A conclusione di un lavoro iniziato nel 2014, il Ministero della Salute ha pubblicato le “Linee guida per la programmazione degli interventi di assistenza e riabilitazione nonché per il trattamento dei disturbi psichici dei titolari dello status di rifugiato e dello status di protezione sussidiaria che hanno subito torture, stupri o altre forme gravi di violenza psicologica, fisica o sessuale”.

Il documento si propone di definire delle indicazioni che siano  uniformi a livello nazionale per l’individuazione, la presa in carico e la certificazione dei rifugiati e richiedenti asilo ( in Italia, al 31 dicembre 2015, erano 103.792) vittime di tortura e dei soggetti più vulnerabili: circa il 25-30% dei rifugiati ha subito esperienze di violenza che rientra nella categoria dei cosiddetti “traumi estremi”. Come si legge nel documento: “gli eventi traumatici che colpiscono i richiedenti e titolari di protezione umanitaria determinano gravi conseguenze sulla loro salute fisica e psichica con ripercussioni sul benessere individuale e sociale”.

Le linee guida sono nate dal lavoro congiunto di UNHCR, Ministero della Salute e molteplici realtà territoriali e nazionali per la promozione della salute mentale dei migranti. E’  significativo che esse si rivolgano non solo a chi sia già titolare dello status di protezione internazionale o umanitaria, ma anche a richiedenti asilo e alle domande presentate sia nel territorio degli Stati che alla frontiera, in acque territoriali e nelle aree di transito.

La migrazione rappresenta un’importante fonte di rischio per la salute mentale, considerando l’articolazione del suo intero processo: le condizioni di violenza da cui si fugge, quelle del viaggio e la precarietà dell’ accoglienza. Come metteva in luce l’indagine presentata da Medici senza Frontiere nel 2016 sui bisogni di salute mentale tra i richiedenti asilo,  il 60% dei pazienti visitati nei Centri di accoglienza straordinaria (Cas) presentava sintomi di disagio mentale connesso ad eventi traumatici, prima o durante il percorso di fuga. Di questi, l’87% peggiorava a causa delle difficili condizioni di vita nei centri.

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