misha_gordin_crowd502 Le ragioni del viaggio di Marco Cavallo nel mondo di fuori, per incontrare gli internati negli opg.

Nelle celle, uomini con storie diverse e drammatiche, spesso drammatiche solo per l’incomprensibile internamento, giungono ad abitare e condividere quel piccolo spazio. Uomini che non si conoscono, costretti gli uni accanto agli altri. Ognuno suppone dell’altro la malattia mentale e ne teme imprevedibili gesti e rischiosi comportamenti. Riuscire a sopportare una così inimmaginabile vicinanza dell’altro sconosciuto e reso ormai inconoscibile dallo sguardo e dalla parola della psichiatria, e del quale si ha timore, è una prova di dimensioni che a noi non è dato di intendere. Si pensi alle cose minime e banalmente quotidiane: usare il water, più o meno in vista, mostrare la propria nudità, segnare lo spazio con i propri odori e umori, dover nascon- dere e vergognarsi dei borbottii improvvisi e inaspettati del proprio corpo. Odori e rumori che si mescolano insieme e impregnano quello spazio. I più finiscono per costruire un muro di resistenza intorno al proprio corpo e ai propri pensieri. Come la realtà che a causa della malattia non riusciva a contenere, ora l’istituto cui non può opporsi non lascia all’internato che un unico scampo: la fuga nella produzione psicotica, il rifugio nel delirio dove non c’è né contraddizione né dialettica. Una sorta di campana di vetro infrangibile. Gli internati si isolano così nella propria malattia, si rifugiano in essa, la coltivano e vi trovano conforto.

di Peppe Dell’Acqua

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