oltre_sediaIo sono molto importante come donna, ho il mio spazio per vivere bene da sola ma con gli altri miei amici del percorso che non finirà mai, quello della vita che vorrei anche la mia stanchezza è donna, io mi sento maturata, mi infastidisco qualche volta perché mi rompono troppo, anche se ho una sindrome sono una donna senza acca,

Nella mia vita vorrei il coraggio di vivere, l’autonomia sempre più, fare le riunioni assieme e parlare e crescere e organizzare ed essere libera di scegliere, odio le chiacchiere a vuoto e amo la famiglia che mi ha permesso di fare questo percorso ma adesso che vivo sola è meglio perché così siamo tutte e due libere io e la mia mamma, due donne che vogliono contribuire a migliorare crescendo unite ma divise.

Senti mondo.

Grazie di oggi,

per tutto quello che posso fare,

delle riflessioni che mi fai scrivere,

delle idee che posso avere

Sentimondo

certe cose non so fare

ma qualcosa posso imparare sempre.

Sentimondo,

vogliamo poter aiutare gli altri e sentirci utili,

come quando prepariamo i panini per i senzatetto,

Sentimondo

possiamo fare la spesa per gli anziani

possiamo fare teatro con i bambini

possiamo testimoniare la nostra esperienza

possiamo dare una mano a chi ce la chiede

Sentimondo

Nessuno mi chiede una mano

ma tutti vogliono tenermi per mano,

a me fanno impazzire quelli che non mi ascoltano e pretendono che io faccio quello che vogliono loro

Sentimondo

Io esisto lo senti mondo?

E creo la mia creazione

Creazione

Associazione Oltre quella sedia – Marco Tortul

Si richiede che ognuno nel ruolo che ricopre, si assuma la responsabilità nelle scelte e la dovuta solidarietà nei confronti di chi è più fragile . Le persone con disabilità possono avere un ruolo da protagonisti nella promozione sociale, come portatori di interesse e di valori, in particolare nelle scuole, mostrando le loro capacità. È necessaria una integrazione di idee e di valori, in modo che il sociale, il volontariato, i valori umani siano capaci di coniugarsi con la cultura e anche con l’economia.

Sempre per l’Associazione Oltre quella sedia, che svolge anche attività teatrali con le persone disabili, ha parlato Maria Benedetta Poilucci, in arte Olly, Lina e Cristina di cui pubblichiamo l’intervento:

Olly

Ho letto la lettera mandata dall’assessore Famulari e ho sottolineato queste parole: condiviso, pianificazione, legge, cittadini, fragile, consapevolezza.

Poi ho riletto le riflessioni che scrivo nel mio percorso e volevo leggerle a tutti.

Dobbiamo fare assieme, collaborare tantissimo con pazienza e coraggio, bisogna fare piano ma anche veloce, Decidere insieme, desideri, sentimenti, pensieri, mi piace poter dire ciò che penso, fatemi parlare, fatemi pensare, è un mio diritto.

Noi siamo presenti ogni giorno, voglio potere mostrare le mie paure e i miei coraggi.

È meglio scrivere e poi leggere e ricordare che parlare e poi dimenticare.

Le persone sono molto importanti e anche io.

Sono cresciuta e voglio avere delle responsabilità, anche piccole.

Io sono qualche volta fragile e qualche volta forte.

Sono fragile nella mia sindrome, che però senza sindrome io non sarei qui, ci sarebbe un altro, e invece sono qui.

Sono forte quando sento il coraggio delle idee, la fiducia, l’esperienza e come dice sempre lui crea, crea.

Io voglio essere utile e non voglio che mi stiano tutti attaccati, voglio essere libera e voglio fare fatica per vivere, come tutti.

grazie

Lina

Il buio,

il buio lo abbiamo tutti,

il buio è dentro di noi,

il buio mi fa stare triste e soffrire,

ma ho capito che c’è anche la luce,

la luce mi aiuta a non essere più nel buio,

il buio allora diventa come il sole,

delle volte c’è e delle volte non c’è,

c’è l’alba del sole e l’alba del buio,

il tramonto del sole e il tramonto del buio

e qui con le amiche io sento che posso farcela

a far diventare il buio come il sole,

è bello imparare questo perchè così finalmente

non soffro più come era prima

Cristina

Io ho più vite,

quella che vivo con mia mamma ,

quella che vivo con mio papà,

e questa che è la mia vita,

è vivere da sola, ma con le mie amiche.

Imparare a fare le cose da me.

Facendo da sola imparo meglio.

Siamo persone, non siamo handicappate.

..Io ce la faccio……non riesco sempre a dirlo ma voglio riuscirci,

perché voglio vivere la mia vita senza che tutti mi dicano sempre cosa fare e se ho capito oppure no.

Io delle volte non rispondo subito ma vorrei riuscirci,

i miei tempi sono diversi dai vostri, ma questo non vuol dire che io non capisco quello che mi dite.

Finalmente ho potuto dire ciò che penso

Grazie

1 Comment

  1. L’autobiografia è un genere psicologicamente importante per chi lo coltivò nei tempi passati,
    o l’adotta sul piano della maggiore comprensione e interpretazione di quel
    che va vivendo,dei comportamenti,dei sentimenti provati che invogliano a
    spiegarsi,a dirsi,a rivelarsi maggiormente: nel momento in cui
    nell’esercizio della scrittura si individua una valvola di sfogo,una strategia
    per affrontare i problemi.Quando si sia soli o quando un’amicizia privata o
    un aiuto clinico non siano sufficienti o vengano meno.O quando,ancora,si
    cerchi volutamente la solitudine.
    Ovidio,Sant’Agostino,MarcoAurelio,de Montaigne ,e poi Rousseau con
    innumerevoli altri…per citare soltanto i classici di questo genere,vi
    ricorsero sovente per le stesse ragioni che inducono,ancor oggi,tanto le
    donne o gli uomini famosi,quanto coloro che resteranno anonimi pur
    avendo scritto di sé, ad affidarsi allo scrivere in situazioni di
    crisi,dolore,smarrimento,isolamento estremo.
    Le soglie critiche
    La scrittura di sè è un’arte povera che si arricchisce
    arricchendoci a seconda della dedizione e della passione che le dedichiamo.
    La intraprendiamo con caparbietà,pazienza,umiltà,volontà di conoscerci
    anche nei più riposti nascondigli della memoria e per lottare, pur sempre ad
    armi impari, contro l’oblio.Rispetto ad esso, il narratore che superi la soglia
    critica(un blocco “agrafico”)ben nota ad ogni autobiografo ,costituita dal
    timore di non saper quasi più scrivere,di non riuscire a ricordare,persino di
    troppo autocompiacersi, si accorge ben presto che va impadronendosi di
    un nuovo potere e di un piacere che prima gli o le era ignoto.Scopre di
    riprendere possesso di quel che, caoticamente, un istante prima gli si
    affollava nel cervello,pur trafitto da un dolore indicibile,da un senso
    colpa,da una perdita incolmabile di cui avvertiva l’istinto o l’impulso a
    esporre.Superato questo limite,le parole scritte si impadroniscono ben presto , trasformandole,soprattutto di quelle scene che si vorrebbero
    dimenticare; riconferiscono ad esse un distacco emotivo necessario a
    superarle,nella volontà matura di non cancellarle,anzi di portarle con sé.Non
    più soltanto nascoste dentro di sé,ma esposte in evidenza:quasi grida. Per
    cercare un conforto,una comprensione,una consolazione.Anche questo,ma
    non solo.Piuttosto, per rendere omaggio,per onorare,per trattenere
    qualcosa che scomparendo lo impoverirebbe.Il dramma più atroce, se riesce
    a diventare una rappresentazione,leggibile e comprensibile da chi non lo
    visse,assume un’altra fisionomia:si trasfigura oltrepassa la propria fattualità.
    La scrittura presiede alla “riparazione”di quanto si è frantumato,instaura un
    altro ordine della memoria. Le parole ,facendosi pagina,aiutano a
    sciogliere i grumi di tristezza e desolazione che gravavano come pesi
    altrimenti non attenuabili;i sentimenti di pena e le nostalgie mutano il
    malessere (almeno) in una condizione di sopravvivenza più sopportabile.
    Inoltre i diaristi,i poeti dei propri ricordi,i novellieri degli episodi cruciali
    che li hanno coinvolti, se scrivono per sè,prima ancora che per un
    pubblico,assumono atteggiamenti diversi sia a seconda del senso e degli
    scopi che intendono attribuire al “lavoro”cui si sono accinti,sia in ragione
    di motivi che sono inconsci o ancora poco chiari.
    Talvolta costoro si sorprendono a chiedersi:”Perché ho incominciato a
    scrivere di me?”;”Che cosa mi spinge a prendere la penna in mano?”;”A che
    possono servirmi queste pagine…? Sono queste le domande ricorrenti e
    ataviche,cui è possibile dare una risposta in relazione allo stato mentale ed
    emozionale di chi trova nella scrittura un sollievo,un’ eccitazione
    creativa,un confessionale,un’occasione introspettiva e persino di una
    meditazione.

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