Signora Zardini,

sento parlare di lei e di quello che dice da decenni sulla salute mentale. Sento le sue critiche che, per amor di dio, hanno sacrosante motivazioni dettate da condizioni di sofferenza e di impotenza. Sentimenti che vanno guardati con rispetto. Però, anche lei, si sforzi di far la stessa cosa. Non fosse altro per un questione di reciprocità. E non perché non abbia diritto a criticare, a dire quello che pensa, ci mancherebbe altro. Il manicheismo immutato nel tempo, oramai anacronistico, nel quale insiste a stare, non si addice a una causa quale la salute mentale.

Qualsiasi cosa succeda o è successa, al di là della gravità e delle responsabilità, usa lo stesso metro, sempre con lo stesso giudizio. Unico, irreversibile e, sempre con la stessa logica, in cui mai in lei adombra un minimo di dubbio di alcun genere, che ne so… un po’ di sana autocritica o una valutazione un po’ più obiettiva delle cose. Le interpretazioni che lei esprime in relazione alla vita di persone con problemi di salute mentale coinvolte in fatti delittuosi, a mio parere suonano come un po’ troppo basati su certezze assolute. Il suo pensiero sulla legge 180 non è cambiato, non che dovesse necessariamente cambiare. Tuttavia questa immutabilità di pensiero mi colpisce, mi fa dire che ogni volta che può inserirsi, “trova l’occasione” alza lo scettro contro la legge 180, come una mannaia..

Mi permetta di dirle che noi, signora Zardini, anche se indirettamente, ci conosciamo, o meglio ci troviamo su strade identiche ma separate. Identiche perché anch’io come lei, da familiare ho speso moltissime delle mie energie per mio fratello e mia sorella. E non solo per loro.

Nella mia lunghissima attività di combattente per la salute mentale, le garantisco che sono stati centinaia e centinaia i familiari con i quali ho condiviso storie e vite rotte, lacerate dall’esperienza del disturbo psichico dei loro congiunti. Ho sostenuto i loro diritti di salute, di cure e trattamenti, non direi più umani, ma rivendicando il trattamento delle persone come atto dovuto, non solo da parte di cura e come atto di rispetto nei confronti di persone deboli, vulnerabili, ma anche da parte della società, (in) civile? e non per gentile concessione come si trattasse di un favore.

Anch’io come lei penso di avere diritto di parola. Rivendico questo diritto perché io e tanti altri abbiamo molto ma molto meno la possibilità di raccontare delle nostre esperienze. Al contrario lei è molto spesso sui giornali, tv ecc. La mia storia, la nostra storia, di oltre 35 anni di impegno nel campo della salute mentale, mi porta a dire e sostenere con forza che occorre guardare oltre l’ossessione della 180, che l’ossessiona da parecchio. Ammesso e non concesso, può darsi anche che la legge venga riformata come lei ama ripetere ormai da decenni; ha mai pensato con coscienza quale futuro ci sarebbe per i suoi congiunti, i miei e i tanti utenti e i tanti familiari nel nostro paese? Pensa ed è ancora strenuamente e fortemente convinta di vedere un futuro più radioso, più tollerante e rispettoso per le persone con disturbo mentale? No e No signora Zardini, non possiamo e non dobbiamo accettare, anche lei dovrebbe impedire uno scenario buio oltre la 180. Basterebbe leggere con lenti sfuocate per capire che le proposte di legge che giacciono in Parlamento e che lei sicuramente conosce molto bene,segnano notevoli passi indietro sul piano dei diritti, della salute, delle libertà delle persone, ma anche e soprattutto sul piano culturale.

Loro, le persone con disturbo psichico, hanno bisogno di attenzione, di cure,di essere curati, curati e riaccompagnati alla vita, alle loro vite che, come le vita di ciascuno di noi, richiede affetti, identità, salute e riconoscimento da parte della società. Piuttosto, sosteniamo senza pregiudizi appelli come quelli della signora Angela di Brescia e di molti di tanti altri familiari che non cercano altro che soluzioni, interventi, progetti, cure per i loro congiunti. Le scorciatoie, le alzate di voci, le interviste di denuncia lasciano il tempo che trovano. Certamente non si rende giusta causa a chi soffre e, soprattutto, il tempo passa e il pantano dentro il quale ci si trova si allarga sempre più.

Tenga conto, per cortesia, signora Zardini, che ci sono ancora in questo paese un numero elevatissimo di famigliari, e io tra questi, che non vogliono assolutamente il ritorno a un passato di antiche atrocità, sofferenze e soprusi, perpetrati negli angusti manicomi. Così come non accettiamo pratiche di cure in quei posti, belli, confortevoli che oggi si ammantano di buoni trattamenti.

Io, mio creda signora Zardini, capisco la sua lotta, il suo dolore e il dolore di cui lei si fa interprete, ma capisco un molto meno l’antipatia che nutre nei confronti del vituperato Basaglia pensiero. Se ne faccia una ragione, signora Zardini, la legge 180 e chi sostiene la sua filosofia, e le pratiche ispiratrici nei servizi di salute mentale, haimé, ancora dopo trent’anni non sono moltissimi nel paese, non sono loro il male assoluto, gli untori da caccia alle streghe , né tanto meno, in generale, sono responsabili di fatti che angosciano e accomunano sul piano umano tutti, sia quelli che la pensano come lei, sia noi che la pensiamo diversamente da lei. Di ben altre cose dovremmo essere preoccupati. E tanto.. Ad esempio, l’indignazione, la vergogna, il pudore spariti dalla condotta umana, oramai sono atteggiamenti e comportamenti riprovevoli. Al contrario. Chi si indigna ancora, chi si vergogna, chi ha pudore esce fuori dai binari dell’ordinario. Oramai omologati. Una omologazione “culturale,” la banalizzazione del male e dell’insignificanza.

E’ debole per antonomasia chi si piega, e per chi si piega e viene piegato, non c’è pietas. Per dirla con Gillo Dorfles:: impera un horrror pleni Tutti triturati e nel contempo affannati a fortificare una identità vuota, a costruire una immagine, merce alla mercé di un sistema che produce sempre più disuguaglianze.

Si figuri lei signora Zardini, i nostri matti chi li vuole in una società, distratta, indifferente, basata sull’estetica e vuota di etica. Ma se proprio la società non può fare a meno di loro, allora teniamoli lontano. A distanza. Il più lontano possibile. Così, stiamo tutti bene e a nessuno sarà più fatto del male. Ovviamente a quelli che stanno “fuori” ( i sani…?) Salvo a loro, i matti, che continuano a pagar sulla loro pelle. Tanto del loro male chi se accorge. Sarebbero rinchiusi come ai vecchi tempi. Lontano dagli occhi e lontano dai cuori.

Andrea Meluso

Milano, 3 maggio 2010

 (NdR: la Sig.ra Zardini è la presidente dell’ARAP, Associazione per la Riforma dell’Assistenza Psichiatrica di Roma)

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