche o private e possono essere istituiti corsi di formazione professionale organizzati e svolti da aziende pubbliche, o anche da aziende private convenzionate con la regione. 
Il lavoro penitenziario non ha carattere afflittivo ed è remunerato. 
Il lavoro è obbligatorio per i condannati e per i sottoposti alle misure di sicurezza della colonia agricola e della casa di lavoro. 
I sottoposti alle misure di sicurezza della casa di cura e di custodia e dell’ospedale psichiatrico giudiziario possono essere assegnati al lavoro quando questo risponda a finalità terapeutiche. 
L’organizzazione e i metodi del lavoro penitenziario devono riflettere quelli del lavoro nella società libera al fine di far acquisire ai soggetti una preparazione professionale adeguata alle normali condizioni lavorative per agevolarne il reinserimento sociale. 
Nell’assegnazione dei soggetti al lavoro si deve tener conto esclusivamente dell’anzianità di disoccupazione durante lo stato di detenzione o di internamento, dei carichi familiari, della professionalità, nonché delle precedenti e documentate attività svolte e di quelle a cui essi potranno dedicarsi dopo la dimissione, con l’esclusione dei detenuti e internati sottoposti al regime di sorveglianza particolare di cui all’art. 14-bis della presente legge. 
Il collocamento al lavoro da svolgersi all’interno dell’istituto avviene nel rispetto di graduatorie fissate in due apposite liste, delle quali una generica e l’altra per qualifica o mestiere. 
Per la formazione delle graduatorie all’interno delle liste e per il nulla-osta agli organismi competenti per il collocamento, è istituita, presso ogni istituto, una commissione composta dal direttore, da un appartenente al ruolo degli ispettori o dei sovrintendenti del Corpo di polizia penitenziaria e da un rappresentante del personale educativo, eletti all’interno della categoria di appartenenza, da un rappresentante unitariamente designato dalle organizzazioni sindacali più rappresentative sul piano nazionale, da un rappresentante designato dalla commissione circoscrizionale per l’impiego territorialmente competente e da un rappresentante delle organizzazioni sindacali territoriali. 
Alle riunioni della commissione partecipa senza potere deliberativo un rappresentante dei detenuti e degli internati, designato per sorteggio secondo le modalità indicate nel regolamento interno dell’istituto. 
Per ogni componente viene indicato un supplente eletto o designato secondo i criteri in precedenza indicati. 
Al lavoro all’esterno, si applicano la disciplina generale sul collocamento ordinario ed agricolo, nonché l’art. 19, L. 28 febbraio 1987, n. 56. 
Per tutto quanto non previsto dal presente articolo si applica la disciplina generale sul collocamento. 
Le amministrazioni penitenziarie, centrali e periferiche, stipulano apposite convenzioni con soggetti pubblici o privati o cooperative sociali interessati a fornire a detenuti o internati opportunità di lavoro. Le convenzioni disciplinano l’oggetto e le condizioni di svolgimento dell’attività lavorativa, la formazione e il trattamento retributivo, senza oneri a carico della finanza pubblica (34). 
Le direzioni degli istituti penitenziari, in deroga alle norme di contabilità generale dello Stato e di quelle di contabilità speciale, possono, previa autorizzazione del Ministro di grazia e giustizia, vendere prodotti delle lavorazioni penitenziarie a prezzo pari o anche inferiore al loro costo, tenuto conto, per quanto possibile, dei prezzi praticati per prodotti corrispondenti nel mercato all’ingrosso della zona in cui è situato l’istituto. 
I detenuti e gli internati che mostrino attitudini artigianali, culturali o artistiche possono essere esonerati dal lavoro ordinario ed essere ammessi ad esercitare per proprio conto, attività artigianali, intellettuali o artistiche. 
I soggetti che non abbiano sufficienti cognizioni tecniche possono essere ammessi a un tirocinio retribuito. 
La durata delle prestazioni lavorative non può superare i limiti stabiliti dalle leggi vigenti in materia di lavoro e, alla stregua di tali leggi, sono garantiti il riposo festivo e la tutela assicurativa e previdenziale. Ai detenuti e agli internati che frequentano i corsi di formazione professionale di cui al comma primo è garantita, nei limiti degli stanziamenti regionali, la tutela assicurativa e ogni altra tutela prevista dalle disposizioni vigenti in ordine a tali corsi (35). 
Agli effetti della presente legge, per la costituzione e lo svolgimento di rapporti di lavoro nonché per l’assunzione della qualità di socio nelle cooperative sociali di cui alla legge 8 novembre 1991, n. 381, non si applicano le incapacità derivanti da condanne penali o civili (36). Entro il 31 marzo di ogni anno il Ministro di grazia e giustizia trasmette al Parlamento una analitica relazione circa lo stato di attuazione delle disposizioni di legge relative al lavoro dei detenuti nell’anno precedente (37).

(34)  Comma aggiunto dall’art. 5, L. 22 giugno 2000, n. 193. 
(35)  La Corte costituzionale, con sentenza 10-22 maggio 2001, n. 158 (Gazz. Uff. 23 maggio 2001, n. 20 – Serie speciale), corretta con ordinanza 12-25 luglio 2001, n. 294 (Gazz. Uff. 1° agosto 2001, n. 30 – Serie speciale), ha dichiarato l’illegittimità del presente comma nella parte in cui non riconosce il diritto al riposo annuale retribuito al detenuto che presti la propria attività lavorativa alle dipendenze dell’amministrazione carceraria
(36)  Comma aggiunto dall’art. 5, L. 22 giugno 2000, n. 193
(37)  Articolo così modificato prima dall’art. 5, L. 10 ottobre 1986, n. 663, e poi dall’art. 2, D.L. 14 giugno 1993, n. 187, nel testo a sua volta modificato dalla relativa legge di conversione. 
 

20-bis. Modalità di organizzazione del lavoro.
1. Il provveditore regionale dell’Amministrazione penitenziaria può affidare, con contratto d’opera, la direzione tecnica delle lavorazioni a persone estranee all’Amministrazione penitenziaria, le quali curano anche la specifica formazione dei responsabili delle lavorazioni e concorrono alla qualificazione professionale dei detenuti, d’intesa con la regione. Possono essere inoltre istituite, a titolo sperimentale, nuove lavorazioni, avvalendosi, se necessario, dei servizi prestati da imprese pubbliche o private ed acquistando le relative progettazioni. 
2. L’Amministrazione penitenziaria, inoltre, applicando, in quanto compatibili, le disposizioni di cui all’undicesimo comma dell’articolo 20, promuove la vendita dei prodotti delle lavorazioni penitenziarie anche mediante apposite convenzioni da stipulare con imprese pubbliche o private, che abbiano una propria rete di distribuzione commerciale. 
3. Previo assenso della direzione dell’istituto, i privati che commissionano forniture all’Amministrazione penitenziaria possono, in deroga alle norme di contabilità generale dello Stato e a quelle di contabilità speciale, effettuare pagamenti differiti, secondo gli usi e le consuetudini vigenti. 
4. Sono abrogati l’articolo 1 della legge 3 luglio 1942, n. 971, e l’articolo 611 delle disposizioni approvate con regio decreto 16 maggio 1920, n. 1908 (38).

(38)  Articolo aggiunto dall’art. 2, D.L. 14 giugno 1993, n. 187, nel testo modificato dalla relativa legge di conversione. 
 

21. Lavoro all’esterno.
1. I detenuti e gli internati possono essere assegnati al lavoro all’e sterno in condizioni idonee a garantire l’attuazione positiva degli scopi previsti dall’articolo 15. Tuttavia, se si tratta di persona condannata alla pena della reclusione per uno dei delitti indicati nei commi 1, 1-ter e 1-quater dell’articolo 4-bis, l’assegnazione al lavoro esterno può essere disposta dopo l’espiazione di almeno un terzo della pena e, comunque, di non oltre cinque anni. Nei confronti dei condannati all’ergastolo l’assegnazione può avvenire dopo l’espiazione di almeno dieci anni (39). 
2. I detenuti e gli internati assegnati al lavoro all’esterno sono avviati a prestare la loro opera senza scorta, salvo che essa sia ritenuta necessaria per motivi di sicurezza. Gli imputati sono ammessi al lavoro all’esterno previa autorizzazione della competente autorità giudiziaria. 
3. Quando si tratta di imprese private, il lavoro deve svolgersi sotto il diretto controllo della direzione dell’istituto a cui il detenuto o l’internato è assegnato, la quale può avvalersi a tal fine del personale dipendente e del servizio sociale. 
4. Per ciascun condannato o internato il provvedimento di ammissione al lavoro all’esterno diviene esecutivo dopo l’approvazione del magistrato di sorveglianza (40). 
4-bis. Le disposizioni di cui ai commi precedenti e la disposizione di cui al secondo periodo del comma sedicesimo dell’articolo 20 si applicano anche ai detenuti ed agli internati ammessi a frequentare corsi di formazione professionale all’esterno degli istituti penitenziari (41).

(39)  Comma prima sostituito dall’art. 1, D.L. 13 maggio 1991, n. 152 e poi così modificato dalla lettera b) del comma 27 dell’art. 2, L. 15 luglio 2009, n. 94. 
(40)  Articolo così sostituito dall’art. 6, L. 10 ottobre 1986, n. 663
(41)  Comma aggiunto dall’art. 2, D.L. 14 giugno 1993, n. 187, nel testo modificato dalla relativa legge di conversione. 
 

21-bis. Assistenza all’esterno dei figli minori.
1. Le condannate e le internate possono essere ammesse alla cura e all’assistenza all’esterno dei figli di età non superiore agli anni dieci, alle condizioni previste dall’articolo 21. 
2. Si applicano tutte le disposizioni relative al lavoro all’esterno, in particolare l’articolo 21, in quanto compatibili. 
3. La misura dell’assistenza all’esterno può essere concessa, alle stesse condizioni, anche al padre detenuto, se la madre è deceduta o impossibilitata e non vi è modo di affidare la prole ad altri che al padre (42).

(42)  Articolo aggiunto dall’art. 5, L. 8 marzo 2001, n. 40. 
 

22. Determinazione delle mercedi.
1. Le mercedi per ciascuna categoria di lavoranti sono equitativamente stabilite in relazione alla quantità e qualità del lavoro effettivamente prestato, alla organizzazione e al tipo del lavoro del detenuto in misura non inferiore ai due terzi del trattamento economico previsto dai contratti collettivi di lavoro. A tale fine è costituita una commissione composta dal direttore generale degli istituti di prevenzione e di pena, che la presiede, dal direttore dell’ufficio del lavoro dei detenuti e degli internati della direzione generale per gli istituti di prevenzione e di pena, da un ispettore generale degli istituti di prevenzione e di pena, da un rappresentante del Ministero del tesoro, da un rappresentante del Ministero del lavoro e della previdenza sociale e da un delegato per ciascuna delle organizzazioni sindacali più rappresentative sul piano nazionale. 
2. L’ispettore generale degli istituti di prevenzione e di pena funge da segretario della commissione. 
3. La medesima commissione stabilisce il trattamento economico dei tirocinanti. 
4. La commissione stabilisce, altresì, il numero massimo di ore di permesso di assenza dal lavoro retribuite e le condizioni e modalità di fruizione delle stesse da parte dei detenuti e degli internati addetti alle lavorazioni, interne o esterne, o ai servizi di istituto, i quali frequentino i corsi della scuola d’obbligo o delle scuole di istruzione secondaria di secondo grado, o i corsi di addestramento professionale, ove tali corsi si svolgano, negli istituti penitenziari, durante l’orario di lavoro ordinario (43).

(43)  Articolo così sostituito dall’art. 7, L. 10 ottobre 1986, n. 663. 
 

23. Remunerazione e assegni familiari.
[La remunerazione corrisposta per il lavoro è determinata nella misura dell’intera mercede per gli internati e di sette decimi della mercede per gli imputati e i condannati] (44). 
[La differenza tra mercede e remunerazione corrisposta ai condannati è versata alla cassa per il soccorso e l’assistenza alle vittime del delitto] (45). 
[La differenza tra mercede e remunerazione corrisposta agli imputati è accantonata ed è versata all’avente diritto in caso di proscioglimento o di assoluzione oppure alla massa di cui al precedente comma in caso di condanna] (46). 
Ai detenuti e agli internati che lavorano sono dovuti, per le persone a carico, gli assegni familiari nella misura e secondo le modalità di legge. 
Gli assegni familiari sono versati direttamente alle persone a carico con le modalità fissate dal regolamento (47).

(44)  Comma abrogato dall’art. 29, L. 10 ottobre 1986, n. 663. 
(45)  Comma abrogato dall’art. 29, L. 10 ottobre 1986, n. 663
(46)  Comma abrogato dall’art. 29, L. 10 ottobre 1986, n. 663. 
(47)  La Corte costituzionale, con sentenza 3-18 febbraio 1992, n. 49 (Gazz. Uff. 26 febbraio 1992, n. 9 – Serie speciale), ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 23, nella parte in cui stabilisce una riduzione dei tre decimi della mercede corrisposta per il lavoro dei detenuti da versarsi alla Cassa per il soccorso e l’assistenza alle vittime dei delitti e, dopo la sua soppressione, alle regioni ed agli enti locali (province e comuni). 
 

24. Pignorabilità e sequestrabilità della remunerazione.
Sulla remunerazione spettante ai condannati sono prelevate le somme dovute a titolo di risarcimento del danno e di rimborso delle spese di procedimento. Sulla remunerazione spettante ai condannati ed agli internati sono altresì prelevate le somme dovute ai sensi del secondo e del terzo comma dell’articolo 2. 
In ogni caso deve essere riservata a favore dei condannati una quota pari a tre quarti. Tale quota non è soggetta a pignoramento o a sequestro, salvo che per obbligazioni derivanti da alimenti, o a prelievo per il risarcimento del danno arrecato alle cose mobili o immobili dell’amministrazione. 
La remunerazione dovuta agli internati e agli imputati non è soggetta a pignoramento o a sequestro, salvo che per obbligazioni derivanti da alimenti, o a prelievo per il risarcimento del danno arrecato alle cose mobili o immobili dell’amministrazione.

 25. Peculio.
Il peculio dei detenuti e degli internati è costituito dalla parte della remunerazione ad essi riservata ai sensi del precedente articolo, dal danaro posseduto all’atto dell’ingresso in istituto, da quello ricavato dalla vendita degli oggetti di loro proprietà o inviato dalla famiglia e da altri o ricevuto a titolo di premio o di sussidio. 
Le somme costituite in peculio producono a favore dei titolari interessi legali. 
Il peculio è tenuto in deposito dalla direzione dell’istituto. 
Il regolamento deve prevedere le modalità del deposito e stabilire la parte di peculio disponibile dai detenuti e dagli internati per acquisti autorizzati di oggetti personali o invii ai familiari o conviventi, e la parte da consegnare agli stessi all’atto della dimissione dagli istituti.

 

25-bis. Commissioni regionali per il lavoro penitenziario.
1. Sono istituite le commissioni regionali per il lavoro penitenziario. Esse sono presiedute dal provveditore regionale dell’Amministrazione penitenziaria e sono composte dai rappresentanti, in sede locale, delle associazioni imprenditoriali e delle associazioni cooperative e dai rappresentanti della regione che operino nel settore del lavoro e della formazione professionale. Per il Ministero del lavoro e della previdenza sociale interviene un funzionario in servizio presso l’ufficio regionale del lavoro e della massima occupazione. 
2. Le lavorazioni penitenziarie sono organizzate, sulla base di direttive, dai provveditorati regionali dell’Amministrazione penitenziaria, sentite le commissioni regionali per il lavoro penitenziario nonché le direzioni dei singoli istituti. 
3. I posti di lavoro a disposizione della popolazione penitenziaria devono essere quantitativamente e qualitativamente dimensionati alle effettive esigenze di ogni singolo istituto. Essi sono fissati in una tabella predisposta dalla direzione dell’istituto, nella quale sono separatamente elencati i posti relativi alle lavorazioni interne industriali, agricole ed ai servizi di istituto. 
4. Nella tabella di cui al comma 3 sono altresì indicati i posti di lavoro disponibili all’esterno presso imprese pubbliche o private o associazioni cooperative nonché i posti relativi alle produzioni che imprese private o associazioni cooperative intendono organizzare e gestire direttamente all’interno degli istituti. 
5. Annualmente la direzione dell’istituto elabora ed indica il piano di lavoro in relazione al numero dei detenuti, all’organico del personale civile e di polizia penitenziaria disponibile e alle strutture produttive. 
6. La tabella, che può essere modificata secondo il variare della situazione, ed il piano di lavoro annuale sono approvati dal provveditore regionale dell’Amministrazione penitenziaria, sentita la commissione regionale per il lavoro penitenziario. 
7. Nel regolamento di ciascun istituto sono indicate le attività lavorative che possono avere esecuzione in luoghi a sicurezza attenuata (48).

(48)  Articolo aggiunto dall’art. 2, D.L. 14 giugno 1993, n. 187, nel testo introdotto dalla relativa legge di conversione. 
 

26. Religione e pratiche di culto.
I detenuti e gli internati hanno libertà di professare la propria fede religiosa, di istruirsi in essa e di praticarne il culto. 
Negli istituti è assicurata la celebrazione dei riti del culto cattolico. 
A ciascun istituto è addetto almeno un cappellano. 
Gli appartenenti a religione diversa dalla cattolica hanno diritto di ricevere, su loro richiesta, l’assistenza dei ministri del proprio culto e di celebrarne i riti (49) (50).

(49)  Comma così modificato dall’art. 8, L. 10 ottobre 1986, n. 663. 
(50)  Il presente articolo era stato abrogato dall’art. 299, D.Lgs. 30 maggio 2002, n. 113 e dall’art. 299, D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, con la decorrenza indicata nell’art. 302 dello stesso decreto. Successivamente, in seguito alle rettifiche disposte con Comunicato 6 dicembre 2002 (Gazz. Uff. 6 dicembre 2002, n. 286), la nuova formulazione dei suddetti articoli 299 non prevede tale abrogazione. 
 

27. Attività culturali, ricreative e sportive.
Negli istituti devono essere favorite e organizzate attività culturali, sportive e ricreative e ogni altra attività volta alla realizzazione della personalità dei detenuti e degli internati, anche nel quadro del trattamento rieducativo. 
Una commissione composta dal direttore dell’istituto, dagli educatori e dagli assistenti sociali e dai rappresentanti dei detenuti e degli internati cura la organizzazione delle attività di cui al precedente comma, anche mantenendo contatti con il mondo esterno utili al reinserimento sociale.
28. Rapporti con la famiglia.
Particolare cura è dedicata a mantenere, migliorare o ristabilire le relazioni dei detenuti e degli internati con le famiglie.

 29. Comunicazioni dello stato di detenzione, dei trasferimenti, delle malattie e dei decessi.
I detenuti e gli internati sono posti in grado d’informare immediatamente i congiunti e le altre persone da essi eventualmente indicate del loro ingresso in un istituto penitenziario o dell’avvenuto trasferimento. 
In caso di decesso o di grave infermità fisica o psichica di un detenuto o di un internato, deve essere data tempestiva notizia ai congiunti ed alle altre persone eventualmente da lui indicate; analogamente i detenuti e gli internati devono essere tempestivamente informati del decesso o della grave infermità delle persone di cui al comma precedente.
30. Permessi.
Nel caso di imminente pericolo di vita di un familiare o di un convivente, ai condannati e agli internati può essere concesso dal magistrato di sorveglianza il permesso di recarsi a visitare, con le cautele previste dal regolamento l’infermo. Agli imputati il permesso è concesso, durante il procedimento di primo grado, dalle medesime autorità giudiziarie, competenti ai sensi del secondo comma dell’articolo 11 a disporre il trasferimento in luoghi esterni di cura degli imputati fino alla pronuncia della sentenza di primo grado. Durante il procedimento di appello provvede il presidente del collegio e, nel corso di quello di cassazione, il presidente dell’ufficio giudiziario presso il quale si è svolto il procedimento di appello (51). 
Analoghi permessi possono essere concessi eccezionalmente per eventi di particolare gravità (52). 
Il detenuto che non rientra in istituto allo scadere del permesso senza giustificato motivo, se l’assenza si protrae per oltre tre ore e per non più di dodici, è punito in via disciplinare; se l’assenza si protrae per un tempo maggiore, è punibile a norma del primo comma dell’articolo 385 del codice penale ed è applicabile la disposizione dell’ultimo capoverso dello stesso articolo. 
L’internato che rientra in istituto dopo tre ore dalla scadenza del permesso senza giustificato motivo è punito in via disciplinare.

(51)  Comma così sostituito dall’art. 3, L. 12 gennaio 1977, n. 1 (Gazz. Uff. 18 gennaio 1977, n. 15). 
(52)  Comma così sostituito dall’art. 1, L. 20 luglio 1977, n. 450 (Gazz. Uff. 1° agosto 1977, n. 209). 
 
30-bis. Provvedimenti e reclami in materia di permessi.
Prima di pronunciarsi sull’istanza di permesso, l’autorità competente deve assumere informazioni sulla sussistenza dei motivi addotti, a mezzo delle autorità di pubblica sicurezza, anche del luogo in cui l’istante chiede di recarsi. 
La decisione sull’istanza è adottata con provvedimento motivato. 
Il provvedimento è comunicato immediatamente senza formalità, anche a mezzo del telegrafo o del telefono, al pubblico ministero e all’interessato, i quali, entro ventiquattro ore dalla comunicazione, possono proporre reclamo, se il provvedimento è stato emesso dal magistrato di sorveglianza, alla sezione di sorveglianza, o, se il provvedimento è stato emesso da altro organo giudiziario, alla corte di appello (53). 
La sezione di sorveglianza o la corte di appello, assunte, se del caso, sommarie informazioni, provvede entro dieci giorni dalla ricezione del reclamo dandone immediata comunicazione ai sensi del comma precedente (54). 
Il magistrato di sorveglianza, o il presidente della corte d’appello, non fa parte del collegio che decide sul reclamo avverso il provvedimento da lui emesso. 
Quando per effetto della disposizione contenuta nel precedente comma non è possibile comporre la sezione di sorveglianza con i magistrati di sorveglianza del distretto, si procede all’integrazione della sezione ai sensi dell’articolo 68, terzo e quarto comma. 
L’esecuzione del permesso è sospesa sino alla scadenza del termine stabilito dal terzo comma e durante il procedimento previsto dal quarto comma, sino alla scadenza del termine ivi previsto. 
Le disposizioni del comma precedente non si applicano ai permessi concessi ai sensi del primo comma dell’art. 30. In tale caso è obbligatoria la scorta. 
Il procuratore generale presso la corte d’appello è informato dei permessi concessi e del relativo esito, con relazione trimestrale, degli organi che li hanno rilasciati (55).

(53)  La Corte costituzionale, con sentenza 26 giugno-4 luglio 1996, n. 235 (Gazz. Uff. 17 luglio 1996, n. 29, Serie speciale), ha dichiarato inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 30-bis, terzo comma, sollevata in riferimento agli artt. 3, 25 e 27 della Costituzione
(54)  La Corte costituzionale, con ordinanza 26 giugno-4 luglio 1996, n. 237 (Gazz. Uff. 17 luglio 1996, n. 29, Serie speciale), ha dichiarato la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 30-bis, quarto comma, sollevate in riferimento agli artt. 3, 24 e 27 della Costituzione
(55)  Articolo aggiunto dall’art. 2, L. 20 luglio 1977, n. 450 (Gazz. Uff. 1° agosto 1977, n. 209), entrata in vigore il giorno successivo alla sua pubblicazione. La Corte costituzionale, con sentenza 8-16 febbraio 1993, n. 53 (Gazz. Uff. 24 febbraio 1993, n. 9 – Serie speciale), ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 14-ter, primo, secondo e terzo comma e dell’art. 30-bis, nella parte in cui non consentono l’applicazione degli artt. 666 e 678 del codice di procedura penale nel procedimento di reclamo avverso il decreto del magistrato di sorveglianza che esclude dal computo della detenzione il periodo trascorso in permesso-premio. 
 

30-ter. Permessi premio.
1. Ai condannati che hanno tenuto regolare condotta ai sensi del successivo comma 8 e che non risultano socialmente pericolosi, il magistrato di sorveglianza, sentito il direttore dell’istituto, può concedere permessi premio di durata non superiore ogni volta a quindici giorni per consentire di coltivare interessi affettivi, culturali o di lavoro. La durata dei permessi non può superare complessivamente quarantacinque giorni in ciascun anno di espiazione (56). 
1-bis. … (57). 
2. Per i condannati minori di età la durata dei permessi premio non può superare ogni volta i venti giorni e la durata complessiva non può eccedere i sessanta giorni in ciascun anno di espiazione. 
3. L’esperienza dei permessi premio è parte integrante del programma di trattamento e deve essere seguita dagli educatori e assistenti sociali penitenziari in collaborazione con gli operatori sociali del territorio. 
4. La concessione dei permessi è ammessa: 
   a) nei confronti dei condannati all’arresto o alla reclusione non superiore a tre anni anche se congiunta all’arresto; 
   b) nei confronti dei condannati alla reclusione superiore a tre anni, salvo quanto previsto dalla lettera c), dopo l’espiazione di almeno un quarto della pena; 
   c) nei confronti dei condannati alla reclusione per taluno dei delitti indicati nei commi 1, 1-ter e 1-quater dell’articolo 4-bis, dopo l’espiazione di almeno metà della pena e, comunque, di non oltre dieci anni (58) (59); 
   d) nei confronti dei condannati all’ergastolo, dopo l’espiazione di almeno dieci anni (60) (61). 
5. Nei confronti dei soggetti che durante l’espiazione della pena o delle misure restrittive hanno riportato condanna o sono imputati per delitto doloso commesso durante l’espiazione della pena o l’esecuzione di una misura restrittiva della libertà personale, la concessione è ammessa soltanto decorsi due anni dalla commissione del fatto (62) (63). 
6. Si applicano, ove del caso, le cautele previste per i permessi di cui al primo comma dell’articolo 30; si applicano altresì le disposizioni di cui al terzo e al quarto comma dello stesso articolo. 
7. Il provvedimento relativo ai permessi premio è soggetto a reclamo al tribunale di sorveglianza, secondo le procedure di cui all’articolo 30-bis. 
8. La condotta dei condannati si considera regolare quando i soggetti, durante la detenzione, hanno manifestato costante senso di responsabilità e correttezza nel comportamento personale, nelle attività organizzate negli istituti e nelle eventuali attività lavorative o culturali (64).

(56)  Comma così modificato dall’art. 1, D.L. 13 maggio 1991, n. 152. 
(57)  Comma aggiunto dall’art. 13, L. 19 marzo 1990, n. 55, e successivamente abrogato dall’art. 1, D.L. 13 maggio 1991, n. 152. 
(58) Lettera così modificata dalla lettera b) del comma 27 dell’art. 2, L. 15 luglio 2009, n. 94. 
(59)  Con sentenza 16-30 dicembre 1998, n. 450 (Gazz. Uff. 7 gennaio 1999, n. 1 – Serie speciale), la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della presente lettera nella parte in cui si riferisce ai minorenni. 
(60)  Comma così sostituito dall’art. 1, D.L. 13 maggio 1991, n. 152. 
(61)  La Corte costituzionale, con sentenza 2-6 giugno 1995, n. 227 (Gazz. Uff. 14 giugno 1995, n. 25 – Serie speciale), ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 30-ter, quarto comma, introdotto dall’art. 9, L. 10 ottobre 1986, n. 663, nella parte in cui non prevede l’ammissione al permesso premio dei condannati alla reclusione militare. 
(62)  La Corte costituzionale, con sentenza 10-17 dicembre 1997, n. 403 (Gazz. Uff. 24 dicembre 1997, n. 52 – Serie speciale), ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 30-ter, comma 5, introdotto dall’art. 9, L. 10 ottobre 1986, n. 663, nella parte in cui si riferisce ai minorenni. 
(63)  La Corte costituzionale, con sentenza 18-30 luglio 1997, n. 296 (Gazz. Uff. 20 agosto 1997, n. 34, Serie speciale), ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 30-ter, quinto comma, sollevate in riferimento agli artt. 3, 24, 27, secondo e terzo comma, e 101, secondo comma, della Costituzione. Con successiva sentenza 10-17 dicembre 1997, n. 403 (Gazz. Uff. 24 dicembre 1997, n. 52, Serie speciale), la stessa Corte ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 30-ter, comma 5, introdotto dall’art. 9 della legge 10 ottobre 1986, n. 663, sollevata in riferimento all’art. 24 della Costituzione. 
(64)  Articolo aggiunto dall’art. 9, L. 10 ottobre 1986, n. 663. 
 

30-quater. Concessione dei permessi premio ai recidivi.
1. I permessi premio possono essere concessi ai detenuti, ai quali sia stata applicata la recidiva prevista dall’ articolo 99, quarto comma, del codice penale, nei seguenti casi previsti dal comma 4 dell’articolo 30-ter: 
   a) alla lettera a) dopo l’espiazione di un terzo della pena; 
   b) alla lettera b) dopo l’espiazione della metà della pena; 
   c) alle lettere c) e d) dopo l’espiazione di due terzi della pena e, comunque, di non oltre quindici anni (65).

(65)  Articolo aggiunto dall’art. 7, L. 5 dicembre 2005, n. 251 (Gazz. Uff. 7 dicembre 2005, n. 285), entrata in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione. La Corte costituzionale, con sentenza 21 giugno-4 luglio 2006, n. 257 (Gazz. Uff. 12 luglio 2006, n. 28 – Prima serie speciale), ha dichiarato, tra l’altro, l’illegittimità del presente articolo nella parte in cui non prevede che il beneficio del permesso premio possa essere concesso sulla base della normativa previgente nei confronti dei condannati che, prima della entrata in vigore della legge n. 251 del 2005, abbiano raggiunto un grado di rieducazione adeguato al beneficio richiesto. 
 

31. Costituzione delle rappresentanze dei detenuti e degli internati.
Le rappresentanze dei detenuti e degli internati previste dagli articoli 12 e 27 sono nominate per sorteggio secondo le modalità indicate dal regolamento interno dell’istituto.

 Capo IV 
Regime penitenziario 
 

 

32. Norme di condotta dei detenuti e degli internati. Obbligo di risarcimento del danno.
I detenuti e gli internati, all’atto del loro ingresso negli istituti, e quando sia necessario, successivamente sono informati delle disposizioni generali e particolari attinenti ai loro diritti e doveri, alla disciplina e al trattamento. 
Essi devono osservare le norme e le disposizioni che regolano la vita penitenziaria. 
Nessun detenuto o internato può avere, nei servizi dell’istituto, mansioni che importino un potere disciplinare o consentano la acquisizione di una posizione di preminenza sugli altri. 
I detenuti e gli internati devono avere cura degli oggetti messi a loro disposizione e astenersi da qualsiasi danneggiamento di cose altrui. 
I detenuti e gli internati che arrecano danno alle cose mobili o immobili dell’amministrazione penitenziaria sono tenuti a risarcirlo senza pregiudizio dell’eventuale procedimento penale e disciplinare.


33. Isolamento.
Negli istituti penitenziari l’isolamento continuo è ammesso: 
   1) quando è prescritto per ragioni sanitarie; 
   2) durante l’esecuzione della sanzione della esclusione dalle attività in comune; 
   3) per gli imputati durante l’istruttoria e per gli arrestati nel procedimento di prevenzione, se e fino a quando ciò sia ritenuto necessario dall’autorità giudiziaria.

 34. Perquisizione personale.
I detenuti e gli internati possono essere sottoposti a perquisizione personale per motivi di sicurezza. 
La perquisizione personale deve essere effettuata nel pieno rispetto della personalità (66).

(66)  La Corte costituzionale, con sentenza 15-22 novembre 2000, n. 526 (Gazz. Uff. 29 novembre 2000, n. 49, serie speciale), ha dichiarato non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 34 sollevata in riferimento agli articoli 3, 13, secondo e terzo comma, 24, primo e secondo comma, 97, primo comma, 113, primo e secondo comma, della Cost. 
 
35. Diritto di reclamo.
I detenuti e gli internati possono rivolgere istanze o reclami orali o scritti, anche in busta chiusa: 
   1) al direttore dell’istituto, nonché agli ispettori, al direttore generale per gli istituti di prevenzione e di pena e al Ministro per la grazia e giustizia; 
   2) al magistrato di sorveglianza; 
   3) alle autorità giudiziarie e sanitarie in visita all’istituto; 
   4) al presidente della Giunta regionale; 
   5) al Capo dello Stato (67) (68).

(67)  Con sentenza 8-11 febbraio 1999, n. 26 (Gazz. Uff. 17 febbraio 1999, n. 7, Serie speciale) la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale degli artt. 35 e 69, quest’ultimo come sostituito dall’art. 21 della legge 10 ottobre 1986, n. 663, nella parte in cui non prevedono una tutela giurisdizionale nei confronti degli atti della amministrazione penitenziaria lesivi di diritti di coloro che sono sottoposti a restrizione della libertà personale
(68) La Corte costituzionale, con sentenza 8 – 23 ottobre 2009, n. 266 (Gazz. Uff. 28 ottobre 2009, n. 43, 1ª Serie speciale), ha dichiarato, fra l’altro, inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 35, sollevata, in riferimento agli articoli 3, 24, primo comma, 27, terzo comma, 97, primo comma, 111, primo e secondo comma, e 113 della Costituzione, «ed ai principi generali sulla giurisdizione».
 

36. Regime disciplinare.
Il regime disciplinare è attuato in modo da stimolare il senso di responsabilità e la capacità di autocontrollo. Esso è adeguato alle condizioni fisiche e psichiche dei soggetti.

 37. Ricompense.
Le ricompense costituiscono il riconoscimento del senso di responsabilità dimostrato nella condotta personale e nelle attività organizzate negli istituti. 
Le ricompense e gli organi competenti a concederle sono previsti dal regolamento.
38. Infrazioni disciplinari.
I detenuti e gli internati non possono essere puniti per un fatto che non sia espressamente previsto come infrazione al regolamento. 
Nessuna sanzione può essere inflitta se non con provvedimento motivato dopo la contestazione dell’addebito all’interessato, il quale è ammesso ad esporre le proprie discolpe. 
Nell’applicazione delle sanzioni bisogna tener conto, oltre che della natura e della gravità del fatto, del comportamento e delle condizioni personali del soggetto. 
Le sanzioni sono eseguite nel rispetto della personalità.
39. Sanzioni disciplinari.
Le infrazioni disciplinari possono dar luogo solo alle seguenti sanzioni: 
   1) richiamo del direttore; 
   2) ammonizione, rivolta dal direttore, alla presenza di appartenenti al personale e di un gruppo di detenuti o internati; 
   3) esclusione da attività ricreative e sportive per non più di dieci giorni; 
   4) isolamento durante la permanenza all’aria aperta per non più di dieci giorni; 
   5) esclusione dalle attività in comune per non più di quindici giorni. 
La sanzione della esclusione dalle attività in comune non può essere eseguita senza la certificazione scritta, rilasciata dal sanitario, attestante che il soggetto può sopportarla. Il soggetto escluso dalle attività in comune è sottoposto a costante controllo sanitario. 
L’esecuzione della sanzione della esclusione dalle attività in comune è sospesa nei confronti delle donne gestanti e delle puerpere fino a sei mesi, e dalle madri che allattino la propria prole fino ad un anno.

 40. Autorità competente a deliberare le sanzioni.
Le sanzioni del richiamo e della ammonizione sono deliberate dal direttore. 
Le altre sanzioni sono deliberate dal consiglio di disciplina, composto dal direttore o, in caso di suo legittimo impedimento, dall’impiegato più elevato in grado, con funzioni di presidente, dal sanitario e dall’educatore.

 41. Impiego della forza fisica e uso dei mezzi di coercizione.
Non è consentito l’impiego della forza fisica nei confronti dei detenuti e degli internati se non sia indispensabile per prevenire o impedire atti di violenza, per impedire tentativi di evasione o per vincere la resistenza, anche passiva all’esecuzione degli ordini impartiti. 
Il personale che per qualsiasi motivo, abbia fatto uso della forza fisica nei confronti dei detenuti o degli internati, deve immediatamente riferirne al direttore dell’istituto il quale dispone, senza indugio, accertamenti sanitari e procede alle altre indagini del caso. 
Non può essere usato alcun mezzo di coercizione fisica che non sia espressamente previsto dal regolamento e, comunque, non vi si può far ricorso ai fini disciplinari ma solo al fine di evitare danni a persone o cose o di garantire la incolumità dello stesso soggetto. L’uso deve essere limitato al tempo strettamente necessario e deve essere costantemente controllato dal sanitario. 
Gli agenti in servizio nell’interno degli istituti non possono portare armi se non nei casi eccezionali in cui ciò venga ordinato dal direttore.
41-bis. Situazioni di emergenza (69).
1. In casi eccezionali di rivolta o di altre gravi situazioni di emergenza, il Ministro della giustizia ha facoltà di sospendere nell’istituto interessato o in parte di esso l’applicazione delle normali regole di trattamento dei detenuti e degli internati. La sospensione deve essere motivata dalla necessità di ripristinare l’ordine e la sicurezza e ha la durata strettamente necessaria al conseguimento del fine suddetto (70). 
   2. Quando ricorrano gravi motivi di ordine e di sicurezza pubblica, anche a richiesta del Ministro dell’interno, il Ministro della giustizia ha altresì la facoltà di sospendere, in tutto o in parte, nei confronti dei detenuti o internati per taluno dei delitti di cui al primo periodo del comma 1 dell’articolo 4-bis o comunque per un delitto che sia stato commesso avvalendosi delle condizioni o al fine di agevolare l’associazione di tipo mafioso, in relazione ai quali vi siano elementi tali da far ritenere la sussistenza di collegamenti con un’associazione criminale, terroristica o eversiva, l’applicazione delle regole di trattamento e degli istituti previsti dalla presente legge che possano porsi in concreto contrasto con le esigenze di ordine e di sicurezza. La sospensione comporta le restrizioni necessarie per il soddisfacimento delle predette esigenze e per impedire i collegamenti con l’associazione di cui al periodo precedente. In caso di unificazione di pene concorrenti o di concorrenza di più titoli di custodia cautelare, la sospensione può essere disposta anche quando sia stata espiata la parte di pena o di misura cautelare relativa ai delitti indicati nell’articolo 4-bis (71) (72). 
2-bis. Il provvedimento emesso ai sensi del comma 2 è adottato con decreto motivato del Ministro della giustizia, anche su richiesta del Ministro dell’interno, sentito l’ufficio del pubblico ministero che procede alle indagini preliminari ovvero quello presso il giudice procedente e acquisita ogni altra necessaria informazione presso la Direzione nazionale antimafia, gli organi di polizia centrali e quelli specializzati nell’azione di contrasto alla criminalità organizzata, terroristica o eversiva, nell’ambito delle rispettive competenze. Il provvedimento medesimo ha durata pari a quattro anni ed è prorogabile nelle stesse forme per successivi periodi, ciascuno pari a due anni. La proroga è disposta quando risulta che la capacità di mantenere collegamenti con l’associazione criminale, terroristica o eversiva non è venuta meno, tenuto conto anche del profilo criminale e della posizione rivestita dal soggetto in seno all’associazione, della perdurante operatività del sodalizio criminale, della sopravvenienza di nuove incriminazioni non precedentemente valutate, degli esiti del trattamento penitenziario e del tenore di vita dei familiari del sottoposto. Il mero decorso del tempo non costituisce, di per sè, elemento sufficiente per escludere la capacità di mantenere i collegamenti con l’associazione o dimostrare il venir meno dell’operatività della stessa (73). 
2-ter. [Se anche prima della scadenza risultano venute meno le condizioni che hanno determinato l’adozione o la proroga del provvedimento di cui al comma 2, il Ministro della giustizia procede, anche d’ufficio, alla revoca con decreto motivato. Il provvedimento che non accoglie l’istanza presentata dal detenuto, dall’internato o dal difensore è reclamabile ai sensi dei commi 2-quinquies e 2-sexies. In caso di mancata adozione del provvedimento a seguito di istanza del detenuto, dell’internato o del difensore, la stessa si intende non accolta decorsi trenta giorni dalla sua presentazione] (74). 
2-quater. I detenuti sottoposti al regime speciale di detenzione devono essere ristretti all’interno di istituti a loro esclusivamente dedicati, collocati preferibilmente in aree insulari, ovvero comunque all’interno di sezioni speciali e logisticamente separate dal resto dell’istituto e custoditi da reparti specializzati della polizia penitenziaria. La sospensione delle regole di trattamento e degli istituti di cui al comma 2 (75): 
   a) l’adozione di misure di elevata sicurezza interna ed esterna, con riguardo principalmente alla necessità di prevenire contatti con l’organizzazione criminale di appartenenza o di attuale riferimento, contrasti con elementi di organizzazioni contrapposte, interazione con altri detenuti o internati appartenenti alla medesima organizzazione ovvero ad altre ad essa alleate; 
   b) la determinazione dei colloqui nel numero di uno al mese da svolgersi ad intervalli di tempo regolari ed in locali attrezzati in modo da impedire il passaggio di oggetti. Sono vietati i colloqui con persone diverse dai familiari e conviventi, salvo casi eccezionali determinati volta per volta dal direttore dell’istituto ovvero, per gli imputati fino alla pronuncia della sentenza di primo grado, dall’autorità giudiziaria competente ai sensi di quanto stabilito nel secondo comma dell’articolo 11. I colloqui vengono sottoposti a controllo auditivo ed a registrazione, previa motivata autorizzazione dell’autorità giudiziaria competente ai sensi del medesimo secondo comma dell’articolo 11; solo per coloro che non effettuano colloqui può essere autorizzato, con provvedimento motivato del direttore dell’istituto ovvero, per gli imputati fino alla pronuncia della sentenza di primo grado, dall’autorità giudiziaria competente ai sensi di quanto stabilito nel secondo comma dell’articolo 11, e solo dopo i primi sei mesi di applicazione, un colloquio telefonico mensile con i familiari e conviventi della durata massima di dieci minuti sottoposto, comunque, a registrazione. I colloqui cono comunque videoregistrati. Le disposizioni della presente lettera non si applicano ai colloqui con i difensori con i quali potrà effettuarsi, fino ad un massimo di tre volte alla settimana, una telefonata o un colloquio della stessa durata di quelli previsti con i familiari (76); 
   c) la limitazione delle somme, dei beni e degli oggetti che possono essere ricevuti dall’esterno; 
   d) l’esclusione dalle rappresentanze dei detenuti e degli internati; 
   e) la sottoposizione a visto di censura della corrispondenza, salvo quella con i membri del Parlamento o con autorità europee o nazionali aventi competenza in materia di giustizia; 
   f) la limitazione della permanenza all’aperto, che non può svolgersi in gruppi superiori a quattro persone, ad una durata non superiore a due ore al giorno fermo restando il limite minimo di cui al primo comma dell’articolo 10. Saranno inoltre adottate tutte le necessarie misure di sicurezza, anche attraverso accorgimenti di natura logistica sui locali di detenzione, volte a garantire che sia assicurata la assoluta impossibilità di comunicare tra detenuti appartenenti a diversi gruppi di socialità, scambiare oggetti e cuocere cibi (77) (78). 
2-quinquies. Il detenuto o l’internato nei confronti del quale è stata disposta o prorogata l’applicazione del regime di cui al comma 2, ovvero il difensore, possono proporre reclamo avverso il procedimento applicativo. Il reclamo è presentato nel termine di venti giorni dalla comunicazione del provvedimento e su di esso è competente a decidere il tribunale di sorveglianza di Roma. Il reclamo non sospende l’esecuzione del provvedimento (79). 
2-sexies. Il tribunale, entro dieci giorni dal ricevimento del reclamo di cui al comma 2-quinquies, decide in camera di consiglio, nelle forme previste dagli articoli 666 e 678 del codice di procedura penale, sulla sussistenza dei presupposti per l’adozione del provvedimento. All’udienza le funzioni di pubblico ministero possono essere altresì svolte da un rappresentante dell’ufficio del procuratore della Repubblica di cui al comma 2-bis o del procuratore nazionale antimafia. Il procuratore nazionale antimafia, il procuratore di cui al comma 2-bis, il procuratore generale presso la corte d’appello, il detenuto, l’internato o il difensore possono proporre, entro dieci giorni dalla sua comunicazione, ricorso per cassazione avverso l’ordinanza del tribunale per violazione di legge. Il ricorso non sospende l’esecuzione del provvedimento ed è trasmesso senza ritardo alla Corte di cassazione. Se il reclamo viene accolto, il Ministro della giustizia, ove intenda disporre un nuovo provvedimento ai sensi del comma 2, deve, tenendo conto della decisione del tribunale di sorveglianza, evidenziare elementi nuovi o non valutati in sede di reclamo (80). 
2septies. 2Per la partecipazione del detenuto o dell’internato all’udienza si applicano le disposizioni di cui all’articolo 146-bis delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, di cui al decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271 (81).

(69)  Articolo aggiunto dal primo comma dell’art. 10, L. 10 ottobre 1986, n. 663.
(70) Comma così modificato dalla lettera a) del comma 25 dell’art. 2, L. 15 luglio 2009, n. 94. 
(71)  Comma aggiunto dall’art. 19, D.L. 8 giugno 1992, n. 306. L’efficacia delle disposizioni di cui al presente comma è stata prima prorogata al 31 dicembre 1999 dall’art. 1, L. 16 febbraio 1995, n. 36 (Gazz. Uff. 18 febbraio 1995, n. 41) e, poi, al 31 dicembre 2002, dall’art. 6, comma 1-bis, L. 7 gennaio 1998, n. 11 (Gazz. Uff. 6 febbraio 1998, n. 30), integrato dall’art. 1, L. 26 novembre 1999, n. 446 (Gazz. Uff. 1° dicembre 1999, n. 282). Il suddetto art. 6 era stato abrogato dall’art. 8, D.L. 18 ottobre 2001, n. 374 ma l’abrogazione non era più contenuta nella nuova formulazione del citato art. 8 disposta dalla legge di conversione 15 dicembre 2001, n. 438. Il citato articolo 6 è stato abrogato dall’art. 3, L. 23 dicembre 2002, n. 279. Successivamente, gli attuali commi da 2 a 2-sexies hanno sostituito gli originari commi 2 e 2-bis, ai sensi di quanto disposto dall’art. 2, L. 23 dicembre 2002, n. 279. Da ultimo, il presente comma è stato così modificato dalle lettere b) e c) del comma 25 dell’art. 2, L. 15 luglio 2009, n. 94. 
(72)  La Corte costituzionale, con sentenza 14-18 ottobre 1996, n. 351 (Gazz. Uff. 23 ottobre 1996, n. 43, Serie speciale), ha dichiarato non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 41-bis, secondo comma, e dell’art. 14-ter, sollevata in riferimento agli artt. 13, secondo comma, 3, primo comma, 27, terzo comma, e 113, primo e secondo comma, della Costituzione. Con successiva sentenza 26 novembre-5 dicembre 1997, n. 376 (Gazz. Uff. 10 dicembre 1997, n. 50, Serie speciale), la stessa Corte ha dichiarato non fondate, nei sensi di cui in motivazione, le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 41-bis comma 2, e dell’art. 14-ter, sollevate in riferimento agli artt. 3, 13, 24, 25, 27, secondo e terzo comma, e 113 della Costituzione. Successivamente la Corte, chiamata nuovamente a pronunciarsi sulla stessa questione, con ordinanza 20-26 maggio 1998, n. 192 (Gazz. Uff. 3 giugno 1998, n. 22, Serie speciale), ne ha dichiarato la manifesta infondatezza
(73) Comma aggiunto dall’art. 4, L. 7 gennaio 1998, n. 11 (Gazz. Uff. 6 febbraio 1998, n. 30). Il comma 1 dell’art. 6 della stessa legge, come modificato dall’art. 12, D.L. 24 novembre 2000, n. 341, aveva, inoltre, così disposto: «Art. 6. [1. Il termine di efficacia delle disposizioni della presente legge è posto alla data del 31 dicembre 2002]». Il suddetto art. 6 era stato abrogato dall’art. 8, D.L. 18 ottobre 2001, n. 374 ma l’abrogazione non era più contenuta nella nuova formulazione del citato art. 8 disposta dalla legge di conversione 15 dicembre 2001, n. 438. Il citato articolo 6 è stato abrogato dall’art. 3, L. 23 dicembre 2002, n. 279. Successivamente, gli attuali commi da 2 a 2-sexies hanno sostituito gli originari commi 2 e 2-bis, ai sensi di quanto disposto dall’art. 2, L. 23 dicembre 2002, n. 279. Da ultimo, il presente comma è stato così sostituito dalla lettera d) del comma 25 dell’art. 2, L. 15 luglio 2009, n. 94. 
(74) Gli attuali commi da 2 a 2-sexies hanno sostituito gli originari commi 2 e 2-bis, ai sensi di quanto disposto dall’art. 2, L. 23 dicembre 2002, n. 279. Successivamente, il presente comma è stato abrogato dalla lettera e) del comma 25 dell’art. 2, L. 15 luglio 2009, n. 94
(75) Alinea così modificato dal n. 1) della lettera f) del comma 25 dell’art. 2, L. 15 luglio 2009, n. 94. 
(76) Lettera così modificata dal n. 2) della lettera f) del comma 25 dell’art. 2, L. 15 luglio 2009, n. 94
(77) Lettera così modificata dal n. 3) della lettera f) del comma 25 dell’art. 2, L. 15 luglio 2009, n. 94. 
(78)  Gli attuali commi da 2 a 2-sexies così sostituiscono gli originari commi 2 e 2-bis, ai sensi di quanto disposto dall’art. 2, L. 23 dicembre 2002, n. 279. 
(79)  Gli attuali commi da 2 a 2-sexies hanno sostituito gli originari commi 2 e 2-bis, ai sensi di quanto disposto dall’art. 2, L. 23 dicembre 2002, n. 279. Successivamente, il presente comma è stato così sostituito dalla lettera g) del comma 25 dell’art. 2, L. 15 luglio 2009, n. 94. 
(80) Gli attuali commi da 2 a 2-sexies così sostituiscono gli originari commi 2 e 2-bis, ai sensi di quanto disposto dall’art. 2, L. 23 dicembre 2002, n. 279. Successivamente, il presente comma è stato così sostituito dalla lettera h) del comma 25 dell’art. 2, L. 15 luglio 2009, n. 94. 
(81) Comma aggiunto dalla lettera i) del comma 25 dell’art. 2, L. 15 luglio 2009, n. 94. 
 

42. Trasferimenti (82).
I trasferimenti sono disposti per gravi e comprovati motivi di sicurezza, per esigenze dell’istituto, per motivi di giustizia, di salute, di studio e familiari. 
Nel disporre i trasferimenti deve essere favorito il criterio di destinare i soggetti in istituti prossimi alla residenza delle famiglie. 
I detenuti e gli internati debbono essere trasferiti con il bagaglio personale e con almeno parte del loro peculio. 
[Le traduzioni dei detenuti e degli internati adulti vengono eseguite, nel tempo più breve possibile, dall’Arma dei carabinieri e dal Corpo delle guardie di pubblica sicurezza, con le modalità stabilite dalle leggi e dai regolamenti e, se trattasi di donne, con l’assistenza di personale femminile] (83). 
… (84).

(82)  Rubrica così sostituita dall’art. 1, L. 12 dicembre 1992, n. 492 (Gazz. Uff. 24 dicembre 1992, n. 302).
(83)  Comma abrogato dall’art. 1, L. 12 dicembre 1992, n. 492 (Gazz. Uff. 24 dicembre 1992, n. 302). 
(84)  Comma abrogato dall’art. 1, L. 12 dicembre 1992, n. 492 (Gazz. Uff. 24 dicembre 1992, n. 302). 
 

42-bis. Traduzioni.
1. Sono traduzioni tutte le attività di accompagnamento coattivo, da un luogo ad un altro, di soggetti detenuti, internati, fermati, arrestati o comunque in condizione di restrizione della libertà personale. 
2. Le traduzioni dei detenuti e degli internati adulti sono eseguite, nel tempo più breve possibile, dal Corpo di polizia penitenziaria, con le modalità stabilite dalle leggi e dai regolamenti e, se trattasi di donne, con l’assistenza di personale femminile. 
3. Le traduzioni di soggetti che rientrano nella competenza dei servizi dei centri per la giustizia minorile possono essere richieste, nelle sedi in cui non sono disponibili contingenti del Corpo di polizia penitenziaria assegnati al settore minorile, ad altre forze di polizia. 
4. Nelle traduzioni sono adottate le opportune cautele per proteggere i soggetti tradotti dalla curiosità del pubblico e da ogni specie di pubblicità, nonché per evitare ad essi inutili disagi. L’inosservanza della presente disposizione costituisce comportamento valutabile ai fini disciplinari. 
5. Nelle traduzioni individuali l’uso delle manette ai polsi è obbligatorio quando lo richiedono la pericolosità del soggetto o il pericolo di fuga o circostanze di ambiente che rendono difficile la traduzione. In tutti gli altri casi l’uso delle manette ai polsi o di qualsiasi altro mezzo di coercizione fisica è vietato. Nel caso di traduzioni individuali di detenuti o internati la valutazione della pericolosità del soggetto o del pericolo di fuga è compiuta, all’atto di disporre la traduzione, dall’autorità giudiziaria o dalla direzione penitenziaria competente, le quali dettano le conseguenti prescrizioni. 
6. Nelle traduzioni collettive è sempre obbligatorio l’uso di manette modulari multiple dei tipi definiti con decreto ministeriale. È vietato l’uso di qualsiasi altro mezzo di coercizione fisica. 
7. Nelle traduzioni individuali e collettive è consentito, nei casi indicati dal regolamento, l’uso di abiti civili. Le traduzioni dei soggetti di cui al comma 3 sono eseguite, di regola, in abiti civili (85).

(85)  Articolo aggiunto dall’art. 2, L. 12 dicembre 1992, n. 492 (Gazz. Uff. 24 dicembre 1992, n. 302). 
 

43. Dimissione
La dimissione dei detenuti e degli internati è eseguita senza indugio dalla direzione dell’istituto in base ad ordine scritto della competente autorità giudiziaria o di pubblica sicurezza. 
Il direttore dell’istituto dà notizia della prevista dimissione, almeno tre mesi prima, al consiglio di aiuto sociale e al centro di servizio sociale del luogo in cui ha sede l’istituto ed a quelli del luogo dove il soggetto intende stabilire la sua residenza, comunicando tutti i dati necessari per gli opportuni interventi assistenziali. Nel caso in cui il momento della dimissione non possa essere previsto tre mesi prima, il direttore dà le prescritte notizie non appena viene a conoscenza della relativa decisione. 
Oltre a quanto stabilito da specifiche disposizioni di legge, il direttore informa anticipatamente il magistrato di sorveglianza, il questore e l’ufficio di polizia territorialmente competente di ogni dimissione anche temporanea dall’istituto (86). 
Il consiglio di disciplina dell’istituto, all’atto della dimissione o successivamente, rilascia al soggetto, che lo richieda, un attestato con l’eventuale qualificazione professionale conseguita e notizie obiettive circa la condotta tenuta. 
I soggetti che ne sono privi, vengono provvisti di un corredo di vestiario civile.

(86)  Comma così sostituito dall’art. 18, D.L. 8 giugno 1992, n. 306. 
 

44. Nascite, matrimoni, decessi.
Negli atti di stato civile relativi ai matrimoni celebrati e alle nascite e morti avvenute in istituti di prevenzione e di pena non si fa menzione dell’istituto. 
La direzione dell’istituto deve dare immediata notizia del decesso di un detenuto o di un internato all’autorità giudiziaria del luogo, a quella da cui il soggetto dipendeva e al Ministero di grazia e giustizia. 
La salma è messa immediatamente a disposizione dei congiunti.

 

Capo V 
Assistenza


45. Assistenza alle famiglie.
Il trattamento dei detenuti e degli internati è integrato da un’azione di assistenza alle loro famiglie. 
Tale azione è rivolta anche a conservare e migliorare le relazioni dei soggetti con i familiari e a rimuovere le difficoltà che possono ostacolarne il reinserimento sociale. 
È utilizzata, all’uopo, la collaborazione degli enti pubblici e privati qualificati nell’assistenza sociale.

 

46. Assistenza post-penitenziaria.
I detenuti e gli internati ricevono un particolare aiuto nel periodo di tempo che immediatamente precede la loro dimissione e per un congruo periodo a questa successivo. 
Il definitivo reinserimento nella vita libera è agevolato da interventi di servizio sociale svolti anche in collaborazione con gli enti indicati nell’articolo precedente. 
I dimessi affetti da gravi infermità fisiche o da infermità o anormalità psichiche sono segnalati, per la necessaria assistenza, anche agli organi preposti alla tutela della sanità pubblica.

 

Capo VI 
Misure alternative alla detenzione e remissione del debito 
(giurisprudenza di legittimità)
47. Affidamento in prova al servizio sociale.
1. Se la pena detentiva inflitta non supera tre anni, il condannato può essere affidato al servizio sociale fuori dell’istituto per un periodo uguale a quello della pena da scontare (87). 
2. Il provvedimento è adottato sulla base dei risultati della osservazione della personalità, condotta collegialmente per almeno un mese in istituto, nei casi in cui si può ritenere che il provvedimento stesso, anche attraverso le prescrizioni di cui al comma 5, contribuisca alla rieducazione del reo e assicuri la prevenzione del pericolo che egli commetta altri reati. 
3. L’affidamento in prova al servizio sociale può essere disposto senza procedere all’osservazione in istituto quando il condannato, dopo la commissione del reato, ha serbato comportamento tale da consentire il giudizio di cui al comma 2 (88) (89). 
4. Se l’istanza di affidamento in prova al servizio sociale è proposta dopo che ha avuto inizio l’esecuzione della pena, il magistrato di sorveglianza competente in relazione al luogo dell’esecuzione, cui l’istanza deve essere rivolta, può sospendere l’esecuzione della pena e ordinare la liberazione del condannato, quando sono offerte concrete indicazioni in ordine alla sussistenza dei presupposti per l’ammissione all’affidamento in prova e al grave pregiudizio derivante dalla protrazione dello stato di detenzione e non vi sia pericolo di fuga. La sospensione dell’esecuzione della pena opera sino alla decisione del tribunale di sorveglianza, cui il magistrato di sorveglianza trasmette immediatamente gli atti, e che decide entro quarantacinque giorni. Se l’istanza non è accolta, riprende l’esecuzione della pena, e non può essere accordata altra sospensione, quale che sia l’istanza successivamente proposta (90) (91). 
5. All’atto dell’affidamento è redatto verbale in cui sono dettate le prescrizioni che il soggetto dovrà seguire in ordine ai suoi rapporti con il servizio sociale, alla dimora, alla libertà di locomozione, al divieto di frequentare determinati locali ed al lavoro. 
6. Con lo stesso provvedimento può essere disposto che durante tutto o parte del periodo di affidamento in prova il condannato non soggiorni in uno o più comuni, o soggiorni in un comune determinato; in particolare sono stabilite prescrizioni che impediscano al soggetto di svolgere attività o di avere rapporti personali che possono portare al compimento di altri reati. 
7. Nel verbale deve anche stabilirsi che l’affidato si adoperi in quanto possibile in favore della vittima del suo reato ed adempia puntualmente agli obblighi di assistenza familiare. 
8. Nel corso dell’affidamento le prescrizioni possono essere modificate dal magistrato di sorveglianza. 
9. Il servizio sociale controlla la condotta del soggetto e lo aiuta a superare le difficoltà di adattamento alla vita sociale, anche mettendosi in relazione con la sua famiglia e con gli altri suoi ambienti di vita. 
10. Il servizio sociale riferisce periodicamente al magistrato di sorveglianza sul comportamento del soggetto (92). 
11. L’affidamento è revocato qualora il comportamento del soggetto, contrario alla legge o alle prescrizioni dettate, appaia incompatibile con la prosecuzione della prova. 
12. L’esito positivo del periodo di prova estingue la pena detentiva ed ogni altro effetto penale. Il tribunale di sorveglianza, qualora l’interessato si trovi in disagiate condizioni economiche, può dichiarare estinta anche la pena pecuniaria che non sia stata già riscossa (93) (94) (95). 
12-bis. All’affidato in prova al servizio sociale che abbia dato prova nel periodo di affidamento di un suo concreto recupero sociale, desumibile da comportamenti rivelatori del positivo evolversi della sua personalità, può essere concessa la detrazione di pena di cui all’articolo 54. Si applicano gli articoli 69, comma 8, e 69-bis nonché l’articolo 54, comma 3 (96) (97).

(87)  La Corte costituzionale, con sentenza 4-11 luglio 1989, n. 386 (Gazz. Uff. 19 luglio 1989, n. 28 – Serie speciale), ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 47, primo comma, così come sostituito dall’art. 11, L. 10 ottobre 1986, n. 663, nella parte in cui non prevede che nel computo delle pene, ai fini della determinazione del limite dei tre anni, non si debba tener conto anche della pena espiata. Per l’interpretazione autentica del comma 1 dell’art. 47, vedi l’art. 14-bis, D.L. 8 giugno 1992, n. 306. 
(88)  La Corte costituzionale, con riferimento alla disposizione precedente alla sostituzione disposta dall’art. 3, L. 27 maggio 1998, n. 165, con sentenza 13-22 dicembre 1989, n. 569 (Gazz. Uff. 27 dicembre 1989, n. 52 – Serie speciale), ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 47, terzo comma, nella parte in cui non prevede che, anche indipendentemente dalla detenzione per espiazione di pena o per custodia cautelare, il condannato possa essere ammesso all’affidamento in prova al servizio sociale se, in presenza delle altre condizioni, abbia serbato un comportamento tale da consentire il giudizio di cui al precedente comma 2 dello stesso articolo. 
(89)  Comma così sostituito dall’art. 2, L. 27 maggio 1998, n. 165. 
(90)  Comma così sostituito dall’art. 2, L. 27 maggio 1998, n. 165. 
(91)  La Corte costituzionale, con ordinanza 14-28 luglio 1999, n. 375 (Gazz. Uff. 4 agosto 1999, n. 31, serie speciale), ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 47, comma 4, come sostituito, da ultimo, dall’art. 2 della legge 27 maggio 1998, n. 165, sollevata in riferimento agli articoli 3, 25, secondo comma, 27, terzo comma, 101 e 112 della Costituzione, e dell’art. 47-ter, comma 1-quater, aggiunto dall’art. 4 della predetta legge n. 165 del 1998, sollevata in riferimento all’art. 3 della Costituzione. La stessa Corte con successiva ordinanza 17-29 dicembre 2008, n. 446 (Gazz. Uff. 7 gennaio 2009, n. 1, 1ª Serie speciale), ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 47, comma 4, come sostituito dall’art. 2 della legge 27 maggio 1998, n. 165 sollevata in riferimento all’art. 3 della Costituzione.
(92)  La Corte costituzionale, con sentenza 15 ottobre 1987, n. 343 (Gazz. Uff. 4 novembre 1987, n. 46 – Serie speciale), ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del decimo comma dell’art. 47 nella parte in cui – in caso di revoca del provvedimento di ammissione all’affidamento in prova per comportamento incompatibile con la prosecuzione della prova – non consente al Tribunale di sorveglianza di determinare la residua pena detentiva da espiare, tenuto conto della durata delle limitazioni patite dal condannato e del suo comportamento durante il trascorso periodo di affidamento in prova. 
(93)  Comma così modificato dall’art. 4-vicies semel, D.L. 30 dicembre 2005, n. 272, nel testo integrato dalla relativa legge di conversione. 
(94)  Articolo prima modificato dall’art. 4, L. 12 gennaio 1977, n. 1 (Gazz. Uff. 18 gennaio 1977, n. 15), dall’art. 7, L. 13 settembre 1982, n. 646 e dall’art. 4-bis, D.L. 22 aprile 1985, n. 144, e poi così sostituito dall’art. 11, L. 10 ottobre 1986, n. 663. In relazione al testo precedentemente in vigore, la Corte costituzionale aveva emesso due sentenze: con la prima (sent. 12-13 giugno 1985, n. 185) aveva dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo in questione nella parte in cui non consentiva che valesse come espiazione di pena il periodo di affidamento in prova al servizio sociale, in caso di annullamento dei provvedimenti di ammissione; con la seconda (sent. 3 dicembre 1985, n. 312) aveva dichiarato l’illegittimità costituzionale del medesimo articolo nella parte in cui non prevedeva che valesse come espiazione di pena il periodo di affidamento al servizio sociale, nel caso di revoca del provvedimento di ammissione per motivi dipendenti dall’esito negativo della prova. 
(95)  La Corte costituzionale, con ordinanza 17-24 giugno 1997, n. 199 (Gazz. Uff. 2 luglio 1997, n. 27, Serie speciale), ha dichiarato la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 47, comma dodicesimo, sollevata in riferimento agli artt. 3 e 27 della Costituzione. 
(96)  Comma aggiunto dall’art. 3, L. 19 dicembre 2002, n. 277. Vedi, anche, l’art. 4 della stessa legge. 
(97) La Corte costituzionale, con sentenza 5-16 marzo 2007, n. 78 (Gazz. Uff. 21 marzo 2007, n. 12 – Prima serie speciale), ha dichiarato l’illegittimità degli artt. 47, 48 e 50, ove interpretati nel senso che allo straniero extracomunitario, entrato illegalmente nel territorio dello Stato o privo del permesso di soggiorno, sia in ogni caso precluso l’accesso alle misure alternative da essi previste.
 
47-bis. Affidamento di prova in casi particolari.
[1. Se la pena detentiva, inflitta entro il limite di cui al comma 1 dell’articolo 47, deve essere eseguita nei confronti di persona tossicodipendente o alcooldipendente che abbia in corso un programma di recupero o che ad esso intenda sottoporsi, l’interessato può chiedere in ogni momento di essere affidato in prova al servizio sociale per proseguire o intraprendere l’attività terapeutica sulla base di un programma da lui concordato con una unità sanitaria locale o con uno degli enti, associazioni, cooperative o privati di cui all’art. 1-bis del D.L. 22 aprile 1985, n. 144, convertito, con modificazioni, dalla L. 21 giugno 1985, n. 297. Alla domanda deve essere allegata certificazione rilasciata da una struttura sanitaria pubblica attestante lo stato di tossicodipendenza o di alcooldipendenza e la idoneità, ai fini del recupero del condannato, del programma concordato. 
2. Si applica la procedura di cui al comma 4 dell’articolo 47 anche se la domanda è presentata dopo che l’ordine di carcerazione è stato eseguito. In tal caso il pubblico ministero o il pretore ordina la scarcerazione del condannato. 
3. Il tribunale di sorveglianza, nominato un difensore al condannato che ne sia privo, fissa senza indugio la data della trattazione, dandone avviso al richiedente, al difensore e al pubblico ministero almeno cinque giorni prima. Se non è possibile effettuare la notifica dell’avviso al condannato nel domicilio indicato nella richiesta e lo stesso non compare all’udienza, il tribunale di sorveglianza dichiara inammissibile la richiesta. 
4. Ai fini della decisione, il tribunale di sorveglianza può anche acquisire copia degli atti del procedimento e disporre gli opportuni accertamenti in ordine al programma terapeutico concordato; deve altresì accertare che lo stato di tossicodipendenza o alcooldipendenza o l’esecuzione del programma di recupero non siano preordinati al conseguimento del beneficio. 
5. Dell’ordinanza che conclude il procedimento è data immediata comunicazione al pubblico ministero o al pretore competente per l’esecuzione, il quale, se l’affidamento non è disposto, emette ordine di carcerazione. 
6. Se il tribunale di sorveglianza dispone l’affidamento, tra le prescrizioni impartite devono essere comprese quelle che determinano le modalità di esecuzione del programma. Sono altresì stabilite le prescrizioni e le forme di controllo per accertare che il tossicodipendente o l’alcooldipendente prosegue il programma di recupero. L’esecuzione della pena si considera iniziata dalla data del verbale di affidamento. 
7. L’affidamento in prova al servizio sociale non può essere disposto, ai sensi del presente articolo, più di due volte. 
8. Si applica, per quanto non diversamente stabilito, la disciplina prevista dalla presente legge per la misura alternativa dell’affidamento in prova al servizio sociale] (98) (99).

(98)  Articolo prima aggiunto dall’art. 4-ter, D.L. 22 aprile 1985, n. 144, poi sostituito dall’art. 12, L. 10 ottobre 1986, n. 663, ed infine abrogato dall’art. 3, L. 27 maggio 1998, n. 165. 
(99)  La Corte costituzionale con ordinanza 13-24 luglio 1995, n. 367 (Gazz. Uff. 16 agosto 1995, n. 34, Serie speciale) ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 47-bis, sollevata in riferimento all’art. 27 della Costituzione. 
 


47-ter. Detenzione domiciliare.
01. La pena della reclusione per qualunque reato, ad eccezione di quelli previsti dal libro II, titolo XII, capo III, sezione I, e dagli articoli 609-bis, 609-quater e 609-octies del codice penale, dall’ articolo 51, comma 3-bis, del codice di procedura penale e dall’articolo 4-bis della presente legge, può essere espiata nella propria abitazione o in altro luogo pubblico di cura, assistenza ed accoglienza, quando trattasi di persona che, al momento dell’inizio dell’esecuzione della pena, o dopo l’inizio della stessa, abbia compiuto i settanta anni di età purché non sia stato dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza né sia stato mai condannato con l’aggravante di cui all’ articolo 99 del codice penale (100). 
1. La pena della reclusione non superiore a quattro anni, anche se costituente parte residua di maggior pena, nonché la pena dell’arresto, possono essere espiate nella propria abitazione o in altro luogo di privata dimora ovvero in luogo pubblico di cura, assistenza o accoglienza, quando trattasi di: 
   a) donna incinta o madre di prole di età inferiore ad anni dieci con lei convivente (101); 
   b) padre, esercente la potestà, di prole di età inferiore ad anni dieci con lui convivente, quando la madre sia deceduta o altrimenti assolutamente impossibilitata a dare assistenza alla prole; 
   c) persona in condizioni di salute particolarmente gravi, che richiedano costanti contatti con i presìdi sanitari territoriali; 
   d) persona di età superiore a sessanta anni, se inabile anche parzialmente; 
   e) persona minore di anni ventuno per comprovate esigenze di salute, di studio, di lavoro e di famiglia (102). 
1.1. Al condannato, al quale sia stata applicata la recidiva prevista dall’ articolo 99, quarto comma, del codice penale, può essere concessa la detenzione domiciliare se la pena detentiva inflitta, anche se costituente parte residua di maggior pena, non supera tre anni (103). 
1-bis. La detenzione domiciliare può essere applicata per l’espiazione della pena detentiva inflitta in misura non superiore a due anni, anche se costituente parte residua di maggior pena, indipendentemente dalle condizioni di cui al comma 1 quando non ricorrono i presupposti per l’affidamento in prova al servizio sociale e sempre che tale misura sia idonea ad evitare il pericolo che il condannato commetta altri reati. La presente disposizione non si applica ai condannati per i reati di cui all’articolo 4-bis e a quelli cui sia stata applicata la recidiva prevista dall’ articolo 99, quarto comma, del codice penale (104). 
1-ter. Quando potrebbe essere disposto il rinvio obbligatorio o facoltativo della esecuzione della pena ai sensi degli articoli 146 e 147 del codice penale, il tribunale di sorveglianza, anche se la pena supera il limite di cui al comma 1, può disporre la applicazione della detenzione domiciliare, stabilendo un termine di durata di tale applicazione, termine che può essere prorogato. L’esecuzione della pena prosegue durante la esecuzione della detenzione domiciliare (105). 
1-quater. Se l’istanza di applicazione della detenzione domiciliare è proposta dopo che ha avuto inizio l’esecuzione della pena, il magistrato di sorveglianza cui la domanda deve essere rivolta può disporre l’applicazione provvisoria della misura, quando ricorrono i requisiti di cui ai commi 1 e 1-bis. Si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni di cui all’articolo 47, comma 4 (106) (107). 
2. [La detenzione domiciliare non può essere concessa quando è accertata l’attualità di collegamenti del condannato con la criminalità organizzata o di una scelta di criminalità] (108). 
3. [Se la condanna di cui al comma 1 deve essere eseguita nei confronti di persona che trovasi in stato di libertà o ha trascorso la custodia cautelare, o la parte terminale di essa, in regime di arresti domiciliari, si applica la procedura di cui al comma 4 dell’articolo 47] (109). 
4. Il tribunale di sorveglianza, nel disporre la detenzione domiciliare, ne fissa le modalità secondo quanto stabilito dall’articolo 284 del codice di procedura penale. Determina e impartisce altresì le disposizioni per gli interventi del servizio sociale. Tali prescrizioni e disposizioni possono essere modificate dal magistrato di sorveglianza competente per il luogo in cui si svolge la detenzione domiciliare (110). 
4-bis. Nel disporre la detenzione domiciliare il tribunale di sorveglianza, quando ne abbia accertato la disponibilità da parte delle autorità preposte al controllo, può prevedere modalità di verifica per l’osservanza delle prescrizioni imposte anche mediante mezzi elettronici o altri strumenti tecnici. Si applicano le disposizioni di cui all’articolo 275-bis del codice di procedura penale (111). 
5. Il condannato nei confronti del quale è disposta la detenzione domiciliare non è sottoposto al regime penitenziario previsto dalla presente legge e dal relativo regolamento di esecuzione. Nessun onere grava sull’amministrazione penitenziaria per il mantenimento, la cura e l’assistenza medica del condannato che trovasi in detenzione domiciliare. 
6. La detenzione domiciliare è revocata se il comportamento del soggetto, contrario alla legge o alle prescrizioni dettate, appare incompatibile con la prosecuzione delle misure. 
7. Deve essere inoltre revocata quando vengono a cessare le condizioni previste nei commi 1 e 1-bis (112) (113). 
8. Il condannato che, essendo in stato di detenzione nella propria abitazione o in un altro dei luoghi indicati nel comma 1, se ne allontana, è punito ai sensi dell’articolo 385 del codice penale. Si applica la disposizione dell’ultimo comma dello stesso articolo (114). 
9. La denuncia per il delitto di cui al comma 8 importa la sospensione del beneficio e la condanna ne importa la revoca (115). 
9-bis. Se la misura di cui al comma 1-bis è revocata ai sensi dei commi precedenti la pena residua non può essere sostituita con altra misura (116).

(100)  Comma così premesso dall’art. 7, L. 5 dicembre 2005, n. 251 (Gazz. Uff. 7 dicembre 2005, n. 285), entrata in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione. 
(101) La Corte costituzionale, con sentenza 10-12 giugno 2009, n. 177 (Gazz. Uff. 17 giugno 2009, n. 24 – Prima Serie speciale), ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 47-ter, commi 1, lettera a), seconda parte, e 8, nella parte in cui non limita la punibilità ai sensi dell’art. 385 del codice penale al solo allontanamento che si protragga per più di dodici ore, come stabilito dal comma 2, dell’art. 47-sexies, sul presupposto, di cui all’art. 47-quinquies, comma 1, che non sussista un concreto pericolo di commissione di ulteriori delitti.
(102)  L’art. 4, L. 27 maggio 1998, n. 165, ha sostituito il comma 1 con gli attuali commi 1, 1-bis,1-ter e 1-quater. Successivamente l’art.7, L. 5 dicembre 2005, n. 251 (Gazz. Uff. 7 dicembre 2005, n. 285), entrata in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione, ha così sostituito il comma 1 con gli attuali commi 1 e 1.1. In precedenza la Corte costituzionale, con sentenza 24 novembre-5 dicembre 2003, n. 350 (Gazz. Uff. 10 dicembre 2003, n. 49 – Prima serie speciale), aveva dichiarato l’illegittimità della lettera a) del presente comma, nella parte in cui non prevedeva la concessione della detenzione domiciliare anche nei confronti della madre condannata, e, nei casi previsti dalla lettera b) del presente comma, del padre condannato, conviventi con un figlio portatore di handicap totalmente invalidante. La stessa Corte, con riferimento al testo vigente prima della sostituzione disposta dall’art. 4, L. 27 maggio 1998, n. 165, con sentenza 4-13 aprile 1990, n. 215 (Gazz. Uff. 18 aprile 1990, n. 16 – Serie speciale), aveva dichiarato l’illegittimità dell’art. 47-ter, primo comma, n. 1, nella parte in cui non prevedeva che la detenzione domiciliare, concedibile alla madre di prole di età inferiore a tre anni con lei convivente, potesse essere concessa, nelle stesse condizioni, anche al padre detenuto, qualora la madre fosse deceduta o altrimenti assolutamente impossibilitata a dare assistenza alla prole. 
(103)  Gli attuali commi 1 e 1.1 così sostituiscono il comma 1 ai sensi di quanto disposto dall’art. 7, L. 5 dicembre 2005, n. 251 (Gazz. Uff. 7 dicembre 2005, n. 285), entrata in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione. 
(104)  L’art. 4, L. 27 maggio 1998, n. 165, ha sostituito il comma 1 con gli attuali commi 1, 1-bis,1-ter e 1-quater. Successivamente l’art. 7, L. 5 dicembre 2005, n. 251 (Gazz. Uff. 7 dicembre 2005, n. 285), entrata in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione, ha così sostituito il presente comma 1-bis. 
(105)  L’art. 4, L. 27 maggio 1998, n. 165, ha così sostituito il comma 1 con gli attuali commi 1, 1-bis, 1-ter e 1-quater. 
(106)  L’art. 4, L. 27 maggio 1998, n. 165, ha così sostituito il comma 1 con gli attuali commi 1, 1-bis, 1-ter e 1-quater. 
(107) La Corte costituzionale, con ordinanza 20 giugno-1° luglio 2005, n. 255 (Gazz. Uff. 6 luglio 2005, n. 27, 1ª Serie speciale), ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 47-ter, comma 1-quater, introdotto dall’art. 4 della legge 27 maggio 1998, n. 165, sollevata in riferimento agli artt. 3, 27 e 32 della Costituzione.
(108)  Comma abrogato dall’art. 1, D.L. 13 maggio 1991, n. 152. 
(109)  Comma abrogato dall’art. 4, L. 27 maggio 1998, n. 165. 
(110)  Comma così modificato dall’art. 4, L. 27 maggio 1998, n. 165. 
(111)  Comma aggiunto dall’art. 17, D.L. 24 novembre 2000, n. 341. Vedi, anche gli artt. 18 e 19 dello stesso decreto. 
(112)  Comma così modificato dall’art. 4, L. 27 maggio 1998, n. 165. 
(113)  La Corte costituzionale con sentenza 16-24 maggio 1996, n. 165 (Gazz. Uff. 29 maggio 1996, n. 22, Serie speciale), aveva dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale della precedente formulazione dell’art. 47-ter, primo comma, numero 3, e settimo comma, sollevata in riferimento agli artt. 3 e 27 della Costituzione. 
(114) La Corte costituzionale, con sentenza 10-12 giugno 2009, n. 177 (Gazz. Uff. 17 giugno 2009, n. 24 – Prima Serie speciale), ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 47-ter, commi 1, lettera a), seconda parte, e 8, nella parte in cui non limita la punibilità ai sensi dell’art. 385 del codice penale al solo allontanamento che si protragga per più di dodici ore, come stabilito dal comma 2, dell’art. 47-sexies, sul presupposto, di cui all’art. 47-quinquies, comma 1, che non sussista un concreto pericolo di commissione di ulteriori delitti.
(115)  Articolo aggiunto dall’art. 13, L. 10 ottobre 1986, n. 663. Pertanto, la Corte costituzionale, con sentenza 6-19 novembre 1991, n. 414 (Gazz. Uff. 27 novembre 1991, n. 47 – Serie speciale), ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 47-ter, nel testo introdotto dall’art. 13 della L. 10 ottobre 1986, n. 663, nella parte in cui non prevede che la reclusione militare sia espiata in detenzione domiciliare quando trattasi di «persona in condizioni di salute particolarmente gravi che richiedono costanti contatti con i presìdi sanitari territoriali». Con sentenza 5-13 giugno 1997, n. 173 (Gazz. Uff. 18 giugno 1997, n. 25 – Serie speciale), la stessa Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 47-ter, ultimo comma, nella parte in cui fa derivare automaticamente la sospensione della detenzione domiciliare dalla presentazione di una denuncia per il reato previsto del comma 8 dello stesso articolo.
(116)  Comma aggiunto dall’art. 4, L. 27 maggio 1998, n. 165. 
 

47-quater.  Misure alternative alla detenzione nei confronti dei soggetti affetti da AIDS conclamata o da grave deficienza immunitaria.
1. Le misure previste dagli articoli 47 e 47-ter possono essere applicate, anche oltre i limiti di pena ivi previsti, su istanza dell’interessato o del suo difensore, nei confronti di coloro che sono affetti da AIDS conclamata o da grave deficienza immunitaria accertate ai sensi dell’articolo 286-bis, comma 2, del codice di procedura penale e che hanno in corso o intendono intraprendere un programma di cura e assistenza presso le unità operative di malattie infettive ospedaliere ed universitarie o altre unità operative prevalentemente impegnate secondo i piani regionali nell’assistenza ai casi di AIDS. 
2. L’istanza di cui al comma 1 deve essere corredata da certificazione del servizio sanitario pubblico competente o del servizio sanitario penitenziario, che attesti la sussistenza delle condizioni di salute ivi indicate e la concreta attuabilità del programma di cura e assistenza, in corso o da effettuare, presso le unità operative di malattie infettive ospedaliere ed universitarie o altre unità operative prevalentemente impegnate secondo i piani regionali nell’assistenza ai casi di AIDS. 
3. Le prescrizioni da impartire per l’esecuzione della misura alternativa devono contenere anche quelle relative alle modalità di esecuzione del programma. 
4. In caso di applicazione della misura della detenzione domiciliare, i centri di servizio sociale per adulti svolgono l’attività di sostegno e controllo circa l’attuazione del programma. 
5. Nei casi previsti dal comma 1, il giudice può non applicare la misura alternativa qualora l’interessato abbia già fruito di analoga misura e questa sia stata revocata da meno di un anno. 
6. Il giudice può revocare la misura alternativa disposta ai sensi del comma 1 qualora il soggetto risulti imputato o sia stato sottoposto a misura cautelare per uno dei delitti previsti dall’articolo 380 del codice di procedura penale, relativamente a fatti commessi successivamente alla concessione del beneficio. 
7. Il giudice, quando non applica o quando revoca la misura alternativa per uno dei motivi di cui ai commi 5 e 6, ordina che il soggetto sia detenuto presso un istituto carcerario dotato di reparto attrezzato per la cura e l’assistenza necessarie. 
8. Per quanto non diversamente stabilito dal presente articolo si applicano le disposizioni dell’articolo 47-ter. 
9. Ai fini del presente articolo non si applica il divieto di concessione dei benefìci previsto dall’articolo 4-bis, fermi restando gli accertamenti previsti dai commi 2, 2-bis e 3 dello stesso articolo. 
10. Le disposizioni del presente articolo si applicano anche alle persone internate (117).

(117)  Articolo aggiunto dall’art. 5, L. 12 luglio 1999, n. 231
 

47-quinquies. Detenzione domiciliare speciale.
1. Quando non ricorrono le condizioni di cui all’articolo 47-ter, le condannate madri di prole di età non superiore ad anni dieci, se non sussiste un concreto pericolo di commissione di ulteriori delitti e se vi è la possibilità di ripristinare la convivenza con i figli, possono essere ammesse ad espiare la pena nella propria abitazione, o in altro luogo di privata dimora, ovvero in luogo di cura, assistenza o accoglienza, al fine di provvedere alla cura e alla assistenza dei figli, dopo l’espiazione di almeno un terzo della pena ovvero dopo l’espiazione di almeno quindici anni nel caso di condanna all’ergastolo. 
2. Per la condannata nei cui confronti è disposta la detenzione domiciliare speciale, nessun onere grava sull’amministrazione penitenziaria per il mantenimento, la cura e l’assistenza medica della condannata che si trovi in detenzione domiciliare speciale. 
3. Il tribunale di sorveglianza, nel disporre la detenzione domiciliare speciale, fissa le modalità di attuazione, secondo quanto stabilito dall’articolo 284, comma 2, del codice di procedura penale, precisa il periodo di tempo che la persona può trascorrere all’esterno del proprio domicilio, detta le prescrizioni relative agli interventi del servizio sociale. Tali prescrizioni e disposizioni possono essere modificate dal magistrato di sorveglianza competente per il luogo in cui si svolge la misura. Si applica l’articolo 284, comma 4, del codice di procedura penale. 
4. All’atto della scarcerazione è redatto verbale in cui sono dettate le prescrizioni che il soggetto deve seguire nei rapporti con il servizio sociale. 
5. Il servizio sociale controlla la condotta del soggetto e lo aiuta a superare le difficoltà di adattamento alla vita sociale, anche mettendosi in relazione con la sua famiglia e con gli altri suoi ambienti di vita; riferisce periodicamente al magistrato di sorveglianza sul comportamento del soggetto. 
6. La detenzione domiciliare speciale è revocata se il comportamento del soggetto, contrario alla legge o alle prescrizioni dettate, appare incompatibile con la prosecuzione della misura. 
7. La detenzione domiciliare speciale può essere concessa, alle stesse condizioni previste per la madre, anche al padre detenuto, se la madre è deceduta o impossibilitata e non vi è modo di affidare la prole ad altri che al padre (118). 
8. Al compimento del decimo anno di età del figlio, su domanda del soggetto già ammesso alla detenzione domiciliare speciale, il tribunale di sorveglianza può: 
   a) disporre la proroga del beneficio, se ricorrono i requisiti per l’applicazione della semilibertà di cui all’articolo 50, commi 2, 3 e 5; 
   b) disporre l’ammissione all’assistenza all’esterno dei figli minori di cui all’articolo 21-bis, tenuto conto del comportamento dell’interessato nel corso della misura, desunto dalle relazioni redatte dal servizio sociale, ai sensi del comma 5, nonché della durata della misura e dell’entità della pena residua (119).

(118) La Corte costituzionale, con sentenza 08 – 09 luglio 2009, n. 211 (Gazz. Uff. 15 luglio 2009, n. 28, 1ª Serie speciale), ha dichiarato la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 47-quinquies, comma 7, sollevata, in riferimento agli artt. 2, 3, 30, primo comma, e 31, secondo comma, della Costituzione.
(119)  Articolo aggiunto dall’art. 3, L. 8 marzo 2001, n. 40. 
 

47-sexies. Allontanamento dal domicilio senza giustificato motivo.
1. La condannata ammessa al regime della detenzione domiciliare speciale che rimane assente dal proprio domicilio, senza giustificato motivo, per non più di dodici ore, può essere proposta per la revoca della misura. 
2. Se l’assenza si protrae per un tempo maggiore la condannata è punita ai sensi dell’articolo 385, primo comma, del codice penale ed è applicabile la disposizione dell’ultimo comma dello stesso articolo. 
3. La condanna per il delitto di evasione comporta la revoca del beneficio. 
4. Le disposizioni di cui al presente articolo si applicano al padre detenuto, qualora la detenzione domiciliare sia stata concessa a questi, ai sensi dell’articolo 47-quinquies, comma 7 (120).

(120)  Articolo aggiunto dall’art. 4, L. 8 marzo 2001, n. 40. 
 
48. Regime di semilibertà.
Il regime di semilibertà consiste nella concessione al condannato e all’internato di trascorrere parte del giorno fuori dell’istituto per partecipare ad attività lavorative, istruttive o comunque utili al reinserimento sociale. 
I condannati e gli internati ammessi al regime di semilibertà sono assegnati in appositi istituti o apposite sezioni autonome di istituti ordinari e indossano abiti civili. 
[La concessione della semilibertà non è ammessa nei casi di cui al secondo comma dell’articolo 47] (121) (122).

(121)  Comma abrogato dall’art. 29, L. 10 ottobre 1986, n. 663. 
(122) La Corte costituzionale, con sentenza 5-16 marzo 2007, n. 78 (Gazz. Uff. 21 marzo 2007, n. 12 – Prima serie speciale), ha dichiarato l’illegittimità degli artt. 47, 48 e 50, ove interpretati nel senso che allo straniero extracomunitario, entrato illegalmente nel territorio dello Stato o privo del permesso di soggiorno, sia in ogni caso precluso l’accesso alle misure alternative da essi previste.
 

49. Ammissione obbligatoria al regime di semilibertà.
… (123).

(123)  Articolo abrogato dall’art. 110, L. 24 novembre 1981, n. 689. 
 

50. Ammissione alla semilibertà.
1. Possono essere espiate in regime di semilibertà la pena dell’arresto e la pena della reclusione non superiore a sei mesi, se il condannato non è affidato in prova al servizio sociale. 
2. Fuori dei casi previsti dal comma 1, il condannato può essere ammesso al regime di semilibertà soltanto dopo l’espiazione di almeno metà della pena ovvero, se si tratta di condannato per taluno dei delitti indicati nei commi 1, 1-ter e 1-quater dell’articolo 4-bis, di almeno due terzi di essa. L’internato può esservi ammesso in ogni tempo. Tuttavia, nei casi previsti dall’articolo 47, se mancano i presupposti per l’affidamento in prova al servizio sociale, il condannato per un reato diverso da quelli indicati nel comma 1 dell’articolo 4-bis può essere ammesso al regime di semilibertà anche prima dell’espiazione di metà della pena (124) (125). 
3. Per il computo della durata delle pene non si tiene conto della pena pecuniaria inflitta congiuntamente a quella detentiva. 
4. L’ammissione al regime di semilibertà è disposta in relazione ai progressi compiuti nel corso del trattamento, quando vi sono le condizioni per un graduale reinserimento del soggetto nella società. 
5. Il condannato all’ergastolo può essere ammesso al regime di semilibertà dopo avere espiato almeno venti anni di pena (126). 
6. Nei casi previsti dal comma 1, se il condannato ha dimostrato la propria volontà di reinserimento nella vita sociale, la semi-libertà può essere altresì disposta successivamente all’inizio dell’esecuzione della pena. Si applica l’articolo 47, comma 4, in quanto compatibile (127). 
7. Se l’ammissione alla semilibertà riguarda una detenuta madre di un figlio di età inferiore a tre anni, essa ha diritto di usufruire della casa per la semilibertà di cui all’ultimo comma dell’articolo 92 del decreto del Presidente della Repubblica 29 aprile 1976, n. 431 (128).

(124)  Comma prima sostituito dall’art. 1, D.L. 13 maggio 1991, n. 152 e poi così modificato dall’art. 5, L. 27 maggio 1998, n. 165 e dalla lettera b) del comma 27 dell’art. 2, L. 15 luglio 2009, n. 94. 
(125)  La Corte costituzionale, con sentenza 7-18 aprile 1997, n. 100 (Gazz. Uff. 23 aprile 1997, n. 17, Serie speciale), ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 50, comma 2, terzo periodo, sollevata in riferimento agli artt. 3 e 27 della Costituzione. La stessa Corte, con altra sentenza 8-10 marzo 2008, n. 338 (Gazz. Uff. 15 ottobre 2008, n. 43, 1ª Serie speciale), ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 50, comma 2, sollevata in riferimento all’art. 3, primo comma, della Costituzione.
(126)  La Corte costituzionale con ordinanza 12-20 luglio 1995, n. 337 (Gazz. Uff. 9 agosto 1995, n. 33, Serie speciale) ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 50, quinto comma, sollevata in riferimento agli artt. 3, primo e secondo comma, e 27, terzo comma, della Costituzione. 
(127)  Comma così sostituito dall’art. 5, L. 27 maggio 1998, n. 165. 
(128)  Articolo così sostituito dall’art. 14, L. 10 ottobre 1986, n. 663. Successivamente, la Corte costituzionale, con sentenza 5-16 marzo 2007, n. 78 (Gazz. Uff. 21 marzo 2007, n. 12 – Prima serie speciale), ha dichiarato l’illegittimità degli artt. 47, 48 e 50, ove interpretati nel senso che allo straniero extracomunitario, entrato illegalmente nel territorio dello Stato o privo del permesso di soggiorno, sia in ogni caso precluso l’accesso alle misure alternative da essi previste.

50-bis. Concessione della semilibertà ai recidivi.
1. La semilibertà può essere concessa ai detenuti, ai quali sia stata applicata la recidiva prevista dall’ articolo 99, quarto comma, del codice penale, soltanto dopo l’espiazione dei due terzi della pena ovvero, se si tratta di un condannato per taluno dei delitti indicati nei commi 1, 1-ter e 1-quater dell’articolo 4-bis della presente legge, di almeno tre quarti di essa (129)

(129)  Articolo aggiunto dall’art. 7, L. 5 dicembre 2005, n. 251 (Gazz. Uff. 7 dicembre 2005, n. 285), entrata in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione, e poi così modificato dalla lettera b) del comma 27 dell’art. 2, L. 15 luglio 2009, n. 94. 
 

51. Sospensione e revoca del regime di semilibertà.
Il provvedimento di semilibertà può essere in ogni tempo revocato quando il soggetto non si appalesi idoneo al trattamento. 
Il condannato, ammesso al regime di semilibertà, che rimane assente dall’istituto senza giustificato motivo, per non più di dodici ore, è punito in via disciplinare e può essere proposto per la revoca della concessione. 
Se l’assenza si protrae per un tempo maggiore, il condannato è punibile a norma del primo comma dell’articolo 385 del codice penale ed è applicabile la disposizione dell’ultimo capoverso dello stesso articolo. 
La denuncia per il delitto di cui al precedente comma importa la sospensione del beneficio e la condanna ne importa la revoca. 
All’internato ammesso al regime di semilibertà che rimane assente dall’istituto senza giustificato motivo, per oltre tre ore, si applicano le disposizioni dell’ultimo comma dell’articolo 53.
51-bis. Sopravvenienza di nuovi titoli di privazione della libertà.
1. Quando durante l’attuazione dell’affidamento in prova al servizio sociale o della detenzione domiciliare o della detenzione domiciliare speciale o del regime di semilibertà sopravviene un titolo di esecuzione di altra pena detentiva, il direttore dell’istituto penitenziario o il direttore del centro di servizio sociale informa immediatamente il magistrato di sorveglianza. Se questi, tenuto conto del cumulo delle pene, rileva che permangono le condizioni di cui al comma 1 dell’articolo 47 o ai commi 1 e 1-bis dell’articolo 47-ter o ai commi 1 e 2 dell’articolo 47-quinquies o ai primi tre commi dell’articolo 50, dispone con decreto la prosecuzione provvisoria della misura in corso; in caso contrario dispone la sospensione della misura stessa. Il magistrato di sorveglianza trasmette quindi gli atti al tribunale di sorveglianza che deve decidere nel termine di venti giorni la prosecuzione o la cessazione della misura (130) (131).

(130)  Articolo aggiunto dall’art. 15, L. 10 ottobre 1986, n. 663, e poi così modificato dall’art. 8, L. 8 marzo 2001, n. 40. 
(131)  La Corte costituzionale, con ordinanza 3-7 aprile 2000, n. 96 (Gazz. Uff. 12 aprile 2000, n. 16, serie speciale), ha dichiarato la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 51-bis, sollevata in riferimento agli artt. 3, 27, terzo comma, 32 e 101, secondo comma, della Costituzione. La stessa Corte con successiva ordinanza 9 – 24 aprile 2003, n. 139 (Gazz. Uff. 30 aprile 2003, n. 17, 1ª Serie speciale), ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 51-bis sollevata in riferimento all’art. 27, terzo comma, della Costituzione. 
 

51-ter. Sospensione cautelativa delle misure alternative.
1. Se l’affidato in prova al servizio sociale o l’ammesso al regime di semilibertà o di detenzione domiciliare o di detenzione domiciliare speciale pone in essere comportamenti tali da determinare la revoca della misura, il magistrato di sorveglianza nella cui giurisdizione essa è in corso ne dispone con decreto motivato la provvisoria sospensione, ordinando l’accompagnamento del trasgressore in istituto. Trasmette quindi immediatamente gli atti al tribunale di sorveglianza per le decisioni di competenza. Il provvedimento di sospensione del magistrato di sorveglianza cessa di avere efficacia se la decisione del tribunale di sorveglianza non interviene entro trenta giorni dalla ricezione degli atti (132).

(132)  Articolo aggiunto dall’art. 16, L. 10 ottobre 1986, n. 663, e poi così modificato dall’art. 8, L. 8 marzo 2001, n. 40. 
 
52. Licenza al condannato ammesso al regime di semilibertà.
Al condannato ammesso al regime di semilibertà possono essere concesse a titolo di premio una o più licenze di durata non superiore nel complesso a giorni quarantacinque all’anno. 
Durante la licenza il condannato è sottoposto al regime della libertà vigilata. 
Se il condannato durante la licenza trasgredisce agli obblighi impostigli, la licenza può essere revocata indipendentemente dalla revoca di semilibertà. 
Al condannato che, allo scadere della licenza o dopo la revoca di essa, non rientra in istituto sono applicabili le disposizioni di cui al precedente articolo.

53. Licenze agli internati.
Agli internati può essere concessa una licenza di sei mesi nel periodo immediatamente precedente alla scadenza fissata per il riesame di pericolosità. 
Ai medesimi può essere concessa, per gravi esigenze personali o familiari, una licenza di durata non superiore a giorni quindici; può essere inoltre concessa una licenza di durata non superiore a giorni trenta, una volta all’anno, al fine di favorirne il riadattamento sociale. 
Agli internati ammessi al regime di semilibertà possono inoltre essere concesse, a titolo di premio, le licenze previste nel primo comma dell’articolo precedente. 
Durante la licenza l’internato è sottoposto al regime della libertà vigilata. 
Se l’internato durante la licenza trasgredisce agli obblighi impostigli, la licenza può essere revocata indipendentemente dalla revoca della semilibertà. 
L’internato che rientra in istituto dopo tre ore dallo scadere della licenza, senza giustificato motivo, è punito in via disciplinare e, se in regime di semilibertà, può subire la revoca della concessione.

 53-bis. Computo del periodo di permesso o licenza.
1. Il tempo trascorso dal detenuto o dall’internato in permesso o licenza è computato a ogni effetto nella durata delle misure restrittive della libertà personale, salvi i casi di mancato rientro o di altri gravi comportamenti da cui risulta che il soggetto non si è dimostrato meritevole del beneficio. In questi casi sull’esclusione dal computo decide, con decreto motivato, il magistrato di sorveglianza. 
2. Avverso il decreto può essere proposto dall’interessato reclamo al tribunale di sorveglianza secondo la procedura di cui all’articolo 14-ter. Il magistrato che ha emesso il provvedimento non fa parte del collegio (133).

(133)  Articolo aggiunto dall’art. 17, L. 10 ottobre 1986, n. 663. 
 

54. Liberazione anticipata.
1. Al condannato a pena detentiva che ha dato prova di partecipazione all’opera di rieducazione è concessa, quale riconoscimento di tale partecipazione, e ai fini del suo più efficace reinserimento nella società, una detrazione di quarantacinque giorni per ogni singolo semestre di pena scontata. A tal fine è valutato anche il periodo trascorso in stato di custodia cautelare o di detenzione domiciliare. 
2. La concessione del beneficio è comunicata all’ufficio del pubblico ministero presso la corte d’appello o il tribunale che ha emesso il provvedimento di esecuzione o al pretore se tale provvedimento è stato da lui emesso. 
3. La condanna per delitto non colposo commesso nel corso dell’esecuzione successivamente alla concessione del beneficio ne comporta la revoca (134) (135). 
4. Agli effetti del computo della misura di pena che occorre avere espiato per essere ammessi ai benefici dei permessi premio, della semilibertà e della liberazione condizionale, la parte di pena detratta ai sensi del comma 1 si considera come scontata. La presente disposizione si applica anche ai condannati all’ergastolo (136).

(134)  La Corte costituzionale, con sentenza 17-23 maggio 1995, n. 186 (Gazz. Uff. 31 maggio 1995, n. 23 – Serie speciale), ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del comma 3, nella parte in cui prevede la revoca della liberazione anticipata nel caso di condanna per delitto non colposo commesso nel corso dell’esecuzione successivamente alla concessione del beneficio anziché stabilire che la liberazione anticipata è revocata se la condotta del soggetto, in relazione alla condanna subita, appare incompatibile con il mantenimento del beneficio. 
(135)  La Corte costituzionale, con ordinanza 19-28 giugno 2002, n. 300 (Gazz. Uff. 3 luglio 2002, n. 26, serie speciale), ha dichiarato la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 54, terzo comma, sollevata in riferimento agli artt. 3, 27, secondo comma, e 112 della Costituzione. 
(136)  Articolo prima modificato dall’art. 5, L. 12 gennaio 1977, n. 1 (Gazz. Uff. 18 gennaio 1977, n. 15), e poi così sostituito dall’art. 18, L. 10 ottobre 1986, n. 663. In relazione al precedente testo normativo, con sentenza 21-27 settembre 1983, n. 274 (Gazz. Uff. 5 ottobre 1983, n. 274), la Corte costituzionale aveva dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 54, nella parte in cui non prevedeva la possibilità di concedere anche al condannato all’ergastolo la riduzione di pena, ai soli fini del computo della quantità di pena, così detratta nella quantità scontata, richiesta per l’ammissione alla liberazione condizionale.) 
 

55. Interventi del servizio sociale nella libertà vigilata.
Nei confronti dei sottoposti alla libertà vigilata, ferme restando le disposizioni di cui all’articolo 228 del codice penale, il servizio sociale svolge interventi di sostegno e di assistenza al fine del loro reinserimento sociale (137).

(137)  Articolo così sostituito dall’art. 6, L. 12 gennaio 1977, n. 1 (Gazz. Uff. 18 gennaio 1977, n. 15). 
 
56. Remissione del debito.
[1. Il debito per le spese di procedimento e di mantenimento è rimesso nei confronti dei condannati e degli internati che si trovano in disagiate condizioni economiche e hanno tenuto regolare condotta ai sensi dell’ultimo comma dell’articolo 30-ter. La relativa domanda può essere proposta fino a che non sia conclusa la procedura per il recupero delle spese] (138) (139).

(138)  Articolo così sostituito dall’art. 19, L. 10 ottobre 1986, n. 663 e successivamente abrogato dall’art. 299, D.Lgs. 30 maggio 2002, n. 113 e dall’art. 299, D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, con la decorrenza indicata nell’art. 302 dello stesso decreto. Vedi, ora, l’art. 6 del citato D.P.R. n. 115 del 2002. La Corte costituzionale, con sentenza 11-15 luglio 1991, n. 342 (Gazz. Uff. 24 luglio 1991, n. 29 – Serie speciale), ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 56, nella parte in cui non prevede che, anche indipendentemente dalla detenzione per espiazione di pena o per custodia cautelare, al condannato possano essere rimesse le spese del procedimento se, in presenza del presupposto delle «disagiate condizioni economiche», abbia serbato in libertà una «condotta regolare». 
(139)  La Corte costituzionale, con sentenza 7-17 luglio 1998, n. 271 (Gazz. Uff. 22 luglio 1998, n. 29, Serie speciale), ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 56, come sostituito dall’art. 19, della legge 10 ottobre 1986, n. 663, sollevata in riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma, della Costituzione. 
57. Legittimazione alla richiesta dei benefici.
Il trattamento ed i benefici di cui agli articoli 47, 50, 52, 53, 54 possono essere richiesti dal condannato, dall’internato e dai loro prossimi congiunti o proposti dal consiglio di disciplina (140).

(140)  Articolo così modificato dall’art. 299, D.Lgs. 30 maggio 2002, n. 113 e dall’art. 299, D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, con la decorrenza indicata nell’art. 302 dello stesso decreto. 
 

58. Comunicazione all’autorità di pubblica sicurezza.
Dei provvedimenti previsti dal presente capo ed adottati dal magistrato o dalla sezione di sorveglianza è data immediata comunicazione all’autorità provinciale di pubblica sicurezza a cura della cancelleria (141).

(141)  Articolo così modificato dall’art. 299, D.Lgs. 30 maggio 2002, n. 113 e dall’art. 299, D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, con la decorrenza indicata nell’art. 302 dello stesso decreto. 
 

58-bis. Iscrizione nel casellario giudiziale.
[Nel casellario giudiziale sono iscritti i provvedimenti della sezione di sorveglianza relativi alla irrogazione e alla revoca delle misure alternative alla pena detentiva] (142).

(142)  Articolo aggiunto dall’art. 74, L. 24 novembre 1981, n. 689 e poi abrogato dall’art. 52 del testo unico di cui al D.P.R. 14 novembre 2002, n. 313, con la decorrenza indicata nell’art. 55 dello stesso decreto. Le norme di cui al presente articolo sono ora contenute nell’art. 3 del citato testo unico. 
 

58-ter. Persone che collaborano con la giustizia.
1. I limiti di pena previsti dalle disposizioni del comma 1 dell’art. 21, del comma 4 dell’art. 30-ter e del comma 2 dell’art. 50, concernenti le persone condannate per taluno dei delitti indicati nei commi 1, 1-ter e 1-quater dell’art. 4-bis, non si applicano a coloro che, anche dopo la condanna, si sono adoperati per evitare che l’attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori ovvero hanno aiutato concretamente l’autorità di polizia o l’autorità giudiziaria nella raccolta di elementi decisivi per la ricostruzione dei fatti e per l’individuazione o la cattura degli autori dei reati (143). 
2. Le condotte indicate nel comma 1 sono accertate dal tribunale di sorveglianza, assunte le necessarie informazioni e sentito il pubblico ministero presso il giudice competente per i reati in ordine ai quali è stata prestata la collaborazione (144) (145).

(143)  Comma così modificato prima dall’art. 21, L. 13 febbraio 2001, n. 45 e poi dalla lettera b) del comma 27 dell’art. 2, L. 15 luglio 2009, n. 94. 
(144)  Articolo aggiunto dall’art. 1, D.L. 13 maggio 1991, n. 152, nel testo modificato dalla relativa legge di conversione. 
(145)  La Corte costituzionale, con sentenza 12-23 marzo 1999, n. 89 (Gazz. Uff. 31 marzo 1999, n. 13, Serie speciale), ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 58-ter, sollevata in riferimento agli artt. 3 e 27 della Costituzione. 

 58-quater. Divieto di concessione di benefìci
1. L’assegnazione al lavoro all’esterno, i permessi premio, l’affidamento in prova al servizio sociale, nei casi previsti dall’articolo 47, la detenzione domiciliare e la semilibertà non possono essere concessi al condannato che sia stato riconosciuto colpevole di una condotta punibile a norma dell’ articolo 385 del codice penale (146). 
2. La disposizione del comma 1 si applica anche al condannato nei cui confronti è stata disposta la revoca di una misura alternativa ai sensi dell’art. 47, comma 11, dell’art. 47-ter, comma 6, o dell’art. 51, primo comma (147) (148) (149). 
3. Il divieto di concessione dei benefìci opera per un periodo di tre anni dal momento in cui è ripresa l’esecuzione della custodia o della pena o è stato emesso il provvedimento di revoca indicato nel comma 2 (150). 
4. I condannati per i delitti di cui agli articoli 289-bis e 630 del codice penale che abbiano cagionato la morte del sequestrato non sono ammessi ad alcuno dei benefici indicati nel comma 1 dell’art. 4-bis se non abbiano effettivamente espiato almeno i due terzi della pena irrogata o, nel caso dell’ergastolo, almeno ventisei anni (151). 
5. Oltre a quanto previsto dai commi 1 e 3, l’assegnazione al lavoro all’esterno, i permessi premio e le misure alternative alla detenzione previste dal capo VI non possono essere concessi, o se già concessi sono revocati, ai condannati per taluni dei delitti indicati nei commi 1, 1-ter e 1-quater dell’art. 4-bis, nei cui confronti si procede o è pronunciata condanna per un delitto doloso punito con la pena della reclusione non inferiore nel massimo a tre anni, commesso da chi ha posto in essere una condotta punibile a norma dell’articolo 385 del codice penale ovvero durante il lavoro all’esterno o la fruizione di un permesso premio o di una misura alternativa alla detenzione (152). 
6. Ai fini dell’applicazione della disposizione di cui al comma 5, l’autorità che procede per il nuovo delitto ne dà comunicazione al magistrato di sorveglianza del luogo di ultima detenzione dell’imputato (153). 
7. Il divieto di concessione dei benefìci di cui al comma 5 opera per un periodo di cinque anni dal momento in cui è ripresa l’esecuzione della custodia o della pena o è stato emesso il provvedimento di revoca della misura (154). 
7-bis. L’affidamento in prova al servizio sociale nei casi previsti dall’articolo 47, la detenzione domiciliare e la semilibertà non possono essere concessi più di una volta al condannato al quale sia stata applicata la recidiva prevista dall’ articolo 99, quarto comma, del codice penale (155).

(146)  Comma così sostituito dall’art. 7, L. 5 dicembre 2005, n. 251 (Gazz. Uff. 7 dicembre 2005, n. 285), entrata in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione. Successivamente, la Corte costituzionale, con sentenza 5-16 marzo 2007, n. 79 (Gazz. Uff. 21 marzo 2007, n. 12 – Prima serie speciale), ha dichiarato, tra l’altro, l’illegittimità del presente comma, nella parte in cui non prevede che i benefici in esso indicati possano essere concessi, sulla base della normativa previgente, nei confronti dei condannati che, prima della entrata in vigore della citata legge n. 251 del 2005, abbiano raggiunto un grado di rieducazione adeguato ai benefici richiesti.
(147)  La Corte costituzionale, con sentenza 22 novembre-1° dicembre 1999, n. 436 (Gazz. Uff. 9 dicembre 1999, n. 49, Serie speciale), ha dichiarato l’illegittimità del presente comma 2, nella parte in cui si riferisce ai minorenni. 
(148)  La Corte costituzionale, con sentenza 27-31 maggio 1996, n. 181 (Gazz. Uff. 5 giugno 1996, n. 23, Serie speciale), ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 58-quater, commi 1 e 2, sollevata in riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma, della Costituzione. La stessa Corte con successiva ordinanza 19-26 giugno 2002, n. 289 (Gazz. Uff. 3 luglio 2002, n. 26, serie speciale), ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 58-quater comma 2, sollevata in riferimento agli artt. 3, primo comma, e 27, terzo comma, della Costituzione. 
(149)  La Corte costituzionale, con ordinanza 26 febbraio-9 marzo 2004, n. 87 (Gazz. Uff. 17 marzo 2004, n. 11, 1ª Serie speciale), ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 58-quater, commi 2 e 3, sollevata in riferimento agli artt. 3 e 27, primo e terzo comma, della Costituzione. 
(150)  La Corte costituzionale, con ordinanza 26 febbraio-9 marzo 2004, n. 87 (Gazz. Uff. 17 marzo 2004, n. 11, 1ª Serie speciale), ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 58-quater, commi 2 e 3, sollevata in riferimento agli artt. 3 e 27, primo e terzo comma, della Costituzione. 
(151)  Articolo aggiunto dall’art. 1, D.L. 13 maggio 1991, n. 152, nel testo modificato dalla relativa legge di conversione. 
(152)  Comma aggiunto dall’art. 14, D.L. 8 giugno 1992, n. 306 e poi così modificato dalla lettera b) del comma 27 dell’art. 2, L. 15 luglio 2009, n. 94. 
(153)  Comma aggiunto dall’art. 14, D.L. 8 giugno 1992, n. 306. 
(154)  Comma aggiunto dall’art. 14, D.L. 8 giugno 1992, n. 306. 
(155)  Comma aggiunto dall’art. 7, L. 5 dicembre 2005, n. 251 (Gazz. Uff. 7 dicembre 2005, n. 285), entrata in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione. Successivamente, la Corte costituzionale, con sentenza 5-16 marzo 2007, n. 79 (Gazz. Uff. 21 marzo 2007, n. 12 – Prima serie speciale), ha dichiarato, tra l’altro, l’illegittimità del presente comma, nella parte in cui non prevede che i benefici in esso indicati possano essere concessi, sulla base della normativa previgente, nei confronti dei condannati che, prima della entrata in vigore della citata legge n. 251 del 2005, abbiano raggiunto un grado di rieducazione adeguato ai benefici richiesti.
 

TITOLO II 
Disposizioni relative alla organizzazione penitenziaria
Capo I 
Istituti penitenziari

 

59. Istituti per adulti.
Gli istituti per adulti dipendenti dall’amministrazione penitenziaria si distinguono in: 1) istituti di custodia preventiva; 2) istituti per l’esecuzione delle pene; 3) istituti per l’esecuzione delle misure di sicurezza; 4) centri di osservazione.

 60. Istituti di custodia preventiva.
Gli istituti di custodia preventiva si distinguono in case mandamentali e circondariali. 
Le case mandamentali assicurano la custodia degli imputati a disposizione del pretore. Esse sono istituite nei capoluoghi di mandamento che non sono sede di case circondariali. 
Le case circondariali assicurano la custodia degli imputati a disposizione di ogni autorità giudiziaria. Esse sono istituite nei capoluoghi di circondario. 
Le case mandamentali e circondariali assicurano altresì la custodia delle persone fermate o arrestate dall’autorità di pubblica sicurezza o dagli organi di polizia giudiziaria e quella dei detenuti e degli internati in transito. 
Può essere istituita una sola casa mandamentale o circondariale rispettivamente per più mandamenti o circondari.

 61. Istituti per l’esecuzione delle pene.
Gli istituti per l’esecuzione delle pene si distinguono in: 
   1) case di arresto, per l’esecuzione della pena dell’arresto. 
Sezioni di case di arresto possono essere istituite presso le case di custodia mandamentali o circondariali; 
   2) case di reclusione, per l’esecuzione della pena della reclusione. 
Sezioni di case di reclusione possono essere istituite presso le case di custodia circondariali. 
Per esigenze particolari, e nei limiti e con le modalità previste dal regolamento, i condannati alla pena dell’arresto o della reclusione possono essere assegnati alle case di custodia preventiva; i condannati alla pena della reclusione possono essere altresì assegnati alle case di arresto.

 62. Istituti per l’esecuzione delle misure di sicurezza detentive.
Gli istituti per l’esecuzione delle misure di sicurezza detentive si distinguono in: colonie agricole, case di lavoro; case di cura e custodia; ospedali psichiatrici giudiziari. 
In detti istituti si eseguono le misure di sicurezza rispettivamente previste dai numeri 1, 2 e 3 del primo capoverso dell’articolo 215 del codice penale. 
Possono essere istituite: 
   sezioni per l’esecuzione della misura di sicurezza della colonia agricola presso una casa di lavoro e viceversa; 
   sezioni per l’esecuzione della misura di sicurezza della casa di cura e di custodia presso un ospedale psichiatrico giudiziario; 
   sezioni per l’esecuzione delle misure di sicurezza della colonia agricola e della casa di lavoro presso le case di reclusione.

 63. Centri di osservazione.
I centri di osservazione sono costituiti come istituti autonomi o come sezioni di altri istituti. 
I predetti svolgono direttamente le attività di osservazione indicate nell’articolo 13 e prestano consulenze per le analoghe attività di osservazione svolte nei singoli istituti. 
Le risultanze dell’osservazione sono inserite nella cartella personale. 
Su richiesta dell’autorità giudiziaria possono essere assegnate ai detti centri per la esecuzione di perizie medico-legali anche le persone sottoposte a procedimento penale. 
I centri di osservazione svolgono, altresì, attività di ricerca scientifica.

64. Differenziazione degli istituti per l’esecuzione delle pene e delle misure di sicurezza.

 I singoli istituti devono essere organizzati con caratteristiche differenziate in relazione alla posizione giuridica dei detenuti e degli internati e alle necessità di trattamento individuale o di gruppo degli stessi.

 65. Istituti per infermi e minorati.
I soggetti affetti da infermità o minorazioni fisiche o psichiche devono essere assegnati ad istituti o sezioni speciali per idoneo trattamento. 
A tali istituti o sezioni sono assegnati i soggetti che, a causa delle loro condizioni, non possono essere sottoposti al regime degli istituti ordinari.

 66. Costituzione, trasformazione e soppressione degli istituti.
La costituzione, la trasformazione, la soppressione degli istituti penitenziari nonché delle sezioni sono disposte con decreto ministeriale.

 67. Visite agli istituti.
Gli istituti penitenziari possono essere visitati senza autorizzazione da: 
   a) il Presidente del Consiglio dei Ministri e il presidente della Corte costituzionale; 
   b) i ministri, i giudici della Corte costituzionale, i Sottosegretari di Stato, i membri del Parlamento e i componenti del Consiglio superiore della magistratura; 
   c) il presidente della corte d’appello, il procuratore generale della Repubblica presso la corte d’appello, il presidente del tribunale e il procuratore della Repubblica presso il tribunale, il pretore, i magistrati di sorveglianza, nell’ambito delle rispettive giurisdizioni; ogni altro magistrato per l’esercizio delle sue funzioni; 
   d) i consiglieri regionali e il commissario di Governo per la regione, nell’ambito della loro circoscrizione;
   e) l’ordinario diocesano per l’esercizio del suo ministero; 
   f) il prefetto e il questore della provincia; il medico provinciale; 
   g) il direttore generale per gli istituti di prevenzione e di pena e i magistrati e i funzionari da lui delegati; 
   h) gli ispettori generali dell’amministrazione penitenziaria; 
   i) l’ispettore dei cappellani; 
   l) gli ufficiali del corpo degli agenti di custodia;

l-bis) i garanti dei diritti dei detenuti comunque denominati (156).
L’autorizzazione non occorre nemmeno per coloro che accompagnano le persone di cui al comma precedente per ragioni del loro ufficio e per il personale indicato nell’art. 18-bis (157). 
Gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria possono accedere agli istituti, per ragioni del loro ufficio, previa autorizzazione dell’autorità giudiziaria. 
Possono accedere agli istituti, con l’autorizzazione del direttore, i ministri del culto cattolico e di altri culti.

(156) Lettera aggiunta dalla lettera b) del comma 1 dell’art. 12-bis, D.L. 30 dicembre 2008, n. 207, nel testo integrato dalla relativa legge di conversione.
(157)  Comma così modificato dall’art. 16, D.L. 8 giugno 1992, n. 306. 
 

Capo II 
Giudici di sorveglianza 
 

68. Uffici di sorveglianza.
1. Gli uffici di sorveglianza sono costituiti nelle sedi di cui alla tabella A allegata alla presente legge e hanno giurisdizione sulle circoscrizioni dei tribunali in essa indicati. 
2. Ai suddetti uffici, per l’esercizio delle funzioni rispettivamente elencate negli articoli 69, 70 e 70-bis, sono assegnati magistrati di cassazione, di appello e di tribunale nonché personale del ruolo delle cancellerie e segreterie giudiziarie e personale esecutivo e subalterno. 
3. Con decreto del presidente della Corte di appello può essere temporaneamente destinato a esercitare le funzioni del magistrato di sorveglianza mancante o impedito un giudice avente la qualifica di magistrato di cassazione, di appello o di tribunale. 
4. I magistrati che esercitano funzioni di sorveglianza non debbono essere adibiti ad altre funzioni giudiziarie (158).

(158)  Articolo prima modificato dall’art. 7, L. 12 gennaio 1977, n. 1(Gazz. Uff. 18 gennaio 1977, n. 15), e poi così sostituito dall’art. 20, L. 10 ottobre 1986, n. 663. 
 

69. Funzioni e provvedimenti del magistrato di sorveglianza.
1. Il magistrato di sorveglianza vigila sulla organizzazione degli istituti di prevenzione e di pena e prospetta al Ministro le esigenze dei vari servizi, con particolare riguardo alla attuazione del trattamento rieducativo. 
2. Esercita, altresì, la vigilanza diretta ad assicurare che l’esecuzione della custodia degli imputati sia attuata in conformità delle leggi e dei regolamenti. 
3. Sovraintende all’esecuzione delle misure di sicurezza personali. 
4. Provvede al riesame della pericolosità ai sensi del primo e secondo comma dell’articolo 208 del codice penale, nonché all’applicazione, esecuzione, trasformazione o revoca, anche anticipata, delle misure di sicurezza. Provvede altresì, con decreto motivato, in occasione dei provvedimenti anzidetti, alla eventuale revoca della dichiarazione di delinquenza abituale, professionale o per tendenza di cui agli articoli 102, 103, 104, 105 e 108 del codice penale. 
5. Approva, con decreto, il programma di trattamento di cui al terzo comma dell’articolo 13, ovvero, se ravvisa in esso elementi che costituiscono violazione dei diritti del condannato o dell’internato, lo restituisce, con osservazioni, al fine di una nuova formulazione. Approva, con decreto, il provvedimento di ammissione al lavoro all’esterno. Impartisce, inoltre, nel corso del trattamento, disposizioni dirette ad eliminare eventuali violazioni dei diritti dei condannati e degli internati. 
6. Decide con ordinanza impugnabile soltanto per cassazione, secondo la procedura di cui all’articolo 14-ter, sui reclami dei detenuti e degli internati concernenti l’osservanza delle norme riguardanti: 
   a) l’attribuzione della qualifica lavorativa, la mercede e la remunerazione nonché lo svolgimento delle attività di tirocinio e di lavoro e le assicurazioni sociali (159); 
   b) le condizioni di esercizio del potere disciplinare, la costituzione e la competenza dell’organo disciplinare, la contestazione degli addebiti e la facoltà di discolpa. 
7. Provvede, con decreto motivato, sui permessi, sulle licenze ai detenuti semiliberi ed agli internati, e sulle modifiche relative all’affidamento in prova al servizio sociale e alla detenzione domiciliare. 
8. Provvede con ordinanza sulla riduzione di pena per la liberazione anticipata e sulla remissione del debito, nonché sui ricoveri previsti dall’articolo 148 del codice penale (160). 
9. Esprime motivato parere sulle proposte e le istanze di grazia concernenti i detenuti. 
10. Svolge, inoltre, tutte le altre funzioni attribuitegli dalla legge (161).

(159) La Corte costituzionale, con sentenza 23-27 ottobre 2006, n. 341 (Gazz. Uff. 2 novembre 2006, ediz. straord. – Prima serie speciale), ha dichiarato l’illegittimità della presente lettera.
(160)  Comma così sostituito dall’art. 1, L. 19 dicembre 2002, n. 277. 
(161)  Articolo prima modificato dall’art. 8, L. 12 gennaio 1977, n. 1 (Gazz. Uff. 18 gennaio 1977, n. 15), e poi così sostituito dall’art. 21, L. 10 ottobre 1986, n. 663. Con sentenza 8-11 febbraio 1999, n. 26 (Gazz. Uff. 17 febbraio 1999, n. 7 Serie speciale) la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale degli artt. 35 e 69, quest’ultimo come sostituito dall’art. 21 della legge 10 ottobre 1986, n. 663, nella parte in cui non prevedono una tutela giurisdizionale nei confronti degli atti della amministrazione penitenziaria lesivi di diritti di coloro che sono sottoposti a restrizione della libertà personale. 

69-bis. Procedimento in materia di liberazione anticipata.
1. Sull’istanza di concessione della liberazione anticipata, il magistrato di sorveglianza provvede con ordinanza, adottata in camera di consiglio senza la presenza delle parti, che è comunicata o notificata senza ritardo ai soggetti indicati nell’articolo 127 del codice di procedura penale. 
2. Il magistrato di sorveglianza decide non prima di quindici giorni dalla richiesta del parere al pubblico ministero e anche in assenza di esso. 
3. Avverso l’ordinanza di cui al comma 1 il difensore, l’interessato e il pubblico ministero possono, entro dieci giorni dalla comunicazione o notificazione, proporre reclamo al tribunale di sorveglianza competente per territorio. 
4. Il tribunale di sorveglianza decide ai sensi dell’articolo 678 del codice di procedura penale. Si applicano le disposizioni del quinto e del sesto comma dell’articolo 30-bis. 
5. Il tribunale di sorveglianza, ove nel corso dei procedimenti previsti dall’articolo 70, comma 1, sia stata presentata istanza per la concessione della liberazione anticipata, può trasmetterla al magistrato di sorveglianza (162) (163).

(162)  Articolo aggiunto dall’art. 1, comma 2, L. 19 dicembre 2002, n. 277. Vedi, anche, quanto disposto dal comma 3 dello stesso articolo 1. 
(163)  La Corte costituzionale, con ordinanza 24 novembre-5 dicembre 2003, n. 352 (Gazz. Uff. 10 dicembre 2003, n. 49, 1ª Serie speciale), ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 69-bis sollevata in riferimento all’art. 24, secondo comma, della Costituzione. La stessa Corte, con successiva ordinanza 7-19 luglio 2005, n. 291 (Gazz. Uff. 27 luglio 2005, n. 30, 1ª Serie speciale), ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 69-bis aggiunto dall’art. 1, comma 2, della legge 19 dicembre 2002, n. 277 sollevata in riferimento agli artt. 3, 24 e 27 della Costituzione.
70. Funzioni e provvedimenti del tribunale di sorveglianza.
1. In ciascun distretto di corte d’appello e in ciascuna circoscrizione territoriale di sezione distaccata di corte d’appello è costituito un tribunale di sorveglianza competente per l’affidamento in prova al servizio sociale, la detenzione domiciliare, la detenzione domiciliare speciale, la semilibertà, la liberazione condizionale, la revoca o cessazione dei suddetti benefìci nonché della riduzione di pena per la liberazione anticipata, il rinvio obbligatorio o facoltativo dell’esecuzione delle pene detentive ai sensi degli articoli 146 e 147, numeri 2) e 3), del codice penale, nonché per ogni altro provvedimento ad esso attribuito dalla legge (164). 
2. Il tribunale di sorveglianza decide inoltre in sede di appello sui ricorsi avverso i provvedimenti di cui al comma 4 dell’articolo 69. Il magistrato che ha emesso il provvedimento non fa parte del collegio. 
3. Il tribunale è composto da tutti i magistrati di sorveglianza in servizio nel distretto o nella circoscrizione territoriale della sezione distaccata di corte d’appello e da esperti scelti fra le categorie indicate nel quarto comma dell’articolo 80, nonché fra docenti di scienze criminalistiche. 
4. Gli esperti effettivi e supplenti sono nominati dal Consiglio superiore della magistratura in numero adeguato alle necessita del servizio presso ogni tribunale per periodi triennali rinnovabili. 
5. I provvedimenti del tribunale sono adottati da un collegio composto dal presidente o, in sua assenza o impedimento, dal magistrato di sorveglianza che lo segue nell’ordine delle funzioni giudiziarie e, a parità di funzioni, nell’anzianità; da un magistrato di sorveglianza e da due fra gli esperti di cui al precedente comma 4. 
6. Uno dei due magistrati ordinari deve essere il magistrato di sorveglianza sotto la cui giurisdizione è posto il condannato o l’internato in ordine alla cui posizione si deve provvedere (165). 
7. La composizione dei collegi giudicanti è annualmente determinata secondo le disposizioni dell’ordinamento giudiziario. 
8. Le decisioni del tribunale sono emesse con ordinanza in camera di consiglio; in caso di parità di voti prevale il voto del presidente. 
9. [Agli esperti componenti del tribunale è riservato il trattamento economico assegnato agli esperti di cui al quarto comma dell’articolo 80 operanti negli istituti di prevenzione e di pena] (166) (167).

(164)  Comma così modificato prima dall’art. 8, L. 8 marzo 2001, n. 40 e poi dall’art. 2, L. 19 dicembre 2002, n. 277. 
(165)  La Corte costituzionale, con sentenza 24-28 novembre 1997, n. 364 (Gazz. Uff. 3 dicembre 1997, n. 49, Serie speciale), ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 70, comma 6, nel testo sostituito con l’art. 22 della legge 10 ottobre 1986, n. 663, sollevata in riferimento agli artt. 3, primo comma, e 24, secondo comma, della Costituzione. 
(166)  Comma abrogato dall’art. 299, D.Lgs. 30 maggio 2002, n. 113 e dall’art. 299, D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, con la decorrenza indicata nell’art. 302 dello stesso decreto. Vedi, ora, l’art. 67 del citato D.P.R. n. 115 del 2002. 
(167)  Articolo prima modificato dall’art. 9, L. 12 gennaio 1977, n. 1 (Gazz. Uff. 18 gennaio 1977, n. 15), e poi così sostituito dall’art. 22, L. 10 ottobre 1986, n. 663. 
 
70-bis. Presidente del tribunale di sorveglianza.
1. Le funzioni di presidente del tribunale di sorveglianza sono conferite a un magistrato di cassazione o, per i tribunali istituiti nelle sezioni distaccate di corte d’appello, a un magistrato d’appello. 
2. Il presidente del tribunale, fermo l’espletamento delle funzioni di magistrato di sorveglianza nell’ufficio di appartenenza, provvede: 
   a) a dirigere e ad organizzare le attività del tribunale di sorveglianza; 
   b) a coordinare, in via organizzativa, in funzione del disbrigo degli affari di competenza del tribunale, l’attività degli uffici di sorveglianza compresi nella giurisdizione del tribunale medesimo; 
   c) a disporre le applicazioni dei magistrati e del personale ausiliario nell’ambito dei vari uffici di sorveglianza nei casi di assenza, impedimento o urgenti necessità di servizio; 
   d) a richiedere al presidente della corte di appello l’emanazione dei provvedimenti di cui al comma 3 dell’articolo 68; 
   e) a proporre al Consiglio superiore della magistratura la nomina degli esperti effettivi o supplenti componenti del tribunale e a compilare le tabelle per gli emolumenti loro spettanti; 
   f) a svolgere tutte le altre attività a lui riservate dalla legge e dai regolamenti (168).

(168)  Articolo aggiunto dall’art. 23, L. 10 ottobre 1986, n. 663. 
 

70-ter. Nuove denominazioni.
1. Le denominazioni «sezione di sorveglianza» e «giudice di sorveglianza» di cui alle leggi vigenti sono rispettivamente sostituite dalle seguenti: «tribunale di sorveglianza» e «magistrato di sorveglianza». 
2. Per il funzionamento del tribunale di sorveglianza nonché degli uffici di sorveglianza di cui all’articolo 68 si provvede con assegnazioni dirette di fondi e di attrezzature mediante prelievo delle somme necessarie dagli appositi capitoli del bilancio di previsione del Ministero di grazia e giustizia (169).

(169)  Articolo aggiunto dall’art. 24, L. 10 ottobre 1986, n. 663. 
 

Capo II-bis 
Procedimento di sorveglianza (170)

71. Norme generali.
1. Per l’adozione dei provvedimenti di competenza del tribunale di sorveglianza espressamente indicati nei commi 1 e 2 dell’articolo 70, nonché dei provvedimenti del magistrato di sorveglianza in materia di remissione del debito, di ricoveri di cui all’articolo 148 del codice penale, di applicazione, esecuzione, trasformazione o revoca anche anticipata delle misure di sicurezza e di quelli relativi all’accertamento dell’identità personale ai fini delle dette misure, si applica il procedimento di cui ai commi e agli articoli seguenti. 
2. Il presidente del tribunale o il magistrato di sorveglianza, a seguito di richiesta o di proposta ovvero di ufficio, invita l’interessato ad esercitare la facoltà di nominare un difensore. Se l’interessato non vi provvede entro cinque giorni dalla comunicazione dell’invito, il difensore è nominato di ufficio dal presidente del tribunale o dal magistrato di sorveglianza. Successivamente il presidente del tribunale o il magistrato di sorveglianza fissa con decreto il giorno della trattazione e ne fa comunicare avviso al pubblico ministero, all’interessato e al difensore almeno cinque giorni prima di quello stabilito. 
3. La competenza spetta al tribunale o al magistrato di sorveglianza che hanno giurisdizione sull’istituto di prevenzione o di pena in cui si trova l’interessato all’atto della richiesta o della proposta o all’inizio d’ufficio del procedimento. 
4. Se l’interessato non è detenuto o internato, la competenza spetta al tribunale o al magistrato di sorveglianza che hanno giurisdizione nel luogo in cui l’interessato ha la residenza o il domicilio. Nel caso in cui non sia possibile determinare la competenza secondo il criterio sopra indicato, si applica la disposizione del secondo comma dell’articolo 635 del codice di procedura penale. 
5. Le disposizioni contenute nel capo I del titolo V del libro IV del codice di procedura penale sono applicabili in quanto non diversamente disposto dalla presente legge. L’articolo 641 del codice di procedura penale resta in vigore limitatamente ai casi di cui all’articolo 212 dello stesso codice (171) (172).

(170)  Intitolazione del Capo introdotta dall’art. 10, L. 12 gennaio 1977, n. 1 (Gazz. Uff. 18 gennaio 1977, n. 15).
(171)  Articolo così sostituito prima dall’art. 11, L. 12 gennaio 1977, n. 1 (Gazz. Uff. 18 gennaio 1977, n. 15), e poi dall’art. 25, L. 10 ottobre 1986, n. 663. Vedi, anche, l’art. 236 delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del nuovo codice di procedura penale. 
(172) La Corte costituzionale, con sentenza 8 – 23 ottobre 2009, n. 266 (Gazz. Uff. 28 ottobre 2009, n. 43, 1ª Serie speciale), ha dichiarato, fra l’altro, inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 71, sollevata, in riferimento agli articoli 3, 24, primo comma, 27, terzo comma, 97, primo comma, 111, primo e secondo comma, e 113 della Costituzione, «ed ai principi generali sulla giurisdizione».
 

71-bis. Udienza.
L’udienza si svolge con la partecipazione del difensore e del rappresentante dell’ufficio del pubblico ministero. L’interessato può partecipare personalmente alla discussione e presentare memorie. 
Le funzioni di pubblico ministero sono esercitate, davanti alla sezione di sorveglianza, dal procuratore generale presso la corte d’appello e, davanti al magistrato di sorveglianza, dal procuratore della Repubblica presso il tribunale della sede dell’ufficio di sorveglianza. 
I provvedimenti della sezione e del magistrato di sorveglianza sono emessi sulla base dell’acquisizione in udienza dei documenti relativi all’osservazione e al trattamento nonché, quando occorre, svolgendo i necessari accertamenti ed avvalendosi della consulenza dei tecnici del trattamento. 
L’ordinanza che conclude il procedimento di sorveglianza è comunicata al pubblico ministero, all’interessato e al difensore nel termine di dieci giorni dalla data della deliberazione (173).

(173)  Articolo aggiunto dall’art. 11, L. 12 gennaio 1977, n. 1 (Gazz. Uff. 18 gennaio 1977, n. 15). 
 

71-ter. Ricorso per cassazione.
1. Avverso le ordinanze del tribunale di sorveglianza e del magistrato di sorveglianza, il pubblico ministero, l’interessato e, nei casi di cui agli articoli 14-ter e 69, comma 6, l’amministrazione penitenziaria, possono proporre ricorso per cassazione per violazione di legge entro dieci giorni dalla comunicazione del provvedimento. Si applicano le disposizioni del terzo comma dell’articolo 640 del codice di procedura penale. Si applica, altresì, l’ultimo comma dell’articolo 631 del codice di procedura penale (174).

(174)  Articolo aggiunto dall’art. 11, L. 12 gennaio 1977, n. 1 (Gazz. Uff. 18 gennaio 1977, n. 15), e poi così sostituito dall’art. 26, L. 10 ottobre 1986, n. 663. Peraltro, l’art. 680 del nuovo c.p.p. consente al pubblico ministero, all’interessato e al difensore la possibilità di proporre appello al Tribunale di sorveglianza contro i provvedimenti del magistrato di sorveglianza. 
 

71-quater. Comunicazioni.
Le comunicazioni all’interessato degli avvisi e dei provvedimenti previsti negli articoli precedenti sono effettuati ai sensi dell’articolo 645 del codice di procedura penale (175).

(175)  Articolo aggiunto dall’art. 11, L. 12 gennaio 1977, n. 1 (Gazz. Uff. 18 gennaio 1977, n. 15). 
 

71-quinquies. Revoca.
[Alla revoca delle riduzioni di pena, ai sensi del terzo comma dell’articolo 54 quando la condanna è intervenuta successivamente alla liberazione anticipata, la sezione di sorveglianza provvede secondo le modalità stabilite per gli incidenti di esecuzione] (176).

(176)  Articolo aggiunto dall’art. 11, L. 12 gennaio 1977, n. 1 (Gazz. Uff. 18 gennaio 1977, n. 15), e poi abrogato dall’art. 27, L. 10 ottobre 1986, n. 663. 
 

71-sexies. Inammissibilità.
Qualora l’istanza per l’adozione dei provvedimenti indicati nel primo comma dell’articolo 71, appaia manifestamente infondata per difetto delle condizioni di legge, ovvero costituisca mera riproposizione di una istanza già rigettata, basata sui medesimi elementi, il presidente, sentito il pubblico ministero, emette decreto motivato con il quale dichiara inammissibile l’istanza e dispone non farsi luogo a procedimento di sorveglianza. 
Il decreto è comunicato entro cinque giorni all’interessato, il quale ha facoltà di proporre opposizione nel termine di cinque giorni dalla comunicazione stessa facendo richiesta di trattazione. 
A seguito dell’opposizione, il presidente della sezione dà corso al procedimento di sorveglianza (177).

(177)  Articolo aggiunto dall’art. 11, L. 12 gennaio 1977, n. 1 (Gazz. Uff. 18 gennaio 1977, n. 15). 
 

Capo III 
Esecuzione penale esterna ed assistenza (178)

 
72. Uffici locali di esecuzione penale esterna.
   1. Gli uffici locali di esecuzione penale esterna dipendono dal Ministero della giustizia e la loro organizzazione è disciplinata con regolamento adottato dal Ministro ai sensi dell’articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, e successive modificazioni. 
   2. Gli uffici: 
   a) svolgono, su richiesta dell’autorità giudiziaria, le inchieste utili a fornire i dati occorrenti per l’applicazione, la modificazione, la proroga e la revoca delle misure di sicurezza; 
   b) svolgono le indagini socio-familiari per l’applicazione delle misure alternative alla detenzione ai condannati; 
   c) propongono all’autorità giudiziaria il programma di trattamento da applicare ai condannati che chiedono di essere ammessi all’affidamento in prova e alla detenzione domiciliare; 
   d) controllano l’esecuzione dei programmi da parte degli ammessi alle misure alternative, ne riferiscono all’autorità giudiziaria, proponendo eventuali interventi di modificazione o di revoca; 
   e) su richiesta delle direzioni degli istituti penitenziari, prestano consulenza per favorire il buon esito del trattamento penitenziario; 
   f) svolgono ogni altra attività prescritta dalla legge e dal regolamento (179).

(178)  Rubrica così sostituita dall’art. 3, comma 1, L. 27 luglio 2005, n. 154.
(179)  Articolo così sostituito dall’art. 3, comma 1, L. 27 luglio 2005, n. 154. Vedi, anche, il comma 2 dello stesso articolo 3. 
 

73. Cassa per il soccorso e l’assistenza alle vittime del delitto.
Presso la direzione generale per gli istituti di prevenzione e di pena è costituita la cassa per il soccorso e l’assistenza alle vittime del delitto. 
La cassa ha personalità giuridica, è amministrata con le norme della contabilità di Stato e può avvalersi del patrocinio dell’Avvocatura dello Stato. 
Per il bilancio, l’amministrazione e il servizio della cassa di applicano le norme previste dall’articolo 4 della legge 9 maggio 1932, numero 547. 
La cassa è amministrata da un consiglio composto: 
   1) dal direttore generale per gli istituti di prevenzione e di pena, presidente; 
   2) da un rappresentante del Ministero del tesoro; 
   3) da un rappresentante del Ministero dell’interno. 
Le funzioni di segretario sono esercitate dal direttore dell’ufficio della direzione generale per gli istituti di prevenzione e di pena, competente per l’assistenza. 
Nessuna indennità o retribuzione è dovuta alle persone suddette. 
Il patrimonio della cassa è costituito, oltre che dai lasciti, donazioni o altre contribuzioni, dalle somme costituenti le differenze fra mercede e remunerazione di cui all’articolo 23. 
I fondi della cassa sono destinati a soccorrere e ad assistere le vittime che a causa del delitto si trovino in condizioni di comprovato bisogno.

 74. Consigli di aiuto sociale.
Nel capoluogo di ciascun circondario è costituito un consiglio di aiuto sociale, presieduto dal presidente del tribunale o da un magistrato da lui delegato, e composto dal presidente del tribunale dei minorenni o da un altro magistrato da lui designato, da un magistrato di sorveglianza, da un rappresentante della regione, da un rappresentante della provincia, da un funzionario dell’amministrazione civile dell’interno designato dal prefetto, dal sindaco o da un suo delegato, dal medico provinciale, dal dirigente dell’ufficio provinciale del lavoro, da un delegato dell’ordinario diocesano, dai direttori degli istituti penitenziari del circondario. Ne fanno parte, inoltre, sei componenti nominati dal presidente del tribunale fra i designati da enti pubblici e privati qualificati nell’assistenza sociale. 
Il consiglio di aiuto sociale ha personalità giuridica, è sottoposto alla vigilanza del Ministero di grazia e giustizia e può avvalersi del patrocinio dell’Avvocatura dello Stato. 
I componenti del consiglio di aiuto sociale prestano la loro opera gratuitamente. 
Con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro per la grazia e giustizia, può essere disposta la fusione di più consigli di aiuto sociale in un unico ente. 
Alle spese necessarie per lo svolgimento dei compiti del consiglio di aiuto sociale nel settore dell’assistenza penitenziaria e post-penitenziaria si provvede: 
   1) con le assegnazioni della cassa delle ammende di cui all’articolo 4 della legge 9 maggio 1932, n. 547; 
   2) con lo stanziamento annuale previsto dalla legge 23 maggio 1956, n. 491 (180); 
   3) con i proventi delle manifatture carcerarie assegnati annualmente con decreto del Ministro per il tesoro sul bilancio della cassa delle ammende nella misura del cinquanta per cento del loro ammontare; 
   4) con i fondi ordinari di bilancio; 
   5) con gli altri fondi costituenti il patrimonio dell’ente. 
Alle spese necessarie per lo svolgimento dei compiti del consiglio di aiuto sociale nel settore del soccorso e dell’assistenza alle vittime del delitto si provvede con le assegnazioni della cassa prevista dall’articolo precedente e con i fondi costituiti da lasciti, donazioni o altre contribuzioni ricevuti dall’ente a tale scopo. 
Il regolamento stabilisce l’organizzazione interna e le modalità del funzionamento del consiglio di aiuto sociale, che delibera con la presenza di almeno sette componenti.

(180)  Recante modificazioni alla L. 9 agosto 1964, n. 633, sull’assistenza ai liberati dal carcereeca. 
 

75. Attività del consiglio di aiuto sociale per l’assistenza penitenziaria e post-penitenziaria.
Il consiglio di aiuto sociale svolge le seguenti attività: 
   1) cura che siano fatte frequenti visite ai liberandi, al fine di favorire, con opportuni consigli e aiuti, il loro reinserimento nella vita sociale; 
   2) cura che siano raccolte tutte le notizie occorrenti per accertare i reali bisogni dei liberandi e studia il modo di provvedervi, secondo le loro attitudini e le condizioni familiari: 
   3) assume notizie sulle possibilità di collocamento al lavoro nel circondario e svolge, anche a mezzo del comitato di cui all’articolo 77, opera diretta ad assicurare una occupazione ai liberati che abbiano o stabiliscano residenza nel circondario stesso; 
   4) organizza, anche con il concorso di enti o di privati, corsi di addestramento e attività lavorative per i liberati che hanno bisogno di integrare la loro preparazione professionale e che non possono immediatamente trovare lavoro; promuovere altresì la frequenza dei liberati ai normali corsi di addestramento e di avviamento professionale predisposti dalle regioni; 
   5) cura il mantenimento delle relazioni dei detenuti e degli internati con le loro famiglie; 
   6) segnala alle autorità e agli enti competenti i bisogni delle famiglie dei detenuti e degli internati, che rendono necessari speciali interventi; 
   7) concede sussidi in denaro o in natura; 
   8) collabora con i competenti organi per il coordinamento dell’attività assistenziale degli enti e delle associazioni pubbliche e private nonché delle persone che svolgono opera di assistenza e beneficenza diretta ad assicurare il più efficace e appropriato intervento in favore dei liberati e dei familiari dei detenuti e degli internati.

 76. Attività del consiglio di aiuto sociale per il soccorso e l’assistenza alle vittime del delitto.
Il consiglio di aiuto sociale presta soccorso, con la concessione di sussidi in natura o in denaro, alle vittime del delitto e provvede all’assistenza in favore dei minorenni orfani a causa del delitto.

 77. Comitato per l’occupazione degli assistiti dal consiglio di aiuto sociale.
Al fine di favorire l’avviamento al lavoro dei dimessi dagli istituti di prevenzione e di pena, presso ogni consiglio di aiuto sociale, ovvero presso l’ente di cui al quarto comma dell’articolo 74, è istituito il comitato per l’occupazione degli assistiti dal consiglio di aiuto sociale. 
Di tale comitato, presieduto dal presidente del consiglio di aiuto sociale o da un magistrato da lui delegato, fanno parte quattro rappresentanti rispettivamente dell’industria, del commercio, dell’agricoltura e dell’artigianato locale, designati dal presidente della camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura, tre rappresentanti dei datori di lavoro e tre rappresentanti dei prestatori di opera, designati dalle organizzazioni sindacali più rappresentative sul piano nazionale, un rappresentante dei coltivatori diretti, il direttore dell’ufficio provinciale del lavoro e della massima occupazione, un impiegato della carriera direttiva dell’amministrazione penitenziaria e un assistente sociale del centro di servizio sociale di cui all’articolo 72. 
I componenti del comitato sono nominati dal presidente del consiglio di aiuto sociale. 
Il comitato delibera con la presenza di almeno cinque componenti.

 78. Assistenti volontari.
L’amministrazione penitenziaria può, su proposta del magistrato di sorveglianza, autorizzare persone idonee all’assistenza e all’educazione a frequentare gli istituti penitenziari allo scopo di partecipare all’opera rivolta al a sostegno morale dei detenuti e degli internati, e al futuro reinserimento nella vita sociale. 
Gli assistenti volontari possono cooperare nelle attività culturali e ricreative dell’istituto sotto la guida del direttore, il quale ne coordina l’azione con quella di tutto il personale addetto al trattamento. 
L’attività prevista nei commi precedenti non può essere retribuita. 
Gli assistenti volontari possono collaborare coi centri di servizio sociale per l’affidamento in prova, per il regime di semilibertà e per l’assistenza ai dimessi e alle loro famiglie.

 

Capo IV 
Disposizioni finali e transitorie 
 


79. Minori degli anni diciotto sottoposti a misure penale. Magistratura di sorveglianza.
Le norme della presente legge si applicano anche nei confronti dei minori degli anni diciotto sottoposti a misure penali, fino a quando non sarà provveduto con apposita legge. 
Nei confronti dei minori di cui al comma precedente e dei soggetti maggiorenni che commisero il reato quando erano minori degli anni diciotto, le funzioni della sezione di sorveglianza e del magistrato di sorveglianza sono esercitate rispettivamente, dal tribunale per i minorenni e dal giudice di sorveglianza presso il tribunale per i minorenni. 
Al giudice di sorveglianza per i minorenni non si applica l’ultimo comma dell’articolo 68 (181).

(181)  Articolo così sostituito dall’art. 12, L. 12 gennaio 1977, n. 1 (Gazz. Uff. 18 gennaio 1977, n. 15). 
 
80. Personale dell’amministrazione degli istituti di prevenzione e di pena.
Presso gli istituti di prevenzione e di pena per adulti, oltre al personale previsto dalle leggi vigenti, operano gli educatori per adulti e gli assistenti sociali dipendenti dai centri di servizio sociale previsti dall’articolo 72. 
L’amministrazione penitenziaria può avvalersi, per lo svolgimento delle attività di osservazione e di trattamento, di personale incaricato giornaliero, entro limiti numerici da concordare annualmente, con il Ministero del tesoro. 
Al personale incaricato giornaliero è attribuito lo stesso trattamento ragguagliato a giornata previsto per il corrispondente personale incaricato. 
Per lo svolgimento delle attività di osservazione e di trattamento, l’amministrazione penitenziaria può avvalersi di professionisti esperti in psicologia, servizio sociale, pedagogia, psichiatria e criminologia clinica, corrispondendo ad essi onorari proporzionati alle singole prestazioni effettuate. 
Il servizio infermieristico degli istituti penitenziari, previsti dall’art. 59, è assicurato mediante operai specializzati con la qualifica di infermieri (182). 
A tal fine la dotazione organica degli operai dell’amministrazione degli istituti di prevenzione e di pena, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 31 marzo 1971, n. 275, emanato a norma dell’articolo 17 della legge 28 ottobre 1970, n. 775, è incrementata di 800 unità riservate alla suddetta categoria. Tali unità sono attribuite nella misura di 640 agli operai specializzati e di 160 ai capi operai. 
Le modalità relative all’assunzione di detto personale saranno stabilite dal regolamento di esecuzione (183).

(182)  Comma così sostituito dall’art. 14, D.L. 14 aprile 1978, n. 111. 
(183)  L’indennità spettante agli esperti componenti dei tribunali di sorveglianza è stata determinata con D.Dirett. 27 gennaio 2000 (Gazz. Uff. 1° marzo 2000, n. 50) e con D.Dirett. 9 maggio 2002 (Gazz. Uff. 4 giugno 2002, n. 129). 
 

81. Attribuzioni degli assistenti sociali.
Gli assistenti sociali della carriera direttiva esercitano le attribuzioni previste dagli articoli 9, 10 e 11 della legge 16 luglio 1962, n. 1085, anche nell’ambito dei centri di servizio sociale previsti dall’articolo 72 della presente legge. 
Gli assistenti sociali della carriera di concetto esercitano le attività indicate nell’articolo 72 della presente legge nell’ambito dei centri di servizio sociale. Essi espletano compiti di vigilanza e di assistenza nei confronti dei sottoposti a misure alternative alla detenzione nonché compiti di sostegno e di assistenza nei confronti dei sottoposti alla libertà vigilata; partecipano, inoltre, alle attività di assistenza ai dimessi (184).

(184)  L’attuale comma secondo così sostituisce gli originari commi secondo e terzo per effetto dell’art. 13, L. 12 gennaio 1977, n. 1 (Gazz. Uff. 18 gennaio 1977, n. 15). 
 

82. Attribuzioni degli educatori.
Gli educatori partecipano all’attività di gruppo per la osservazione scientifica della personalità dei detenuti e degli internati e attendono al trattamento rieducativo individuale o di gruppo, coordinando la loro azione con quella di tutto il personale addetto alle attività concernenti la rieducazione. 
Essi svolgono, quando sia consentito, attività educative anche nei confronti degli imputati. 
Collaborano, inoltre nella tenuta della biblioteca e nella distribuzione dei libri, delle riviste e dei giornali.

 

83. Ruoli organici del personale di servizio sociale e degli educatori.
La tabella dell’organico del personale della carriera direttiva di servizio sociale, annessa alla legge 16 luglio 1962, n. 1085, è sostituita dalla tabella B allegata alla presente legge. 
Sono istituiti i ruoli organici delle carriere di concetto degli educatori per adulti e degli assistenti sociali per adulti. 
Le dotazioni organiche dei ruoli, di cui al precedente comma, sono stabilite rispettivamente dalle tabelle C e D allegate alla presente legge. 
Al personale delle carriere suddette si applicano le disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato, nonché, in quanto compatibili, quelle di cui al regio decreto 30 luglio 1940, n. 2041, e successive modificazioni; lo stesso personale dipende direttamente dall’amministrazione penitenziaria e dai suoi organi periferici. 
Gli impiegati della carriera direttiva di servizio sociale che al 1° luglio 1970 rivestivano la qualifica di direttore, al conseguimento dell’anzianità di cui al primo comma dell’articolo 22 del decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 1972, n. 748, sono esonerati, per la nomina alla qualifica di primo dirigente, dalla partecipazione al corso previsto dagli articoli 22 e 23 del decreto stesso. 
La nomina è effettuata, nei limiti dei posti disponibili, con decreto del Ministro, previo parere favorevole del consiglio di amministrazione sulla base dei rapporti informativi e dei giudizi complessivi conseguiti dagli interessati.

 

84. Concorso per esame speciale per l’accesso al ruolo della carriera di concetto degli assistenti sociali per adulti.
Entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge il Ministro per la grazia e giustizia indirà un concorso, per esame speciale, di accesso al ruolo della carriera di concetto degli assistenti sociali per adulti, istituito dal precedente articolo, nel limite del cinquanta per cento della complessiva dotazione organica del ruolo stesso. 
Entro trenta mesi dall’entrata in vigore della presente legge sarà indetto un concorso pubblico di accesso al ruolo della carriera di concetto degli assistenti sociali per adulti, nel limite del residuo cinquanta per cento della complessiva dotazione organica del ruolo stesso. A tale concorso sono ammessi anche gli assistenti sociali immessi nel ruolo del servizio sociale per i minorenni per effetto del concorso a 160 posti di assistente sociale, di cui al decreto ministeriale 21 giugno 1971. 
Il concorso previsto al primo comma è riservato, indipendentemente dai limiti di età previsti dalle vigenti disposizioni per l’accesso agli impieghi dello Stato, a coloro i quali, alla data di entrata in vigore della presente legge, svolgano attività retribuita di assistente sociale presso gli istituti di prevenzione e di pena per adulti e siano forniti di diploma di istituto di istruzione di secondo grado nonché di certificato di qualificazione professionale rilasciato da una scuola biennale o triennale di servizio sociale. 
Il concorso consiste in una prova orale avente per oggetto le seguenti materie: 
   1) teoria e pratica del servizio sociale; 
   2) psicologia; 
   3) nozioni di diritto e procedura penale; 
   4) regolamenti per gli istituti di prevenzione e di pena. 
La commissione esaminatrice è presieduta dal direttore generale per gli istituti di prevenzione e di pena o dal magistrato che ne fa le veci ed è composta dai seguenti membri: 
   un magistrato di corte d’appello addetto alla direzione generale, per gli istituti di prevenzione e di pena; 
   un docente universitario in neuropsichiatria o in psicologia o in criminologia o in antropologia criminale; 
   un ispettore generale dell’amministrazione degli istituti di prevenzione e di pena; 
   un docente di materia di servizio sociale. 
Le funzioni di segretario sono esercitate da un impiegato del ruolo amministrativo della carriera direttiva della detta amministrazione con qualifica non inferiore a direttore alla seconda classe di stipendio (ex coefficiente 257). 
La prova si considera superata dai candidati che hanno riportato un punteggio non inferiore a sei decimi. 
I vincitori del concorso sono nominati: 
   a) alla prima classe di stipendio della qualifica di assistente sociale se abbiano prestato servizio continuativo ai sensi del terzo comma del presente articolo per almeno due anni; 
   b) alla seconda classe di stipendio della qualifica di assistente sociale se abbiano prestato tale servizio per almeno quattro anni; 
   c) alla terza classe di stipendio della qualifica di assistente sociale se abbiano prestato tale servizio per almeno otto anni. 
Nei confronti di coloro che sono inquadrati nella prima o nella seconda classe di stipendio, ai sensi del comma precedente, gli anni di servizio di assistente sociale prestato in modo continuativo, ai sensi del terzo comma del presente articolo, oltre i limiti rispettivi di due e quattro anni sono computati ai fini dell’inquadramento nella classe di stipendio immediatamente superiore. 
Entro tre mesi dalla data di pubblicazione del decreto di nomina i vincitori del concorso hanno facoltà di chiedere il riscatto degli anni di servizio prestato ai sensi del terzo comma del presente articolo, ai fini del trattamento di quiescenza e della indennità di buonuscita.

 

85. Accesso alla carriera direttiva di servizio sociale.
Alla lettera e) dell’articolo 5 della legge 16 luglio 1962, n. 1085, sono soppresse le parole «istituita o autorizzata a norma di legge».


86. Personale per gli uffici di sorveglianza.
Con decreti del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro per la grazia e giustizia, di concerto con il Ministro per il tesoro, è determinato, entro sei mesi dalla entrata in vigore della presente legge, il contingente dei magistrati e del personale di cui all’articolo 68 da assegnare a ciascun ufficio di sorveglianza nei limiti delle attuali complessive dotazioni organiche.
87. Norme di esecuzione.
Con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro per la grazia e giustizia, di concerto con il Ministro per il tesoro, entro sei mesi dalla entrata in vigore della presente legge, sarà emanato il regolamento di esecuzione. Per quanto concerne la materia della istruzione negli istituti di prevenzione e di pena il regolamento di esecuzione sarà emanato di concerto anche con il Ministro per la pubblica istruzione (185). 
Fino all’emanazione del suddetto regolamento restano applicabili, in quanto non incompatibili con le norme della presente legge le disposizioni del regolamento vigente. 
Entro il termine indicato nel primo comma dovranno essere emanate le norme che disciplinano l’ingresso in carriera del personale di concerto dei ruoli degli educatori per adulti e degli assistenti sociali per adulti. 
Le disposizioni concernenti l’affidamento al servizio sociale e il regime di semilibertà entreranno in vigore un anno dopo la pubblicazione della presente legge nella Gazzetta Ufficiale.

(185)  Per il regolamento sull’ordinamento penitenziario e sulle misure privative e limitative della libertà, vedi il D.P.R. 30 giugno 2000, n. 230. 
 

88. Attuazione dei ruoli del personale.
L’istituzione del ruolo organico del personale di concetto di servizio sociale per adulti, l’ampliamento del ruolo organico del personale direttivo di servizio sociale, l’istituzione del ruolo organico della carriera di concetto degli educatori per adulti e l’ampliamento del ruolo degli operai specializzati addetti agli ospedali psichiatrici e alle case di cura e di custodia, previsti dalla presente legge, saranno attuati entro un periodo di sette anni.

 

89. Norme abrogate.
Sono abrogati gli articoli 141, 142, 143, 144, 149 e l’ultimo capoverso dell’articolo 207 del codice penale, l’articolo 585 del codice di procedura penale nonché ogni altra norma incompatibile con la presente legge.

 

90. Esigenze di sicurezza.
[Quando ricorrono gravi ed eccezionali motivi di ordine e di sicurezza, il Ministro per la grazia e giustizia ha facoltà di sospendere, in tutto o in parte, l’applicazione in uno o più stabilimenti penitenziari, per un periodo determinato strettamente necessario, delle regole di trattamento e degli istituti previsti dalla presente legge che possano porsi in concreto contrasto con le esigenze di ordine e di sicurezza] (186).

(186)  Articolo abrogato dal comma secondo dell’art. 10, L. 4 ottobre 1986, n. 663, che, con il primo comma, ha aggiunto l’art. 41-bis alla presente legge
 

91. Copertura finanziaria.
All’onere derivante dall’attuazione della presente legge, valutato in lire 25 miliardi per l’anno finanziario 1975, si provvede mediante riduzione di pari importo dello stanziamento iscritto al capitolo 6856 dello stato di previsione della spesa del Ministero del tesoro per l’anno finanziario medesimo. 
Il Ministro per il tesoro è autorizzato a provvedere, con propri decreti, alle occorrenti variazioni di bilancio.

 TABELLA A (187)

Sedi e giurisdizioni degli uffici di sorveglianza per adulti

Ancona: tribunali di Ancona, Pesaro, Urbino.
Macerata: tribunali di Macerata, Ascoli Piceno, Camerino, Fermo.
Bari: tribunali di Bari, Trani.
Foggia: tribunali di Foggia, Lucera.
Bologna: tribunali di Bologna, Ferrara, Forlì, Ravenna, Rimini.
Modena: tribunale di Modena.
Reggio Emilia: tribunali di Reggio Emilia, Parma, Piacenza.
Brescia: tribunali di Brescia, Bergamo, Crema.
Mantova: tribunali di Mantova, Cremona.
Cagliari: tribunali di Cagliari, Oristano.
Nuoro: tribunali di Nuoro, Lanusei.
Sassari: tribunali di Sassari, Tempio Pausania.
Caltanissetta: tribunali di Caltanissetta, Enna, Nicosia.
Catania: tribunali di Catania, Caltagirone.
Siracusa: tribunali di Siracusa, Ragusa, Modica.
Catanzaro: tribunali di Catanzaro, Crotone, Nicastro, Vibo Valentia.
Cosenza: tribunali di Cosenza, Rossano, Castrovillari, Paola.
Reggio Calabria: tribunali di Reggio Calabria, Locri, Palmi.
Firenze: tribunali di Firenze, Arezzo, Prato, Pistoia.
Siena: tribunali di Siena, Grosseto.
Livorno: tribunale di Livorno.
Pisa: tribunali di Pisa, Lucca.
Genova: tribunali di Genova, Chiavari, Imperia. San Remo, Savona.
Massa: tribunali di Massa, La Spezia.
L’Aquila: tribunali di L’Aquila, Avezzano, Sulmona.
Pescara: tribunali di Pescara, Lanciano, Teramo,Vasto, Chieti.
Lecce: tribunali di Lecce, Brindisi, Taranto.
Messina: tribunali di Messina, Mistretta, Patti.
Milano: tribunali di Milano, Lodi, Mantova.
Pavia: tribunali di Pavia, Vigevano, Voghera.
Varese: tribunali di Varese, Busto Arsizio, Como, Lecco, Sondrio.
Napoli: tribunale di Napoli
Avellino: tribunali di Avellino, Ariano Irpino, Benevento, Sant’Angelo dei Lombardi
Campobasso: tribunali di Campobasso, Isernia, Larino.
Salerno: tribunali di Salerno, Sala Consilina, Vallo della Lucania.
Santa Maria Capua Vetere: tribunale di Santa Maria Capua Vetere.
Palermo: tribunali di Palermo, Termini Imerese.
Agrigento: tribunali di Agrigento, Sciacca.
Trapani: tribunali di Trapani, Marsala.
Perugia: tribunali di Perugia, Orvieto.
Spoleto: tribunali di Spoleto, Terni.
Potenza: tribunali di Potenza, Lagonegro, Matera, Melfi.
Roma: tribunali di Roma, Latina, Velletri, Civitavecchia.
Frosinone: tribunali di Frosinone, Cassino.
Viterbo: tribunali di Viterbo, Rieti.
Torino: tribunali di Torino, Asti, Pinerolo.
Alessandria: tribunali di Alessandria, Acqui, Tortona.
Novara: tribunali di Novara, Aosta, Biella, Verbania.(188)
Vercelli: tribunali di Vercelli, Casale Monferrato, Ivrea. (189)
Cuneo: tribunali di Cuneo, Mondovì, Saluzzo, Alba.
Trento: tribunali di Trento, Bolzano, Rovereto.
Trieste: tribunale di Trieste.
Udine: tribunali di Udine, Gorizia, Pordenone, Tolmezzo.
Venezia: tribunali di Venezia, Belluno, Treviso.
Padova: tribunali di Padova, Rovigo, Bassano del Grappa. 
Verona: tribunali di Verona, Vicenza

 

Tabella B (190)
Parametro Qualifica Organico
370 Educatore capo  41
297
255
Educatore principale 185
218
178
160
Educatore 184
Totale 410

 

(187) Tabella così sostituita dall’art. 14, L. 12 gennaio 1977, n. 1.
(188) Tabella così modificata dall’’art. 1 L. 5 febbraio 1992, n. 140.
(189) Tabella così modificata dall’art.1.L.5 febbraio 1992, b.170. 
(190) Sostituisce la tabella dell’organico del personale della carriera direttiva di servizio sociale, annessa all L.16 1962,n.1085.

 

 

Tabella D
Parametro Qualifica Organico
370 Assistente sociale capo 37
297
255
Assistente sociale principale 167
218
178
160
Assistente sociale 166
Totale 360

 

 


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