COMUNICATO STAMPA

La vendita all’asta dei beni confiscati alle mafie rischia di vanificare gli effetti concreti della legge 109 e ne tradisce il valore simbolico e culturale Dichiarazione di Paolo Beni, presidente nazionale Arci e Alessandro Cobianchi, responsabile area legalità democratica L’emendamento alla Finanziaria approvato in Senato, con cui si consente la vendita all’asta dei beni immobili confiscati alle mafie, rappresenta un colpo durissimo inferto alle attività di opposizione sociale e culturale alla criminalità organizzata. Si vuole calare il sipario su una stagione autenticamente rivoluzionaria della resistenza alle mafie nel nostro paese: quella avviatasi nella prima metà degli anni novanta grazie alla partecipazione democratica, al risveglio delle coscienze, all’entusiasmo e alla passione civile di tanti cittadini e cittadine, soprattutto giovani. Una stagione che ha avuto un passaggio decisivo nella mobilitazione popolare che portò all’approvazione della legge 109/96 sul riutilizzo sociale dei beni confiscati alle criminalità organizzate. Se l’emendamento votato al Senato dovesse essere confermato nel testo definitivo della Finanziaria, non solo si rischierebbe di far tornare sottobanco nelle mani delle mafie quello che è stato loro confiscato, non solo si depotenzierebbe e si svuoterebbe di significato lo strumento della confisca (uno strumento che ha consentito di colpire le criminalità organizzate là dove sono più sensibili, vale a dire nei loro interessi economici), ma verrebbe tradito il valore simbolico e culturale della legge 109: l’idea per cui la collettività si riappropria del “maltolto”. Il riutilizzo sociale dei beni confiscati ha infatti finora consentito di costruire pratiche di protagonismo democratico nell’azione di contrasto alle mafie da parte del mondo dell’associazionismo, dei territori, della società civile. Quelle buone pratiche rappresentano gli anticorpi sociali all’infiltrazione e al radicamento dei poteri malavitosi nelle nostre comunità. Interrompere questo percorso significa indebolire la tela tessuta in tutti questi anni, che ha legato in una grande storia di resistenza civile cittadini, enti locali, associazioni, istituzioni. Se l’intento è quello di recuperare risorse finanziarie da mettere a disposizione delle politiche per la sicurezza, si faccia ricorso allora ad altri strumenti, come il “Fondo Unico Giustizia”, alimentato dalle liquidità confiscate alle attività criminali. Auspichiamo che nel passaggio alla Camera venga ritirato questo provvedimento pericoloso e devastante, un vero e proprio tradimento nei confronti di chi si sforza, nel quotidiano, di gettare semi di speranza, di giustizia e di legalità. Roma, 16 novembre 2009

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