I fascicoli di 9 donne che hanno ucciso i loro figli internate tra il 1999 e il 2009 nell’o.p.g. di Castiglione delle Siviere (Mn), e dimesse, sono corredati dalla perizia psichiatrica che attestava la loro non-imputabilità. Il campione studiato non è significativo perché non selezionato secondo criteri statistici; tuttavia nella scarsità della letteratura italiana sull’argomento, i risultati sono di notevole interesse non tanto per le informazioni disponibili e raccolte , quanto per quelle non presenti perché non ricercate dai periti e dai curanti.

L’età delle donne del campione va da 22 a 48 anni, con una età media di 36 anni; si tratta dunque di donne nel pieno della maturità psico fisica e sociale. La maggior parte delle donne è sposata, due sono separate, una è divorziata. La vita coniugale è raccontata come pressoché felice e regolare fino a che eventi gravi e inattesi (un lutto di un familiare , un trasloco, la perdita di un lavoro, il cambiamento di un lavoro, il trasferimento in una grande città) ne avrebbero turbato gli equilibri. Alla domanda dei periti “ qual è stato il momento più felice della sua vita” , le donne hanno risposto con toni nostalgici che il periodo più felice da loro ricordato e trascorso era stato quello dei primi anni di matrimonio. Per quanto riguarda la scolarità, prevale nettamente il diploma di scuola media inferiore, solo una donna aveva raggiunto e concluso le scuole medie superiori, iscrivendosi anche ad un corso universitario. Circa l’occupazione, si tratta per lo più di lavori precari: parrucchiera, cameriera, operaia, ausiliaria. Non sempre è indicato il lavoro del marito. Le donne sono nate in città del Nord, Sud e isole (Como, Aosta ,Milano, Ragusa, Siracusa, Enna, Savona e Cagliari); ma tutte hanno commesso il reato in città del Nord (Como, Milano, Varese, Genova, Vicenza, Reggio Emilia, e Brescia ). L’età delle madri al momento del reato sono 33,32,41,39,22,48,38,41,31, con una media di 36 anni. La maggior parte di queste donne ha avuto 2 figli; una ne ha avuto 3. In tre casi è stato ucciso il figlio più grande, mentre in 4 casi è stato ucciso il secondogenito. In un caso, la madre ha ucciso entrambi i suoi figli; in un caso , invece c’è stato un tentativo di omicidio del primo e unico figlio. La seconda gravidanza viene descritta come indesiderata oppure come problematica, al contrario della prima raccontata come desiderata da entrambi i genitori. Le motivazioni del gesto dichiarate dalle donne e riportate nella perizia psichiatrica, sono: “ L’essere più vicini a Dio” , “ Il bambino soffriva troppo ”, “ Senso di inadeguatezza al ruolo di madre”,“ Le figlie femmine non danno problemi, mentre i maschi si”, “ Non volevamo una seconda gravidanza” ,” Non gli volevo bene ”, “Non riuscivo ad andare avanti”. Otto donne prosciolte del reato compiuto sulla base della perizia psichiatrica sono state riconosciute socialmente pericolose; in cinque perizie è dichiarata la presenza, prima del reato, di disturbi di rilevanza psichiatrica (sindrome depressiva, scompenso psicotico , negazione psicotica e ansia), il che non significa la certezza che le 5 donne siano state seguite da servizi di salute mentale.Le diagnosi psichiatriche sono state quelle di scompenso psicotico, disturbo depressivo, psicosi schizofrenica, disturbo dell’adattamento, psicosi post-partum , episodio psicotico e disturbo paranoide. In nessun fascicolo, né nella perizia né nell’anamnesi, né nei diari clinici dell’o.p.g. sono riportate informazioni riguardanti le angosce, i vissuti, i problemi incontrati nel corso della gravidanza, del parto, del puerperio, dell’allattamento, dello svezzamento e dell’allevamento del nato. Solo qualche breve, marginale nota tra le righe, da cui si possono intuire il malessere e la solitudine di queste madri. Gli psichiatri periti e i curanti non hanno quindi ritenuto utili alla ricostruzione del senso degli eventi e delle dinamiche psicologiche della donna autrice di reato notizie circa l’andamento e i vissuti della donna nel corso della gravidanza, del parto, del puerperio e delle fasi successive. Questo significa che i periti e i clinici sono stati molto interessati alla ricerca dei sintomi di interesse psichiatrico, ma meno interessati ad approfondire la ricostruzione del rapporto delle donne con servizi consultoriali (che pure sono – o dovrebbero – essere presenti su tutto il territorio nazionale) o privati professionisti, ostetriche, pediatra di base, col risultato che manca la documentazione delle prestazioni ricevute nelle agenzie cui le donne potrebbero essersi rivolte magari per segnalare situazioni di disagio e sofferenza mentale collegate alle vicende della maternità. Sappiamo che nel corso della gravidanza vissuti di angoscia, solitudine, sentimenti di inadeguatezza sono molto diffusi e noti ancora prima che alla psichiatria alla sapienza antica millenaria delle donne che indica di non lasciare da sola la gestante, la puerpera, la giovane madre impegnata nell’accudimento e nell’allevamento del nato. Il dramma dell’uccisione del figlio da parte della madre si compie e attraversa i secoli, il mondo intero, tutte le comunità umane. Le motivazioni possono essere di ordine altruistico, psicotico, o dovute a esiti di maltrattamenti fisici, a gravidanze indesiderate o a vendetta nei confronti del coniuge. Va ricordato che molte madri che non agiscono concretamente il figlicidio, fanno tuttavia esperienza di pensieri di danneggiamento dei propri figli. La prevenzione è difficile poiché molti fattori di rischio, come la salute mentale della madre durante la gravidanza e prima del parto (il diffuso maternity blues), le condizioni di povertà, isolamento e svantaggio sociale sono comunemente presenti fra le madri che non uccidono. Una gravidanza dura di solito 40 settimane, un lungo tempo in cui si susseguono molti e profondi cambiamenti ormonali, fisiologici, psicologici, somatici, relazionali; al suo termine la donna diventata madre si misura nella vita quotidiana con realtà, funzioni, attese assolutamente inedite. Per queste ragioni da sempre le donne sanno che la gestante e la madre non devono essere lasciate sole e possibilmente avere cura e sostegno adeguati. Nelle società contemporanee diventa sempre più importante la figura del partner proprio perché è sempre più difficile assicurare consigli, cure e sostegni che nelle generazioni passate erano fornite nei contesti di stabili comunità e famiglie estese.

La gravidanza rappresenta una fase psicologicamente complessa nella vita della donna. Oltre alle trasformazioni sul piano biologico, la maternità implica nuovi equilibri riguardo all’identità di coppia e sociale nonché una ri-definizione dell’identità individuale. L’esperienza della donna come figlia viene rivisitata e mobilita aspetti di identificazione con il bambino atteso, mentre le modalità attraverso le quali la madre della gestante ha vissuto le gravidanze e la maternità influenzano il modo con cui la donna vive la propria maternità. Ogni gravidanza mette in discussione gli equilibri precedenti e porta con sé il pericolo di uno scompenso, configurandosi come una fase di potenziale vulnerabilità.

Per quanto riguarda la formazione degli operatori della nascita, ha insistito, la ricerca delle ultime decadi ha dimostrato quanto la relazione madre/neonato sia fondante del futuro sviluppo del bimbo e come questa dipenda dal grado di salute psichica della donna nonché dal supporto che essa può ricevere dal contesto familiare e assistenziale.

Gli approcci solo criminologico o psichiatrico o ostetrico-ginecologico clinici risultano quindi “ciechi” (ne è documento la recente strampalata proposta dei ginecologi italiani di trattamenti sanitari obbligatori per le gestanti e le madri che presentino sintomi depressivi), ma soprattutto non aiutano a definire efficaci, praticabili strategie di prevenzione, in servizi “ a bassa soglia”, a forte radicamento territoriale e integrazione socio-sanitaria-educativa, vale a dire ancora da consultori famigliari, rivisitati, ristrutturati, potenziati, capaci di accompagnare, questa è la parola chiave, tutte le donne, soprattutto quelle isolate, disperate, senza riferimenti e appoggi, punti di riferimento, magari in crisi di relazione con un partner di cui si parla sempre molto poco.

La allarmata attenzione dei media italiani al tema della “madri assassine” ha promosso qua e là alcune iniziative e sperimentazioni per gran parte in contesti ostetrici ospedalieri; un servizio ad hoc è stato istituito da un dipartimento di salute mentale, quello del “Centro Depressione Donna per il follow-up dei figli di madri depresse e/o con depressione post-partum” dell’Azienda ospedaliera “Fatebenefratelli” di Milano. Ma più che da servizi specialistici ospedalieri psichiatrici e/o ostetrici, il rischio può essere gestito al meglio ancora da consultori famigliari più “colti”.

Nadia Chizzola e Luigi Benevelli

Mantova, 10 ottobre 2010

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