La sentenza della Cassazione, annullando la precedente ordinanza del Tribunale che non riteneva di sospendere i medici del servizio di Vallo della Lucania, a chiare lettere non riconosce il carattere “eccezionale, episodico, contingente” alla prolungata contenzione fisica del sig. Mastrogiovanni (contenzione che ne ha provocato il decesso) e afferma pure  la  diffusa violazione di norme penali, di norme sanitarie, di regole di rispetto della dignità umana nel:

A. Legare e lasciar legato, ai polsi e ai piedi al letto di degenza, un uomo (il M.), per più di 36 ore, dal X. , senza controllare e curare le naturali e prevedibili piaghe da decubito, senza dargli acqua e cibo, in condizioni quindi disumane

B. Legare e lasciar legato un uomo (il Ma.) dalle ore 11,50 del X. alle 9,12 del X. , senza assistenza e senza dissetarlo, in stagione estiva, costringendolo a straordinarie manovre autodifensive da giocoliere (“tanto che egli solo fortunosamente nel corso delle notte riusciva a bere dell’acqua da una bottiglia… prima avvicinando il tavolino con un piede poi facendo cadere la bottiglia e in seguito addentandola con la bocca e riuscendo in tal modo a bere qualche sorso di acqua”).

In allegato la sentenza scaricabile, di seguito il testo con le parti evidenziate, per pronta evidenza

SENTENZA DELLA CASSAZIONE SULLA VICENDA FRANCO MASTROGIOVANNI _2_

 

Cassazione Penale – Sez. V; Sent., n.34961 del 27.09.2010

Omissis

Svolgimento del processo 

La procura presso il tribunale di Vallo della Lucania, ha presentato ricorso avverso l’ordinanza del tribunale di Salerno, emessa ex art. 310 c.p.p. il 26.2.10, con la quale, in accoglimento dell’appello proposto dai medici del reparto di psichiatria di X. , D.G.M., B.R., Ba.Ra., M.A., D.P.M., R.A.A., avverso l’ordinanza 18.1.2010 del Gip dello stesso tribunale, applicativa della misura interdittiva di sospensione da professione medica per 2 mesi, ex art. 289 c.p.p., ha annullato il predetto provvedimento.

Il procedimento ha ad oggetto i seguenti reati:

delitto ex art. 479 c.p., per aver formato una cartella clinica falsa, riguardante il ricovero per trattamento sanitario obbligatorio di M.F. e il ricovero volontario di Ma.Gi., nella quale non davano atto che costoro, erano stati legati al letto con fasce di contenzione ai piedi e alle manufatto commesso in X. , dal X. ;

delitto ex art. 605 c.p., per aver privato M.F. e Ma.Gi. della libertà personale, disponendo che costoro venissero legati al letto di degenza con fasce di contenzione ai piedi e alle mani, senza alcuna interruzione e senza che venissero mai slegati, quanto al M., per più di tre giorni, dal X. , senza effettuare visite di controllo sulle ferite riportate a causa della contenzione e senza curare le ferite, senza dargli acqua nè cibo, ma solo idratandolo con flebo;

quanto al Ma. (legato ai polsi dalle ore 11,50 del X. alle 9,12 del X. ), senza fornirgli adeguata assistenza, tanto che egli, solo fortunosamente nel corso della notte, riusciva a bere dell’acqua da una bottiglia appoggiata su un tavolino, prima avvicinando con un piede, poi facendo cadere la bottiglia ed in seguito addentandola con la bocca e riuscendo a bere qualche sorso d’acqua;

delitto ex art. 586 c.p., (morte come conseguenza di altro delitto) per aver cagionato la morte del M. deceduto, alle ore 1,35 del X. , per edema polmonare acuto, a seguito della condotta di cui all’art. 605 c.p. e con negligenza, imperizia e imprudenza, consistite nella condotta costitutiva del delitto di sequestro di persona, in grado di prostrare il corpo del paziente sino a condurlo alla morte.

I motivi del ricorso sono i seguenti :

1. violazione di legge in riferimento all’art. 178 c.p., lett. b), art. 310 c.p., comma 2, art. 127 c.p., commi 1, 3 e 5.

Il tribunale, in via preliminare su eccezione della difesa, ha escluso dall’udienza camerale il p.m. presso il tribunale di Vallo della Lucania, che aveva chiesto l’applicazione della misura interdittiva, e ha consentito la partecipazione del p.m. presso il tribunale del riesame.

La decisione è basata, secondo il ricorrente, su una decisione sez. 5, n. 7114 del 22.12.1998, secondo cui il p.m. “ripete” la sua competenza dal giudice presso il quale esercita le sue funzioni e questo principio generale – in difetto di una disposizione in senso contrario – trova applicazione anche per la partecipazione all’udienza e per il diritto all’impugnazione, nei procedimenti incidentali relativi alla misure cautelari.

Pertanto, qualora il legislatore adoperi la generica espressione “il pubblico ministero”, la stessa deve ritenersi diretta al solo rappresentante della pubblica accusa presso l’ufficio competente nel procedimento incidentale. Pertanto anche quando il riesame o l’appello hanno ad aggetto provvedimenti emessi da altri organi giudiziali è il p.m. presso il tribunale del procedimento incidentale ad essere legittimato a partecipare all’udienza camerale e a proporre l’eventuale impugnazione. Secondo il ricorrente, il richiamo alla suddetta sentenza è inappropriato ed è anche frutto di un’errata redazione della massima: dalla lettura della motivazione emerge che la decisione riguarda il riesame di un provvedimento reale e che essa è fondata proprio sulla diversità di disciplina delle misure reali rispetto a quelle personali. La sentenza,cioè, pone in rilievo che, nelle misure reali, la congruità dell’esclusione del p.m. che aveva chiesto il provvedimento dalla partecipazione all’udienza camerale – qualora esso fosse diverso da quello presso il giudice del gravame – poteva evincersi dalla circostanza che, in occasione della riforma intervenuta sul punto con il D.L. n. 533 del 1996, solo per le misure personali era stata prevista (modificando l’art. 311 c.p.p.) la possibilità del ricorso per Cassazione anche per il pm non distrettuale, mentre per le misure reali il legislatore aveva ritenuto di riaffermare il principio non modificando l’art. 324 c.p.p..

Vi era quindi una coerenza reale del sistema, che prevede solo per il pm distrettuale la facoltà di partecipare all’udienza del riesame in sede reale (a questi solo va comunicato l’avviso dell’udienza) e la facoltà di impugnare per Cassazione la decisione adottata.

La ratto legis della riforma del 1996 emerge dai lavori preparatori, secondo i quali l’attribuzione al tribunale distrettuale della competenza in materia di impugnazioni de libertate ha accentuato l’esigenza di garantire l’effettività del contraddicono, segnatamente in rapporto alla difficoltà che il p.m. distrettuale, se diverso da quello che ha chiesto la misura, può incontrare, specialmente nel procedimenti complessi. A fronte di ciò, il cit.

Decreto Legge, art. 2, lett. b), che il p.m. che ha chiesto il provvedimento possa partecipare all’udienza camerale in luogo di quello di quello distrettuale, riconoscendo al primo, quale organo direttivo della fase delle indagini preliminari, una naturale “vocazione” a patrocinare le ragioni dell’accusa. Questa scelta del legislatore è stata disconosciuta dal tribunale del riesame di Salerno, escludendo dalla partecipazione all’udienza proprio il p.m. che ha seguito le indagini e che meglio poteva sostenere le ragioni dell’accusa.

Il mancato richiamo nell’art. 310 c.p.p., dell’art. 309 c.p.p., comma 8 bis, non è espressione della volontà del legislatore di escludere il p.m. non distrettuale dall’udienza di appello (volontà che è anzi diretta in senso opposto), ma è solo il risultato di un difetto di coordinamento al quale è possibile rimediare attraverso i comuni canoni dell’interpretazione storica e sistematica. L’ordinanza va quindi annullata per nullità del procedimento all’esito del quale è stata pronunciata, nullità che deriva dalla lesione degli interessi e delle facoltà della pubblica accusa. Una diversa interpretazione determinerebbe dubbi di legittimità costituzionale del disposto ex art. 310 c.p.p., per contrasto con l’art. 111 Cost., comma 2 e art. 112 Cost.: per le misure interdittive non è previsto il riesame e quindi il pm non distrettuale si troverebbe in una posizione di disparità rispetto alla disciplina delle misure coercitive. Mentre per queste ultime, egli potrebbe partecipare all’udienza di appello, non avrebbe uguale facoltà per le misure interdittive, per le quali questo gravame riveste la medesima funzione del riesame, essendo previsto anche avverso il provvedimento applicativo della misura.

2. omissione, manifesta illogicità, contradditorietà della motivazione.

L’ordinanza – dopo aver riconosciuto l’esistenza di gravi indizi di colpevolezza in ordine a tutti i reati contestati (fatta eccezione per il dirigente sanitario D.G.M.) – ha escluso la sussistenza del pericolo della recidiva, ritenendo che il Gip si era automaticamente rimesso alle argomentazioni del pm, senza alcun vaglio critico e concludendo che non sussistono comunque elementi (inferibili ad esempio da precedenti penali indicativi di responsabilità professionale in casi analoghi) dai quali ricavare che gli indagati, inseriti in altro contesto lavorativo meglio organizzato e funzionale, possano porre in essere nuove condotte sussumibili nei reati contestati. Secondo il ricorrente, il tribunale non ha tenuto conto dei risultati delle indagini di polizia giudiziaria – contenuti nella richiesta di applicazione della misura, che, attraverso le dichiarazioni di altri ricoverati, hanno condotto ad accertare che le condotte degli indagati sono espressione di un generale e illecito modo di gestire il reparto di psichiatria dell’ospedale di X. .

Oltre ai due casi di M. e Ma. – immediatamente emergenti dalle registrazioni realizzate dal circuito televisivo interno – sono stati ricostruiti altri fatti attraverso le dichiarazioni di 30 pazienti, già ricoverati in regime di TSO e per i quali risultava in cartella l’utilizzo di mezzi di contenzione.

Sono stati esaminati pazienti ricoverati in TSO, individuati a campione nel periodo X. , per i quali non risultava dalla cartella clinica l’utilizzo di mezzi di contenzione:

cinque hanno affermato di essere stati sottoposti per periodi e modalità differenti, a mezzi di contenzione.

Tra coloro che hanno dichiarato di non essere stati sottoposti a mezzi di contenzione, alcuni hanno indicato la sottoposizione a mezzi di correzione di altri ricoverati ed è stato ricostruito il tempo e la durata del loro ricovero: in alcuni periodi risultava l’utilizzazione di mezzi di contenzione annotata in cartelle cliniche, in altri periodi (relativi a specialmente a una paziente) non è risultato questo tipo di annotazioni.

La motivazione è quindi incompleta e non tiene conto di tutti i risultati delle indagini dettagliatamente indicati nella richiesta di misura cautelare.

La motivazione dell’ordinanza impugnata è anche manifestamente illogica, in quanto, da un lato, in essa è preliminarmente affermato di non voler dare rilievo, ai fini dell’accertamento delle esigenze cautelari, ad aspetti della carenza di organizzazione e della sottodimensionamento dell’organico; dall’altro è affermato che la predisposizione di una diversa organizzazione e ulteriori risorse umane – proiettate in un futuro eventuale e indipendente dalla volontà degli indagati – possono influire negativamente sull’attuale pericolo di recidiva.

Comunque, anche dando per ammesso che la gravi condotte siano state poste in essere in ragione “delle condizioni strutturali del nosocomio”, non vi è allo stato alcun dato dal quale dedurre che tali condizioni siano mutate e che gli indagati a causa di tale mutamento si asterranno in futuro dal commettere condotte di questo tipo.

Ugualmente viziata è la motivazione dell’ordinanza con riguardo all’esclusione dei gravi indizi di colpevolezza nei confronti del dirigente sanitario D.G.. Il tribunale ha affermato che non sono stati offerti elementi dimostrativi di omissioni nell’esercizio dei poteri-doveri a lui attribuiti dalla normativa vigente, nè sono state esaminate approfonditamente le dichiarazioni difensive dell’indagato. Non ha così tenuto conto della dimostrazione delle seguenti violazione di questi doveri:

  • non ha dato al personale medico e agli infermieri informazioni e direttive per il trattamento di pazienti sottoposti a contenzione;
  • non ha istituito il registro delle contenzioni;
  • ha delegato i poteri a uno dei coindagati ( B.R.) con atto non riconosciuto dalla ASL o dall’ospedale e smentito dallo stesso B..

Con riguardo all’affermato congedo nei giorni di ricovero del M., esso è stato comunicato agli investigatori solo dopo esser venuto a conoscenza della richiesta di misura interdittiva nei suoi confronti e comunque risulta dalle registrazioni delle telecamere del circuito interno la sua presenza nella camera del M., mentre parlava e visitava il paziente. Va infine rilevato che in data 25.2.10 il Gip ha trasmesso al p.m. una nota del NAS CC di Salerno, in cui si comunica che F.G. è stato sorpreso, durante il periodo di sospensione, mentre svolgeva attività di infermiere presso una casa albergo per anziani, a causa della quale è stato denunciato, unitamente al titolare della struttura, per maltrattamenti di persone incapaci per malattia di mente, di corpo, di vecchiaia, a loro affidate per vigilanza e custodia, abbandonandole a se stesse, in regime di costrizione fisica e/o rinchiudendole in stanze chiuse a chiave.

Nell’interesse di D.P.M., in data 28.5.10, è stata depositata memoria difensiva, con la quale si afferma la legittimità della decisione del tribunale di Salerno, rilevando che a) la misura interdittiva disposta nei confronti del D.P. consentiva il solo rimedio dell’appello, con la conseguenza che, all’udienza fissata, unico rappresentante della pubblica accusa, legittimato a partecipare all’udienza era solo il p.m. distrettuale. Il difensore richiama l’orientamento interpretativo secondo cui, in base alla disciplina generale relativa alla distribuzione delle funzioni tra i vari uffici del p.m., di cui all’art. 51 c.p.p., la regola di competenza funzionale degli stessi è di carattere derivato, in quanto sempre connessa a quella del giudice presso il quale l’ufficio giudiziario competente è costituito (sez. 1, n. 2655 del 14.5.1997).

Ne consegue che, in assenza di una disciplina derogatoria(come quella di cui all’art. 309 c.p.p., commi 8 e 8 bis), la competenza a richiedere l’appello di cui all’art. 310 c.p.p. (che non richiama i commi 8 e 8 bis) è il p.m. presso il tribunale competente a decidere sull’appello medesimo, il quale pertanto ha diritto di ricevere avviso di fissazione di udienza camerale. Secondo la difesa, è pacifico quindi che il p.m. ricorrente non poteva partecipare all’udienza di appello dinanzi al tribunale di Salerno, in quanto la stessa sentenza citata dal tribunale definisce eccezionale la norma di cui all’art. 309 bis c.p.p. e, come tale, non suscettibile di applicazione analogica o estensiva. Quanto al secondo motivo del ricorso, concernente le esigenze cautelari e diretto sulla motivazione dell’ordinanza impugnata, il difensore rileva che, in base all’art. 311 c.p.p. e all’elencazione dei casi di ammissibilità ex art. 606 c.p.p., il ricorso per Cassazione può essere presentato solo per motivi di legge e non per errata valutazione dei fatti già oggetto dell’esame del giudice di merito.

Mentre in sostanza il p.m. ha chiesto una rilettura dei singoli atti di indagine.

In ogni caso il tribunale ha correttamente rilevato che non vi sono elementi, inferibili a precedenti penali per casi analoghi, dai quali ricavare che gli indagati, inseriti in qualunque altro contesto lavorativo meglio organizzato e funzionale, possano porre in essere nuove condotte sussumibili nei reati contestati. Va poi tenuto specificamente conto che D.P. e R. non sono neppure adibiti a funzioni nelle quali è previsto il ricovero di pazienti (volontario o TSO) ma solo a quelle di tipo ambulatoriale in strutture diverse da quelle in cui si sono consumati i fatti. Secondo il difensore la motivazione dell’ordinanza impugnata non si presenta viziata da illogicità, anche in considerazione del fatto che il D.P. è dipendente della ASL di X. e svolge la sua attività presso i servizi territoriali del Centro salute mentale di X. , in cui svolge visite ambulatoriali e territoriali e solo saltuariamente era chiamato a integrare qualche turno , sopperendo a carenze di personale.

Il p.m. ricorrente non ha poi tenuto conto che sono state depositate certificazioni dalla quel si evince che il reparto psichiatri dell’Ospedale di X. era stato chiuso, con la conseguenza che, in concreto, nessuno degli indagati avrebbe potuto reiterare tali comportamenti.

E’ del tutto fuori norma,infine, il richiamo a un fatto successivamente accertato dai NAS dei CC, riferito con nota 25.2.10, riguardante l’infermiere F., in quanto il giudizio di diritto che caratterizza la presente fase processuale non consente l’introduzione di nuovi elementi di prova in data odierna, il difensore di M.A., ha depositato memoria, il cui esame va escluso per inosservanza dei termini ex art. 611 c.p.p..

Motivi della decisione

Il primo motivo del ricorso non merita accoglimento, in quanto l’interpretazione della disciplina sulla presenza del pubblico ministero all’udienza camerale ex art. 310 c.p.p. non può non tener conto che:

1. la competenza funzionale dell’ufficio del rappresentante della pubblica accusa, ex art. 51 c.p.p., in via generale, si uniforma alla regola del suo carattere derivato, nel senso che tale competenza è normalmente connessa a quella del giudice presso il quale esercita le sue funzioni;

2. La inosservanza di tale regola generale può essere invocata solo in presenza di una specifica manifestazione della volontà di deroga, da parte del legislatore.

3. Tale volontà derogatoria è stata manifestata dal legislatore esclusivamente con la norma introdotta dalla riforma del D.L. n. 553 del 1996, che prevede, solo nel procedimento del riesame di misure cautelari personali, la possibilità per il pubblico ministero che ha chiesto la misura cautelare, di sostituire nell’udienza camerale il pubblico ministero distrettuale.

4. Il carattere eccezionale di questa disposizione è incompatibile con una sua applicazione analogica o estensiva.

5. Questa diversità di disciplina tra procedimento di appello, in caso di misura cautelare personale, e procedimento cautelare, in caso di misura interdittiva, è razionalmente giustificata;

a) dalla diversità di incidenza dei due tipi di misure sulla libertà personale dell’indagato e sulle garanzie del corretto svolgimento del procedimento;

b) dalla diversità di garanzia da riconoscere, nei due tipi di provvedimenti, all’effettività del contraddittorio tra le parti.

Quanto alle osservazioni critiche sulla motivazione dell’ordinanza concernente l’insussistenza dell’esigenza cautelare della recidiva, si osserva, in via di premessa, che l’ordinanza ricostruisce, in maniera pienamente fedele alle risultanze processuali e in maniera assolutamente corretta sul piano della loro razionale valutazione, l’illiceità dei fatti relativi ai ricoverati M. e Ma. e la sussistenza di gravi indizi a carico dei medici succedutisi nel turno in ordine ai reati contestati: essi avevano l’obbligo deontologico e professionale di valutare la sussistenza delle condizioni atte a proseguire il trattamento di contenimento in atto e di registrarne l’applicazione laddove non già registrata nella cartella clinica del paziente e ciò indipendentemente dal loro inserimento organico nella struttura sanitaria.

Va anche rilevato che la ricostruzione si è sviluppata con particolari, che, per spessore trasgressivo ed estensione temporale, sono incompatibili con il carattere eccezionale, episodico, contingente del trattamento illecito.

E’ difficile riconoscere – in assenza di dimostrati eventi destabilizzanti l’ordine costituito, fissato da medici e infermieri all’interno del reparto di psichiatria dell’ospedale di X. – il carattere di straordinarietà ai seguenti trattamenti:

A. Legare e lasciar legato, ai polsi e ai piedi al letto di degenza, un uomo (il M.), per più di 36 ore, dal X. , senza controllare e curare le naturali e prevedibili piaghe da decubito, senza dargli acqua e cibo, in condizioni quindi disumane, manifestamente contrastanti con regole giuridiche e regole sedimentate nella prassi comune delle strutture sanitarie, oltre che nel quotidiano vivere civile.

B. Legare e lasciar legato un uomo (il Ma.) dalle ore 11,50 del X. alle 9,12 del X. , senza assistenza e senza dissetarlo, in stagione estiva, costringendolo a straordinarie manovre autodifensive da giocoliere (“tanto che egli solo fortunosamente nel corso delle notte riusciva a bere dell’acqua da una bottiglia… prima avvicinando il tavolino con un piede poi facendo cadere la bottiglia e in seguito addentandola con la bocca e riuscendo in tal modo a bere qualche sorso di acqua”).

Dalla gravità, dalla pluralità, dall’estensione temporale di questi fatti sorge naturalmente l’interrogativo: si è verificato un eccezionale contrasto di queste condotte con le norme dello Stato o si è verificato un consolidato contrasto tra norme dello Stato e le norme dell’ordine interno della struttura sanitaria?.

La seconda alternativa immediatamente pone il problema del pericolo di reiterazione di questi fatti.

A far propendere per questa conclusione sono indubbiamente da esaminare i risultati delle indagini di polizia giudiziaria, da dove risulta che, al di là di quanto è accaduto a M. e Ma., altri pazienti hanno segnalato anomalo e illegittimo ricorso di strumenti di contenzione a se stessi o ad altri e in alcuni casi tale trattamento non era stato annotato nella cartella clinica. Nei motivi vengono elencati date e contenuti delle deposizioni di pazienti e i relativi accertamenti effettuati sulla documentazione reperita presso l’ospedale; da essi deriva la conferma della non eccezionalità dei due fatti inizialmente ricostruiti e della diffusa violazione di norme penali, di norme sanitarie, di regole di rispetto della dignità umana. Trova conferma l’ipotesi che le trasgressioni accertate sulla persona di M. e Ma. hanno costituito violazione dell’ordine costituito, in vigore nel territorio nazionale, ma non hanno costituito violazione dell’ordine imposto o osservato dagli addetti all’assistenza medica dei ricoverati nel reparto di psichiatria del ospedale di X. .

La totale assenza di rilievo a questi dati storici, ottenuti grazie ad indagini di polizia giudiziaria e quindi il forte vuoto motivazionale dell’ordinanza impugnata costituiscono la premessa per un ulteriore vizio della esposizione delle ragioni poste a base dell’esclusione delle esigenza di prevenzione speciale. Tale esclusione è fondata sul nesso causa/effetto stabilito dall’ordinanza tra “situazioni fortemente emergenziali” dell’organizzazione del servizio nell’ospedale – derivanti dal documentato sottodimensionamento dell’organico del personale medico e paramedico – e le condotte ascritte agli indagati.

Al di là del non originale modo di attenuare i rilievi critici a fenomeni di illegalità diffusi, realizzato attraverso la chiamata in causa della responsabilità del contesto- tralucentesi in una generalizzata presunzione di giustificazione ed impunità dei singoli -, va rilevato che questa valutazione non è corrispondente alle risultanze processuali e alla loro logica interpretazione, in quanto:

1. non risulta che il sottodimensionamento del personale del reparto sia stato superato da nuove assunzioni o da riduzioni di ricoverati;

2. non risulta da nessun dato finora emerso nelle indagini che M. e Ma. siano stati trattati nel modo accertato perchè mancava il numero minimo necessario a svolgere le istintive elementari, ineludibili attività di assistenza e cura, a tutela della dignità e della incolumità di due esseri umani malati.

3. non risulta che la chiusura del reparto – attestata dalla documentazione prodotta da D.P. – sia frutto di una libera determinazione della competente autorità, apparendo invece una scelta imposta dalla difficoltà di reperire personale, durante l’esecuzione della misura interdittiva in esame.

4. In assenza di questi dati e in presenza delle caratteristiche delle condotte in danno dei due malati è imprescindibile la presunzione che questo modo di agire rientra nel bagaglio professionale degli indagati, presunzione che si traduce nella sussistenza dell’esigenza ex art. 274 c.p.p., lett. c).

Anche accettando, in via di mera ipotesi, l’asserita responsabilità, a monte, della disfunzione del sistema sanitario nazionale – superabile, secondo l’ordinanza, con “le opportune segnalazioni alle Autorità competenti” – va rilevato che la stessa ordinanza osserva che tale situazione non legittima “una progressiva scadenza della qualità del servizio sanitario offerto, con inaccettabile compressione di ogni diritto del malato già costretto al ricovero in una struttura qualificabile come ospedale e poi ancora posto in un regime di ricovero ripugnate per qualsiasi essere umano”. Posto che non risulta che alcuna segnalazione sia partita dal reparto di psichiatria dell’ospedale di X. e posto che il personale sanitario dell’ospedale ha accettato di mantenere in funzione questo regime inaccettabile e ripugnante, è impossibile escludere, anche sotto il profilo più favorevole agli indagati, la sussistenza della presunzione negativa ex art. 274 c.p.p., lett. c).

Inoltre nella valutazione del tribunale è riscontrabile un contrasto insanabile sul piano logico – e comunque non sanato sul piano fattuale – con la premessa descrizione della misura di contenzione, indicata dal tribunale come atto sanitario assistenziale che, in quanto costituente illecito penale (limita la libertà di movimento della persona senza il suo consenso) non è punibile, qualora l’autore vi sia costretto dalla necessità di salvare sè o altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona, pericolo non da lui volontariamente causato, nè altrimenti evitabile, sempre che il fatto sia proporzionato al pericolo. Il tribunale di Salerno ha comunque precisato che lo stato di necessità – proprio in virtù dell’immanenza, della non evitabilità del pericolo e della proporzionalità della limitazione della libertà – non potrà mai essere invocato “per sopperire a carenze organizzative”.

Il richiamo alle responsabilità apicali di questa vicenda, introduce la questione della sussistenza di fattori indiziari, ex art. 273 c.p.p., a carico del direttore sanitario del reparto, D.G. M..

Anche in questo punto è ravvisabile l’ingiustificata omissione, da parte del tribunale, dell’esame e della valutazione degli elementi emersi nel corso delle indagini ed evidenziati dalla pubblica accusa.

Agli atti sono acquisite le dichiarazioni dimostrative della sua violazione del potere – dovere di fornire a tutto il personale del reparto informazioni di carattere programmatico, per un efficiente svolgimento dell’attività sanitaria, con particolare riguardo al più difficile e delicato atto sanitario assistenziale, costituito dalla misura di contenzione, di cui sono universalmente noti i pericoli di sconfinamento nel trattamento disumano e nell’illecito penale. Risulta anche dagli atti l’omessa istituzione di una documentazione (il registro delle contenzioni) correlata al processo dinamico, proprio di questo trattamento, e funzionale all’esigenza di un sua continua rivalutazione, sia nel perseguimento dei suoi obiettivi, sia nei suoi standard procedurali. Quanto alla delega al dottor B., affermata dal D.G., manca l’esame delle seguenti emergenze rinvenibili negli atti, che ne smentiscono la sussistenza.

1. il dottor B. nega di aver ricevuto questa delega;

2. la delega non è mai stata riconosciuta dall’organo competente.

Nessun rilievo viene dato e nessuna argomentazione viene formulata dal tribunale sulla fondatezza o meno della tesi prospettata dall’accusa, secondo cui il congedo del dirigente – la cui durata coincide con i giorni di ricovero del M. – corrisponda non a un dato storico ma a un elemento della strategia difensiva, costruita nel corso delle indagini. Nè viene esaminata la circostanza della presenza del D.G. nella camera di M. dimostrata dalle registrazioni del circuito televisivo interno. Gli argomenti prospettati dal difensore del D.P., in ordine alla inammissibilità del ricorso del pubblico ministero, in relazione alle esigenze cautelari non sono condivisibili, alla luce dei rilievi critici, sin qui formulati sull’assenza e sulla contraddittorietà della motivazione sul punto.

Quanto alla specifica posizione del D.P. – solo saltuariamente chiamato ad integrare qualche turno, sopperendo a carenze del personale, per mansioni di tipo ambulatoriale in strutture diverse da quelle in cui sì sono consumati i fatti – si rileva che l’ordinanza impugnata ha messo in evidenza come la violazione della normativa – realizzata con l’illegittimo protrarsi della misura della contenzione in danno del M. – è stata commessa da tutti i medici – in organico e fuori organico – che si sono succeduti nei rispettivi turni di servizio: questa situazione di illegittimità è stata mantenuta, “senza soluzione di continuità sotto il progressivo controllo di tutti gli indagati” in assenza di ogni indicazione in cartella clinica e senza la predisposizione della dovuta annotazione, o senza interrompere la contenzione, per porre in essere le attività prodromiche all’eccezionale trattamento, e per ripristinarlo solo all’esito del fallimento delle best practices.

L’ordinanza mette anche in luce come la violazione della legalità è stata proseguita, senza soluzione di continuità, al di là dei limiti prescritti, anche per responsabilità del D.P., che, seppure in servizio per un limitato arco temporale, era a conoscenza che il paziente era già contenuto,in assenza di ogni annotazione per un esorbitante periodo di coercizione. Proprio dalla documentazione prodotta dal D.P., emerge, secondo una corretta e razionale valutazione del tribunale, l’assenza dello stato di necessità, a giustificazione dell’illecito trattamento sanitario.

La mancanza di rilievo al risultato delle successive indagini del NAS dei Carabinieri di Salerno sul F., non incide sul quadro storico e sulla sua valutazione si qui esposti.

La fondatezza dei motivi del ricorso del pubblico ministero presso il tribunale di Vallo della Lucania comporta l’annullamento dell’ordinanza, in ordine all’affermata insussistenza degli indizi, ex art. 273 c.p.p., a carico di D.G.M. e all’affermata insussistenza dell’esigenza cautelare, ex art. 274 c.p.p., lett. c), nei confronti di tutti gli indagati, con rinvio al tribunale di Salerno per nuovo esame, da effettuare in base ai rilievi critici qui esposti.

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio per nuovo esame al tribunale di Salerno.

Fonte:

http://www.dirittosanitario.net/newsdett.php?newsid=1937

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