stopdi Giorgio Bignami e Tonia Di Cesare.

Di recente ha iniziato a girare una proposta di legge di iniziativa popolare intitolata ‘ “181″ – Con lo sguardo rivolto al futuro’, a firma dell’associazione “Le parole ritrovate” il cui referente nazionale è il direttore del DSM di Trento Renzo De Stefani. Il comunicato diramato per annunciare la conferenza stampa di presentazione a Roma il 13 maggio reca nel titolo “Per dare finalmente concretezza alla legge Basaglia” e nel sottotitolo “Per valorizzare la partecipazione attiva di utenti, familiari, operatori e cittadini nei Servizi di salute mentale e per garantire buone cure in tutta Italia”. Come slogan per promuovere la raccolta delle 50.000 firme necessarie si propone un “Tutti pazzi per la 180″.

Tutto a posto, allora? Un esame a più forte ingrandimento fa nascere più di una perplessità sull’iniziativa. Sul piano strettamente formale, sorge il timore che i nostri parlamentari – avversari, alleati o agnostici che siano – possano rimanere sgomenti di fronte a una proposta di legge di ben 18 articoli (per un totale di una dozzina di pagine, più una decina di relazione introduttiva), articoli che per esempio si intitolano “Colori pastello e donazioni private” (art. 3), “Nei percorsi di cura fare squadra è bello” (art. 6), “Accoglienza calda, dappertutto e sempre” (art. 9). Ma questo è un ostacolo secondario che qualsiasi addetto ai lavori di redazione di testi legislativi potrebbe agevolmente superare, qualora interpellato prima che la proposta sia depositata in Cassazione.

I problemi di fondo sono altri. Primo, in qualsiasi campo le così dette buone pratiche, di cui la “181″ fa una dettagliatissima descrizione, sono oggetto in sede legislativa di impegnative ma sintetiche definizioni di carattere generale, non di minuziose indicazioni che sono demandate ad atti successivi: per esempio, nel campo della salute mentale, i Progetti Obiettivo ad hoc, poi gli atti di competenza ministeriale e regionale (compresi ovviamente quelli della conferenza Stato-Regioni), delle singole ASL, dei singoli DSM, riguardanti l’entità, le caratteristiche e le modalità d’impiego delle risorse umane e finanziarie; le linee guida; i modi di valutazione di processo e di esito; e quant’altro serve a ottimizzare il raggiungimento degli obiettivi. E questo, il più possibile passando per un confronto orizzontale non solo con i c.d. utenti (brutta parola) e con i loro famigliari e circostanti, ma anche con le rappresentanze del corpo sociale al quale appartengono, con le associazioni (soprattutto no profit e di volontariato) che contribuiscono ai lavori, ecc ecc.

Questi atti sono in buona parte già disponibili e in buona parte condivisibili (per esempio, molti contenuti dei Progetti obiettivo); il problema è che la maggioranza dei responsabili ai diversi livelli, politici, amministrativi e tecnici fuori e dentro i servizi, ora per crescente carenza di risorse, ora sfruttando la carenza di risorse per privilegiare soluzioni improprie (come le lungodegenze nel privato convenzionato), hanno agito come se il buon know, il buon know how e i relativi atti di cui sopra fossero parole al vento. Non solo, ma i casi di reale applicazione delle buone pratiche sono stati spesso bersaglio di un vero e proprio stalking, ovviamente poichè “rovinano la piazza” a chi è interessato ad agire diversamente o a non agire. Quello che è certo come le fasi della luna è che non è legificando minuziosamente tutti i dettagli delle buone pratiche che una tale situazione possa cambiare. E comunque, come si fa a legiferare una relazione terapeutica? quindi il progetto “181″ pare proprio un’esercitazione di fantasia, come la favola del barone di Münchausen che sfruttando la rapida crescita di una pianta di fagioli si arrampicava su di essa sino a sbarcare sulla luna.

Notoriamente i buoni propositi redatti in forma irrealizzabile hanno sempre i loro entusiastici fan; e tra questi troviamo anche l’Unità del 14 maggio (il giorno dopo la conferenza stampa di cui sopra), e per giunta a piena pagina (p. 17); anche se con un breve spazio per un rilievo critico del segretario di Psichiatria Democratica Emilio Lupo. Ma su questa e altre ambiguità in tema di salute mentale del quotidiano fondato da Antonio Gramsci si dovrà tornare in una successiva nota.

3 Comments

  1. aurora curnis

    Ho letto con stupore lo scritto dei signori Bignami e signora Di Cesare, e non capisco tutto questo livore e disprezzo verso una proposta di Legge di iniziativa popolare “ tutti pazzi per la 181”.
    Ho letto attentamente la proposta e visto che lavoro in un Ministero e le Leggi sono il mio pane quotidiano, ben vengano proposte di Legge con studiati pochi articoli, chiari, puliti che anche l’ultima famiglia dell’ultima comunità umana riesce a comprendere e quindi chissà magari finalmente anche applicare.
    Credo che sia un’ottima idea proporre una Legge umana, non burocratica e incomprensibile, e sono certa che i titoli degli Articoli della Legge 181 non sono “scorretti” ma anzi sono voluti, finalmente una Legge che porti aria fresca e sorridente, poi dall’esperienza più che trentennale che ho di “ministeriale” non c’è nessun manuale che imponga come scrivere le Leggi, l’Associazione Le Parole Ritrovate, ha scelto di scrivere una Legge in modo gioioso.
    Poi credo che è umano che ci siano persone che non siamo d’accordo, che non gli piaccia la proposta di Legge “ tutti pazzi per la 181” del resto non è che la Legge 180 all’inizio avesse tanti fan …. E anche il mitico Basaglia non è che era poi così amato… ma sono convinta che si possano sollevare dubbi e anche contestazioni ma il problema è usare toni rispettosi per le idee altrui e aprire anche un confronto aperto, purtroppo in questi anni ( dagli anni 90 forse?) si è instaurato il metodo terribile di demolire le idee e le proposte altrui, quelle che non vengono da “noi”, magari la proposta dell’altro non ci convince o non ci piace ma il gioco al massacro delle idee altrui ormai è lo sport nazionale preferito da tanti..
    Ma i signori e signora, dottori ma non ha importanza, Bignami e Di Cesare, che scrivono con tanto livore sulla 181, sono mai stati in quel di Trento? Sarebbe bello allora andare a vedere, perché quando nella proposta di Legge si parla di “ accoglienza calda, “ lì a Trento c’è e le persone che hanno problemi psichiatrici i loro familiari, gli operatori e gli amici , che stanno male ma tanto male, trovare un’accoglienza calda giova, eccome se giova.
    Perché vedete non basta criticare a volte bisogna anche fare, perché fuori dei bei studi medici, dalle parolone che non si capisce mai cosa vogliono dire, c’è un mondo di persone normali che soffrono di problemi di salute mentale, ci sono i loro famigliari ed amici che stanno male ed allora che paura c’è, che problemi ci sono se altre persone, altri medici cercano di dare delle risposte possibili a questa sofferenza ebbene sì anche con toni pastello?
    Credo fortemente che invece di criticare o demolire quello che altri cercano di fare per il bene comune, forse è ora che TUTTI facciamo qualche cosa.
    Il nonno del mio sposo che aveva le sue belle bizzarrie, sosteneva sempre che era meglio fare qualche cosa piuttosto che il niente, magari si poteva sbagliare, ma il niente era peggio, eppure con le sue stravaganze le “cose” normali le capiva e le apprezzava.
    Un’ultima cosa che veramente non solo mi ha fatto male ma pure un po’ arrabbiare, e arrabbiarmi non mi piace, è l’attacco alla giornalista dell’Unità, e spero di aver colto male e auspico di essere smentita, ci ho letto quasi toni intimidatori, e questo non è bello, anche perché ho letto l’articolo ed era un ottimo articolo, la giornalista ha fatto il suo dovere di informazione e ha messo anche il pensiero di chi non è d’accordo sui toni pastelli della 181, perché ancora per oggi, domani non so, ma ripeto oggi in questa povera Italia c’è ancora la libertà di stampa, soprattutto l’Unità è stata ed è il simbolo della libertà di parola e di pensiero anche in tempi bui, dove il diffonderla era un atto di sfida dal pensiero dominante, l’Unità ha fatto un ottimo lavoro e come “vecchia” sostenitrice del giornale di Antonio Gramsci ne sono proprio soddisfatta e non rimpiango per niente le infinite domeniche passate a diffonderla.
    Non so se serviranno queste mie poche righe ma se serviranno a sollecitare un confronto leale e a viso aperto tra persone che la pensano in maniera diversa, utile per le persone e tra le persone, ne sarò felice.
    Aurora Curnis

  2. Giulia Bordi

    Riguardo alla proposta di legge 181 e all’istituzionalizzazione per legge degli UFE si è già espressa, in modo molto chiaro e preciso, l’Unasam con una con una lettera del 2 gennaio 2012 alle Parole ritrovate.
    Potete trovarla sul Forum. Questo è il link: https://www.news-forumsalutementale.it/unasam-lettera-aperta-a-%e2%80%9cle-parole-ritrovate%e2%80%9d-sulla-proposta-di-legge-181/
    In particolare suggerisco alla signora Aurora che lavora al Ministero di leggerla attentamente: troverà esposte tutte le contraddizioni di questa proposta di legge e una riflessione su quali debbano essere invece i compiti e la mission delle Associazioni dei familiari, delle Associazioni degli utenti e dei Dipartimenti di salute mentale.
    Per quanto riguarda i titoli degli articoli citati da Bignami e di Cesare: “Colori pastello e donazioni private” (art. 3), “Nei percorsi di cura fare squadra è bello” (art. 6), “Accoglienza calda, dappertutto e sempre” (art. 9) chiedo alla signora Aurora: se a Trento, come scrive lei, c’è già questa “accoglienza calda”, che bisogno c’è di scrivere una legge per dire che in un servizio ci vuole “accoglienza calda”? Se c’è, non significa forse che la legislazione attuale già prevede l’Accoglienza come uno dei principi fondamentali di un servizio alle persone? Così come è da 35 anni che si prevede la partecipazione attiva di utenti, familiari, operatori e cittadini, il lavoro di équipe (lo vogliamo rinominare lavoro di squadra? Esiste dagli anni ’70), il lavoro di rete, progetti individualizzati con le persone, servizi di salute mentale orientati alla Recovery, con le porte APERTE, APERTI 24 ore su 24 (abbiamo così bisogno di una nuova legge che non dice questo ma dice che devono essere di “colori pastello”?).
    L’articolo che ha scritto e che è stato pubblicato dimostra che “il metodo terribile di demolire le idee e le proposte altrui” non esiste. E lo dimostra ancora di più il fatto che siamo qui a discutere su “Tutti pazzi per la 181”.
    I problemi sono ALTRI e sono TANTI. Come scrive lei: “bisogna che TUTTI facciamo qualcosa”.
    Se questo qualcosa però è continuare a non applicare la Legge 180, i Progetti Obiettivo nazionali, il Dpcm 21-03-2008 “Linee di indirizzo per la salute mentale”, le Raccomandazioni in merito all’applicazione di accertamenti e trattamenti sanitari obbligatori per malattia mentale della Conferenza Stato-Regioni del 2009 (con il riferimento all’ART 32 DELLA COSTITUZIONE!!!), ma è andare in giro per l’Italia a proporre una nuova Legge e voler “esportare un prodotto: il modello UFE”, (queste sono le parole che usano a Trento, peccato si tratti di persone con una dignità, un nome e un cognome), cosa che sta succedendo in questi giorni nella mia città Genova da cui sono andata via per riuscire ad avere una formazione come si deve, bene, allora io non ci sto.
    Pagare i familiari per occupare un posto all’interno dei servizi di salute mentale, così che vadano a supplire carenze nell’organico inaccettabili, (moltissimi utenti nei Centri di salute mentale a Genova non riescono ad avere colloqui con psicologi e regalano la loro pensione d’invalidità agli psicologi privati), è vergognoso.
    A Genova, nell’ Ospedale che serve la maggioranza relativa dei cittadini genovesi si fa una media di 1 TSO ogni due giorni (fonte: Professore clinica psichiatrica universitaria) utilizzato ancora come strumento di repressione; negli Spdc, a porte chiuse, si usa la contenzione fisica e farmacologica, le Strutture residenziali sono piccoli manicomi dove ragazzi di vent’anni (e anche meno!) cominciano la loro carriera istituzionale; nelle loro case i “pazienti psichiatrici”, come vengono chiamati dagli operatori della “Salute mentale”, aspettano mesi visite domiciliari e chi può si reca negli ambulatori psichiatrici, “centri di salute mentale”, a prendere la terapia (1 colloquio al mese con lo psichiatra, se va bene, di 10 minuti).
    Di fronte a queste questioni complesse e urgenti da affrontare non bisogna creare confusione né lasciarsi imbrogliare da false nuove leggi ma agire, nel rispetto delle normative vigenti, per avere servizi orientati alla Recovery dove sono le persone ad essere protagoniste del loro percorso di cura.
    Giulia Bordi

  3. valentina zanon

    LA 181 NON E’ UN IMBROGLIO – Le polemiche non fanno bene alla buona psichiatria

    Giro questo post pubblicato su FB da “Le Parole Ritrovate” in risposta all’articolo in questione.

    Su questo numero della newsletter abbiamo voluto metterel’articolo di Giorgio Bignami e Tonia Di Cesare, dal titolomolto esplicito “L’imbroglio della 181”, come contributo aldibattito sulla proposta di legge di iniziativa popolare, per lebuone pratiche in psichiatria, conosciuta appunto come 181.Queste mie considerazioni le ho volute intitolarespecularmente perché sono convinto che la 181 non sia unimbroglio ma anzi un più che opportuno contributo peraggiornare la riflessione sullo stato attuale della psichiatria,
    in tempi in cui rischiano di farsi strada idee che privilegiano il controllo dei malati psichici, comeprospettiva apparentemente più vantaggiosa economicamente, in strutture più o meno idonee ascapito di approcci riabilitativi che accettino le diversità.
    Penso, per iniziare, che non serva al confronto considerare chi dissente da noi come “vetero” o“imbroglione”. Non penso siano vetero coloro che pensano che le buone pratiche in psichiatria nonsi attuino per legge. D’altro canto non sono imbroglioni quelli che si battono per investire il paese diuna riflessione sul perché la psichiatria è “a macchia di leopardo”, passando da Dipartimenti in cuilo spirito della Legge 180 è applicato pienamente, con servizi psichiatrici territoriali funzionanti pertutta la settimana in modo adeguato alle esigenze, a Dipartimenti dove lo stigma verso la follia èportato avanti dagli operatori stessi, che si adeguano al concetto dell’inguaribilità e dellaconseguente segregazione in strutture non sempre adeguate.
    L’articolo di Bignami e Di Cesare poggia, mi pare, su tre assunti:
    1. il primo riguarda la forma della 181 che appare ridondante, visto che consta di 19 articoli,alcuni intitolati in modo ritenuto, dagli autori, un po’ fantasioso. Ma questo, per loro stessaammissione, “è un ostacolo secondario”
    2. il secondo, legato al primo ma incentrato sulla sostanza, sottolinea che, affinché si attuino lebuone pratiche in psichiatria, occorrono norme basate su “impegnative ma sintetichedefinizioni” mentre le indicazioni dettagliate “sono demandate ad atti successivi”, quali iProgetti Obiettivo;
    3. il terzo sottolinea l’applicazione delle buone pratiche in modo disomogeneo, con situazioniin cui le carenze di risorse sono diventate un alibi “per privilegiare soluzioni improprie” afavore del privato convenzionato e le realtà in cui si attuano progetti psicoriabilitativiall’avanguardia sono “bersaglio di un vero e proprio stalking, ovviamente poichè rovinanola piazza”.
    Il terzo concetto, che condivido, depone proprio a favore della necessità della 181. Proprio perchéesistono realtà molto diverse è opportuno che una fonte normativa, come una Legge, assai piùefficace, in base alla gerarchia delle fonti, di un Progetto Obiettivo delinei dettagliatamente non solola filosofia ma anche il modo di operare e gli strumenti da utilizzare. La Legge 180 del 1978 infattinon è riuscita ad incidere in modo uniforme proprio perché sono mancati i decreti attuativi chedovevano applicarla dettagliatamente ed i vari Progetti Obiettivo non hanno avuto la forzanecessaria per essere vincolanti, al pari dei vari pronunciamenti della Conferenza delle Regioni eProvince autonome che invitavano a ridurre i Trattamenti Sanitari Obbligatori (TSO), a privilegiarei TSO extraospedalieri ed a limitare se non abolire le contenzioni fisiche dei pazienti psichiatrici.
    La 181 prevede un sostanziale riconoscimento del ruolo degli utenti, dei loro familiari edell’associazionismo, sia con gli UFE (Utenti e Familiari Esperti) che fanno parte integrante delpersonale del Dipartimento di Salute Mentale e sia con la Consulta di Salute Mentale, la quale“orienta e monitora le politiche relative alla salute mentale (art.13)” ed è costituita per un terzo dautenti e familiari (eletti dagli stessi), per un terzo da rappresentanti di Associazioni ed Enti ed ilrestante terzo da operatori.
    Il “confronto orizzontale”, auspicato da Bignami e Di Cesare, con utenti, familiari e rappresentanzedel corpo sociale rischia di essere o un mero auspicio o pura demagogia se non si danno compitiprecisi agli organismi consultivi, unitamente ad una composizione ed a modalità elettive chesuperino le subalternità. Ciò è previsto dalla 181, proprio grazie al fatto che è dettagliata.
    Sarà importante non solo raccogliere le 50.000 firme necessarie ma sviluppare una campagna disensibilizzazione a favore di una psichiatria non buonista ma efficace ed attenta alla dimensioneumana e sociale.
    Sarà importante convincere che questa è la psichiatria in grado di affrontare le prossime criticità.

    Gianfranco Conforti, MenteInPace Cuneo

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