Vogliamo esprimere la nostra preoccupazione in merito al nuovo Progetto Obiettivo sulla Salute Mentale che sta per essere approvato dal Consiglio Regionale. Avendo chiesto e ottenuto un’audizione in V° Commissione Consiliare insieme ad altri soggetti (associazioni di familiari, ordini professionali, confederazioni di cooperative, organizzazioni sindacali, ospedalieri etc.) abbiamo avuto l’impressione che i rilievi critici sollevati in quel contesto, non solo da noi, possano venire ignorati anche per la compattezza degli psichiatri e di alcune associazioni di familiari nel sostenere questo pernicioso progetto. Vogliamo perciò portare all’attenzione di tutti i lettori le nostre osservazioni sul testo contraddittorio e pieno di insidie, che potrebbe autorizzare un forte arretramento nelle pratiche di salute mentale del nostro territorio, già fin troppo povere e impoverenti, in termini di risorse, opportunità diritti.

Ci vogliamo soffermare su alcuni punti in particolare:

Il ruolo limitato dei Centri di Salute Mentale: a dispetto della preliminare dichiarazione d’intenti che valorizza la psichiatria di comunità e tutte le azioni che promuovono il protagonismo degli utenti in conformità alle indicazioni europee e dell’OMS sulla salute mentale, il nuovo testo rinforza l’organizzazione dei servizi attualmente vigente, quasi esclusivamente medica e ospedalocentrica. I nostri Centri di Salute Mentale, aperti su fasce orarie che non superano mai le 10-12 ore nei giorni feriali e le 6 nei prefestivi, svolgono attività quasi esclusivamente ambulatoriali, non garantiscono una reale presa in carico territoriale e individualizzata e continuano ad essere servizi di difficile accessibilità. Il nuovo testo non modifica nulla di questa impostazione e non profila nemmeno l’ipotesi di un’apertura sulle 24 ore 7 giorni su 7, la sola che potrebbe avviare, come in molte altre regioni italiane, uno sgravio effettivo del lavoro dei servizi ospedalieri e la possibilità di reinvestire sul territorio le risorse.

L’aumento del numero di posti letto nelle cliniche universitarie e private e negli ospedali: l’orientamento di questo nuovo POSM è appunto nella direzione opposta al rinforzamento del lavoro territoriale, perseguendo invece essenzialmente l’aumento del numero di posti letto quale fulcro delle pratiche di salute mentale. Ospedali, cliniche universitarie e private, comunità terapeutiche e comunità alloggio, luoghi chiusi in cui il problema prioritario sembra quello di “dislocare” le persone anziché fornire loro risposte differenziate di cura e reali diritti di cittadinanza.

La costruzione di comunità alloggio ad alta intensità: indirizzate a persone con patologie, definite croniche e irreversibili già a 40 anni, sono di fatto strutture neomanicomiali con 20 posti letto, da cui sarà impossibile uscire. La cronicità- il più delle volte frutto di interventi sbagliati, pratiche fortemente istituzionalizzanti, abusi farmacologici protratti negli anni- viene qui assunta per autorizzare, come in un passato che speravamo non tornasse, destini di istituzionalizzazione a tempo indeterminato privi di qualsiasi garanzia in merito a percorsi di cura, restituzione di cittadinanza, protagonismo. Percorsi che invece richiedono soluzioni abitative, anche ad alta protezione, ma per piccoli nuclei di persone, le sole che rendono possibile abitare e non soltanto stare.

Il silenzio assenso sulla diffusione di pratiche lesive dei diritti e della dignità della persona: ci saremmo aspettati che nel riferimento agli interventi di emergenza e urgenza vi fosse una riflessione sulla sistematica violazione dei diritti delle persone che si verifica in molti Spdc della nostra Regione e nelle RSA psichiatriche. In questi luoghi, il ricorso alla contenzione fisica e farmacologica rappresenta una pratica usuale, persino prescritta da alcuni protocolli. La contenzione va fermamente condannata e superata, anche attraverso una formazione che faccia della tutela dei diritti di cittadinanza un elemento imprescindibile delle cure.

Per questa stessa ragione riteniamo che sia necessario arrivare all’apertura della porte negli Spdc, come accade ormai con risultati eccellenti in molti ospedali italiani secondo la pratica “no restraint”. Una pratica che rifiuta di legare le persone ricoverate e di chiudere a chiave le porte dei servizi, ritenendo  che contenzione e reclusione  non si limitano a umiliare le persone negandone diritti e dignità, ma siano una vera e propria negazione della cura.

Il primato dell’assistenzialismo sul protagonismo: alcune parole usate nel testo del POR, come ad esempio i “diritti di solidarietà”, adombrano i più avanzati “diritti di cittadinanza”, alludendo ad una concezione assistenzialistica dell’intervento alla persona piuttosto che ad una valorizzazione del suo protagonismo.

L’assenza di specifiche indicazioni sulla responsabilità dei DSM nei confronti dei detenuti nelle carceri e negli OPG: il nuovo testo non indica come i servizi debbano garantire la presa in carico dei detenuti con disturbo mentale né promuove una collaborazione tra magistratura, giudici e servizi di salute mentale per limitare quanto più possibile l’invio agli OPG di persone con sofferenza mentale che hanno commesso reati in vista di un decongestionamento e progressivo smontaggio di questi stessi Istituti.

La mancata previsione di strumenti di controllo reale per quello che accade nelle cliniche private: la durata media delle degenze e la ripetizioni dei ricoveri, la ricaduta degli interventi in termini di presa in carico territoriale, recovery e guarigione (parola sconosciuta in questo POR) avrebbero richiesto una riflessione e criteri di monitoraggio adeguati.

La costruzione di Servizi di Diagnosi e Cura per i minori : è assolutamente discutibile l’idea di costruire Spdc destinati all’infanzia e all’adolescenza anziché potenziare gli interventi territoriali: quello che vale per la popolazione adulta è tanto più importante per i minori. Così l’esigenza di costruire servizi intorno a specifiche patologie va in contrasto con l’idea di differenziare gli interventi costruendo percorsi personalizzati che muovano da una considerazione globale della persona anziché sulla semplice considerazione dei sintomi.

 

Sullo sfondo dell’orientamento europeo e mondiale che prescrive politiche e pratiche volte ”a promuovere il benessere mentale, contrastare la discriminazione e l’emarginazione sociale, fornire servizi efficaci e adeguati, favorire il reinserimento in società delle persone che hanno sperimentato seri disturbi di salute mentale” riteniamo che questo nuovo POSM rappresenti davvero un’occasione mancata per metter mano alle fortissime criticità delle pratiche di salute mentale del nostro territorio, contribuendo invece a rinforzarne limiti e debolezze, in una direzione diametralmente opposta a quella che si vuole far credere di sostenere.

Chiediamo pertanto una presa di responsabilità di quanti possano, a vario titolo, intervenire sull’approvazione del testo in discussione perché la salute mentale è una questione che riguarda tutti, perché, come recita l’accordo siglato ad Helsinki nel 2005 tra i ministri della salute dei 52 paesi europei membri dell’Organizzazione mondiale della sanità (OMS), “non c’è salute senza salute mentale”.

Forum Veneto per la Salute Mentale

  • Anna Poma, Venezia portavoce
  • Edoardo Berton, Vicenza
  • Paola Brandolino, Venezia
  • Domenico Casagrande, Venezia
  • Paolo Finesso, Padova
  • Gianfranco Rizzetto, San Donà di Piave

Lucio Bulgarelli, Associazione Orizzonti,

Leda Cossu, Associazione VeneziAmbiente

Alessia Vergolani, Cooperativa Con- Tatto

Enrica Carabelli, Avulss Venezia

Giulio Labbrofrancia, Movimento dei Consumatori

Il Progetto Obiettivo Salute Mentale 

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