La rete Regionale degli Utenti, in merito alla proposta di legge 181 nata in seno al movimento Parole Ritrovate: a tutti gli effetti, il panorama della salute mentale, in Italia, appare ancora oggi, a 34 anni dalla legge 180, molto distante da un effettivo sviluppo di quei principi ispiratori da cui discendeva, non solo la chiusura dei manicomi, ma una complessiva e radicale riproposizione, in chiave liberatoria per quelli che venivano liquidati come “matti”, della questione “salute mentale”. Possiamo tranquillamente dire che, nonostante tale legge abbia aperto una nuova ed importantissima fase, di processi essenziali per l’emancipazione degli utenti che ha generato in alcuni modelli vere e proprie eccellenze, più in generale ed in relazione ad alcune regioni d’Italia in particolare, le buone pratiche della salute mentale siano ancora un miraggio. La valenza complessiva e il senso profondo dell’opera di Basaglia non ha ancora, secondo noi, trovato terreno fertile per attechire, per lo meno nella maggior parte del territorio italiano ed è questo sostanzialmente il problema di fondo, la ragione per cui probabilmente è emersa come esigenza la proposta della legge 181. In realtà, ci sembra che basti semplicemente applicare bene la 180, evitando trappole, intoppi, errori di percorso che si manifestano a causa di una mancata aderenza da parte delle istituzioni a quel disegno tracciato sapientemente da Basaglia; infatti dove questo avviene, assistiamo ad un “altra” cura del cittadino-utente a testimonianza che non è necessaria una nuova legge ma basta adottare quella già esistente. Il lavoro che invece noi ci impegniamo a portare avanti e che esortiamo tutti a sostenere e diffondere è quello di rivendicazione, rivendicazione non fine a sé stessa ma di tensione verso una rigorosa applicazione della 180. Inoltre vogliamo brevemente spiegare quali sono le nostre obiezioni rispetto alla nuova proposta di legge che si pone come obiettivo sostanziale di andare a definire meglio, nel dettaglio, alcuni aspetti rimasti in sospeso nella 180. Come già detto, pensiamo che questo approccio sia ingannevole e nebuloso e possa determinare, contrariamente alle intenzioni, confusione perché non solo non specifica ciò che è già di partenza nitido ma getta delle ombre e compromette alcuni aspetti di conquista attuati da parte degli utenti: ad esempio il ruolo del cittadino-utente negli ambiti di cura della sofferenza psichica. Noi conveniamo che l’utente possa assumere un ruolo attivo e di protagonismo nel DSM, anzi lo auspichiamo vivamente. Pensiamo che però sia fondamentale, onde evitare di cadere nel tranello del paternalismo di cui i servizi si fanno spesso portatori, che questo avvenga all’interno di uno specifico progetto, ad esempio quello del “facilitatore sociale”. Il “facilitatore sociale” è una figura professionale a tutti gli effetti che opera nella salute mentale con precisi compiti ed una regolare contrattualità e, anche se ancora poco riconosciuto, è un operatore con specifiche attitudini e mansioni spesso sottovalutate. Noi vorremmo invece ribadire l’importanza di questa figura professionale e sottolinearne la validità affinchè venga socializzata l’esperienza di queste persone che a partire dal disagio hanno potuto costruire un percorso di autonomia e si sono messi al “servizio” di altri utenti in difficoltà. Sono operatori che lavorano in diversi ambiti, nel progetto personalizzato, nei gruppi-appartamento, in centri di socializzazione e riabilitazione e che, inquadrati debitamente, in un contesto multidisciplinare, potrebbero operare anche presso il DSM. La nostra è quindi una posizione critica e di continuo monitoraggio rispetto ai servizi e che, diversamente da “parole ritrovate” che riconosciamo comunque come una importantissima risorsa, si pone nei confronti del DSM anche con l’obiettivo di affermazione e vigilanza sui diritti dei cittadini-utenti perché è nostra convinzione che non sia attraverso una nuova legge che si possano raggiungere le buone pratiche nella salute mentale ma che ci sia bisogno di una presenza costante, critica e costruttiva a difesa degli utenti, portata avanti, nel nostro caso, dagli utenti stessi su questioni già ampiamente definite dalla 180. In questo senso, ad esempio, la proposta di una Consulta all’interno del DSM con una presenza assolutamente minoritaria da parte delle associazioni, come proposto dalla 181, ci appare del tutto contraddittoria e lesiva dei pari diritti.

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