di Paola Porciello

Le due storiche facoltà vengono assorbite in Medicina II: un modo per anticipare le direttive contenute nella riforma Gelmini. La scelta dell’ateneo è accolta con perplessità e polemiche dagli psicologi

Le due storiche facoltà di Psicologia a Roma vengono assorbite da quella di Medicina II, per effetto della riforma adottata dall’Università La Sapienza il primo novembre scorso. Approvata in tempi record dal Senato accademico, la riforma prevede la riduzione di facoltà e dipartimenti per riorganizzare l’offerta formativa. Vengono modificate in maniera sostanziale Medicina, Psicologia e tutte le facoltà di area umanistica, mentre a Giurisprudenza, Economia e Ingegneria cambia poco. Le novità riguardano solo l’ateneo romano e anticipano le direttive della riforma Gelmini che – vista la situazione politica – non è ancora chiaro se verrà mai approvata.

Per chi non appartiene alle facoltà più colpite dalla riforma, è difficile comprenderne la portata. Il cambiamento di maggiore significato simbolico e sostanziale, è quello che riguarda la nuova facoltà di Medicina e Psicologia, creata dall’accorpamento di Psicologia I, Psicologia II e Medicina II. Gli psicologi sono in fibrillazione per le ripercussioni che potrebbe avere questa fusione sulla loro identità professionale, e si preparano a scendere in piazza. Tra i più scettici c’è Nicola Piccinini, consigliere dell’Ordine degli Psicologi del Lazio e animatore di una delle principali web community italiane di settore, dove è esploso il dibattito su modi, tempi e opportunità di questa riorganizzazione.

Il professor Francesco Avallone, prorettore vicario della Sapienza, difende l’assorbimento di psicologia dentro medicina: “Quelle degli psicologi sono preoccupazioni infondate perché l’accorpamento non intaccherà in alcun modo la loro autonomia professionale. La riforma si propone unicamente di dare all’università maggiori strumenti per un’efficace ‘valutazione’ di se stessa”. Per raggiungere questo scopo, infatti, ruoli e competenze di facoltà e dipartimenti vengono invertiti: “Le facoltà valuteranno i risultati della ricerca e della didattica, che diventano di competenza dei dipartimenti”. Spiega ancora Avallone: “L’accorpamento si rende poi necessario per la mancanza di risorse che, impedendo il ricambio dei docenti che vanno in pensione, rischiava di far scomparire alcuni dipartimenti”.

Forse, però, gli stessi risultati non potevano essere raggiunti con scelte meno drastiche e invasive. Una delle opzioni poteva essere accorpare le due facoltà di Psicologia (come è stato fatto per quelle di Architettura), raggiungendo in questo modo gli obiettivi di contenimento dei costi e razionalizzazione della didattica.

Il tema è delicato, e i vertici dell’ateneo sanno che i rapporti tra medici e psicologi sono da sempre complessi. Da quando è nata, alla fine dell’Ottocento, la Psicologia ha dovuto faticare molto per trovare il suo posto tra i saperi. Resistendo alternativamente alle etichette riduttive di “scienza medica” o “scienza umanistica”, la psicologia si è guadagnata negli anni una sua autonomia di intervento in diversi settori come l’educazione, lo sport, il lavoro, il tutoring, l’integrazione culturale, la formazione. La componente “medica” di una disciplina che si occupa anche del disagio mentale, è quindi solo uno dei suoi campi d’interesse. Per questo l’accorpamento con Medicina rischia di far passare l’idea di una psicologia appiattita sugli aspetti medici, di cura, trasformando lo psicologo in un medico “di serie B”, come denunciano coloro che non approvano la scelta fatta dalla Sapienza.

Il professor Avallone, però, bolla ogni critica come “infondata” o “strumentale”. Quel che è certo è che questa riforma stravolge dalle fondamenta un assetto faticosamente guadagnato dagli psicologi con non poche battaglie. Le prime ricadute concrete intanto si faranno sentire già dal prossimo anno accademico: le matricole di psicologia, spiegano i docenti, passeranno da 1200 a 600, e i corsi di laurea triennali da cinque a due.

(da Il Fatto Quotidiano)

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