di Mario Novello, psichiatra
da “Salute Internazionale”

Per Barbara Capovani

L’uccisione della collega Barbara Capovani ha suscitato indignazione e rabbia, pietas e vicinanza per la famiglia, per i colleghi e le persone che in lei trovavano un riferimento.

Le attestazioni di stima evidenziano che aveva scelto un campo caratterizzato non da pericoli e violenza, come si enfatizza oggi, ma da senso e valore, pur continuando la società a generare aree sempre più ampie di sofferenza psico-sociale e di marginalità, scaricandole sui servizi pubblici che così vengono indeboliti (1). 

Le vocazioni diminuiscono e professionisti validi si licenziano, contribuendo all’impoverimento delle risorse.

In passato, io stesso ero fortunosamente scampato a una fulminea e violentissima aggressione, potenzialmente letale, sulla porta di casa mia da parte di un uomo, con una storia di grandi difficoltà psico-sociali, fatto uscire dal carcere perché stava male e di cui ero stato, per due anni, il principale riferimento accanto al Centro di Salute Mentale.

Da quella aggressione due osservazioni preliminari: i) una relazione terapeutica e di sostegno positiva può trasformarsi in odio e distruttività, al di là di errori, colpe, cattive pratiche e/o disservizi; ii) chi giunge a tali azioni è comunque una persona con la propria storia psico-sociale di traumi e dolore, da ricostruire e da comprendere.

Comprendere è, infatti, un dovere etico, professionale e umano, una questione di metodo ed evita di lasciare pericolosi vuoti che alimentano inconsapevoli errori nei comportamenti, nelle relazioni e nelle organizzazioni, ma comprendere non significa giustificare. Ciascuno rimane responsabile delle sue azioni fino a prova contraria.

Non è accettabile che qualcuno debba morire così assurdamente, ma accade.

Ammetterlo non significa accettare con rassegnazione e inerzia che accada, come una ineluttabile fatalità, ma, dopo il dolore, siamo obbligati a una posizione lucida e razionale per tentare di evitare che si ripeta.

Se è accaduto, qualcosa ci è sfuggito di mano e non lo abbiamo capito, anche senza colpe.

Comprendere è un obbligo etico, professionale e istituzionale verso chi lavora e verso i cittadini che esprimono bisogni di salute, ma anche verso le vittime, attribuendo alla loro morte significato per gli altri affinché non accada più. 

È doloroso ma la morte e la vita hanno relazioni profonde, come la donazione di organi voluta da Barbara, testimonia.

Ogni volta che si verifica un incidente, ad esempio a un aereo o a una nave, è normale istituire una commissione che accerti i fatti per evitare che accada ancora, compiendo un’indagine senza pregiudizi con il solo scopo di mettere in luce il problema e porvi rimedio.

Anche in questo caso sarebbe auspicabile l’istituzione di una commissione, di cristallina onestà intellettuale e capace di muoversi liberamente all’interno dell’ampio repertorio delle conoscenze delle psichiatrie e delle ricche esperienze di salute mentale.

La conoscenza dell’omicida, Seung, pone alcuni problemi che ne aprono altri a catena, in un labirinto in cui non dobbiamo perdere il filo.

Alcuni punti cardinali:

  1. il problema dell’incontro e della storia è questione complessa, una delle contraddizioni fondamentali della psichiatria, e può declinarsi tra due estremi fondamentali:
  2. a) il primo è caratterizzato dallo sguardo che cerca il sintomo e la malattia come oggetto, a cui sono estranee la soggettività, la storia personale e l’incontro interpersonale. È lo sguardo che pietrifica, stabilisce una distanza e predetermina alcuni tipi di percorsi e di organizzazioni, di identità e di destini, di relazioni/non-relazioni/controrelazioni, condizionando la malattia e falsificandola.
  3. b) il secondo è caratterizzato dall’accoglienza e dalla comprensione, non in senso ingenuo e buonista, ma fenomenologico. Scrive Borgna (2) : «La sfida… è quelle indirizzata a indicare come l’analisi fenomenologico-antropologica binswangeriana abbia in sé, esplicite o implicite, conseguenze radicali nella prassi: sulle forme concrete con cui si svolga l’incontro con il paziente: con il suo mondo-della-vita (con la sua Lebenswelt)……La restaurazione della soggettività e della intersoggettività in psichiatria (che si rispecchia così drammaticamente nella analisi e nella descrizione della vita di Suzanne), e la conseguente sferzante contestazione del senso (nonsenso) di una «normalità» psichica astratta e formale, hanno condotto in ogni caso (al di là di ogni realizzazione pratica) alla riconsiderazione delle fondazioni epistemologiche della psichiatria».

Nella quotidianità i Servizi incontrano le persone e i loro bisogni offrendo per lo più l’affettività e le soggettività di chi vi opera, ma le due polarità, modi antitetici di concepire la scienza, di vedere il mondo e di agire, ne strutturano il campo di azione.

  1. il problema della diagnosi. Si legge che l’omicida presentava un disturbo di personalità con tratti antisociali, esponente di una neo-lombrosiana categoria bio-psico-sociale di individui con comportamenti violenti (“antisociali”), i “pericolosi” a prescindere dalla diagnosi, da cui la società si deve difendere, come stabiliva la antica legge manicomiale.

Gli schemi nosografici costituiscono convenzioni tra esperti che mutano nel tempo a seconda delle prospettive di conoscenza e delle “mode” e riflettono bisogni e interessi diversi (codifiche e sistemi assicurativi).

Nella quotidianità gli schemi nosografici (il sistema diagnostico DSM 5 è il più diffuso) producono e riproducono un doppio della realtà che non rappresenta la realtà.

Si è venuta sviluppando una concezione pericolosa: si considera che i disturbi della personalità, recente “invenzione”, non siano modificabili dagli psicofarmaci e, quindi, che una presa in carico sia inutile/impossibile. Nella categoria sono stati inseriti aspetti delle psicosi e bisogni sociali: l’etichetta diagnostica può nascondere sofferenze molto profonde, osservate unicamente nell’aspetto comportamentale “antisociale” e non riconosciute.

Dichiarate di “non competenza” e abbandonate al loro destino, le persone non trovano una sponda di aiuto e di cura, rimbalzate tra carcere e SPDC, tanto più “antisociali” quanto più respinte, spesso anche con la violenta complicazione dell’assunzione di sostanze psicotrope.

Questa è una pericolosissima concezione di una psichiatria “alienata” che si fonda e si misura sull’efficacia dei farmaci, espellendo da sé e dalla sua competenza ciò su cui i farmaci non hanno un effetto misurabile ed evidente, conoscenze comprese. 

Vengono così respinte persone con livelli complessi di sofferenza che richiedono accoglienza e cura. A chi dovrebbero rivolgersi? Si ripropone ogni giorno la domanda di Basaglia “Cosa è la psichiatria?”. E ancora Basaglia: «Avevamo una struttura esterna molto agile, nella quale era affrontata la malattia fuori dal manicomio. Vedevamo che i problemi riferiti alla pericolosità del malato cominciavano a diminuire: cominciavamo ad avere di fronte a noi non più una “malattia” ma una “crisi “. Noi oggi mettiamo in evidenza che ogni situazione che ci viene portata è una “crisi vitale“ e non una “ schizofrenia “, ovvero una situazione istituzionalizzata, una diagnosi. Allora noi vedevamo che quella schizofrenia era espressione di una “crisi “esistenziale, sociale, famigliare, non importa, era comunque una crisi.  Una cosa è considerare il problema una crisi e una cosa è considerarlo una diagnosi, perché la diagnosi è un oggetto mentre la crisi è una soggettività, soggettività che pone in crisi il medico, creando quella tensione di cui abbiamo parlato prima» (3).

  1. la tipologia dei Servizi e le dinamiche istituzionali hanno un reciproco e interattivo legame con i criteri che li animano e li sottendono, con il funzionamento e la declinazione nel tempo. Possono essere Servizi di Psichiatria o Servizi di Salute Mentale che promuovono la salute mentale dei singoli, delle famiglie e delle comunità. L’omicidio della collega richiede una ricognizione precisa della strutturazione dei Servizi, del loro funzionamento, degli obiettivi e delle dinamiche, dei percorsi delle persone nel “circuito psichiatrico”, dei fallimenti e delle frustrazioni (nessuno è esente), delle posizioni di proattività oppure di attendismo e altro. Il problema delle risorse è fondamentale ma non sufficiente se non si verificano obiettivi, stili e metodi, per quale “realtà”.
  2. il problema della violenza: la storia di G.P. Seung va guardata anche attraverso la lente della violenza, quella che può avere subìto e quella che può avere agito fino all’ultimo, individuando i contesti di rinforzo (i social in primis).

Nel mondo occidentale si assiste a una sorta di “sdoganamento” mentale della violenza.

Continue aggressioni nel mondo sanitario e nella scuola (“a me tutto subito” da parte di ‘padri e madri di famiglia’), femminicidi, violenze sessuali, bullismo e stragi, crescente criminalità di minori – emarginati o meno, pedofilia e istigazioni all’autodistruzione (anoressia e suicidio) in rete,  violenza negli stadi e nelle periferie, difficilmente controllabile da parte delle Forze dell’Ordine e con politiche inadeguate, mostrano una profonda crisi della società all’interno della quale si iscrive anche il dramma della collega.

Senza negare l’eventuale peso della malattia e delle dinamiche istituzionali nè la responsabilità personale di Seung, ma senza scaricare tutto sulla sua individualità.

Vengono richieste da alcune parti professionali misure organizzative e legislative:

* a sacrosanta tutela di chi lavora nel campo della Salute e delle attività fondamentali per la collettività, ma ogni misura implica l’implementazione quali-quantitativa dei Servizi

* ma anche che permettano l’internamento per pericolosità sociale, certificabile senza commissione di reati, prescindendo dalla Costituzione e dalla giurisprudenza. 

Ovvero viene richiesto un ritorno alla L 36/1904 quando i ricoveri in manicomio avvenivano con la sola ‘diagnosi’ di pericolosità sociale e questo è da respingere con assoluta decisione.

I fondamenti scientifici ed epistemologici della psichiatria entrano in fibrillazione e si crea una tensione insanabile con i diritti costituzionali.

La Sentenza della Cassazione, Sez. Penali Unite., n. 9163, 2005, in tema di imputabilità, evidenza la delicatezza del problema: «l’ideologia dell’epoca…rifiutava il principio di presunzione di innocenza dell’imputato (ritenuto il portato “delle dottrine demoliberali, per cui l’individuo è posto contro lo Stato, l’autorità considerata come insidiosa e sopraffattrice del singolo” e faceva dire ad altre autorevoli espressioni della dottrina dell’epoca che “lo Stato Fascista, a differenza dello Stato democratico liberale, non considera la libertà individuale come un diritto preminente, bensì come una concessione dello Stato accordata nell’interesse della collettività”, riaffermandosi “l’interesse repressivo” come suo “elemento specifico” e giungendosi… alla richiesta estrema di sostituire la regola in dubio pro reo con quella in dubio pro republica. Ma i tempi sono cambiati. La Costituzione…».

Bibliografia
1. Basaglia F, Ongaro Basaglia F. La maggioranza deviante. 1971. Einaudi, Torino.
2. Borgna E. Introduzione a: Binswanger L. Il caso Suzanne Urban. Storia di una schizofrenia. 1994. Marsilio Editori, Venezia.
3. Basaglia F. Conferenze Brasiliane. 2000.Raffaello Cortina Editore, Milano.