di Natasa Stuper

In Croazia i manicomi esistono ancora. Attraverso le voci dei protagonisti, vi presentiamo un quadro della situazione nella Regione istriana, meta estiva di turisti provenienti da tutt’Europa in cui però, a quanto pare, non c’è diritto di cittadinanza per le persone affette da disturbi mentali. I familiari e i soggetti coinvolti cercano lo stesso di organizzarsi per far sentire la propria voce in un contesto difficile.

«Spesso venivo legata a letto senza una reale motivazione, quando il mio unico desiderio era quello di poter parlare con qualcuno del mio problema». Ci ha reso questa testimonianza Maria, una donna di 40 anni la quale ha avuto la sfortuna di essere ricoverata in manicomio in Istria, la più grande penisola del mare Adriatico, appartenente per la maggior parte del suo territorio alla Croazia.

Pur essendo a due passi da Trieste, poco o niente dell’esperienza di superamento dell’ospedale psichiatrico del capoluogo giuliano sembra essere stato recepito nella Regione istriana.

“Non mi permettevano di uscire”, continua Maria a proposito della vita in manicomio, “le mie giornate le trascorrevo a letto, nella speranza di non prendermi i pidocchi perché non ci facevano fare il bagno».

L’esperienza di Maria assume connotati ancora più drammatici nel quadro complessivo del disagio mentale della penisola croata.

Dall’ampia analisi statistica pubblicata nel 2008 nel Registro Croato delle Psicosi (Registar za psihoze), dell’Istituto Nazionale Croato per la Salute pubblica (Hrvatski zavod za javno zdravstvo, HZJZ), i disturbi psichici si trovano al settimo posto tra le malattie maggiormente diagnosticate e tra le principali cause di ricovero in ospedale. Tuttavia, i risultati dell’indagine mostrano che, in base ai giorni di degenza in ospedale, i disturbi psichici (dovuti anche ai problemi di dipendenze ad alcol e droghe) salgono addirittura al primo posto, con un’incidenza del 22 %. In pratica, significa che in media ogni cinque giorni si verifica un caso di ricovero per disturbi psichici. «La malattia più diagnosticata è la schizofrenia, e questo fa scalare la salute mentale in cima alle priorità sanitarie di tutto il Paese», afferma Helena Marčinko, psichiatra di Pola. «L’Istria, assieme alla costa dalmata, è tra i territori europei quello che ha la più alta percentuale di persone affette da disturbi psichici».

«La schizofrenia è la malattia mentale vista con più sospetto dalla società», continua Marčinko. «Le persone si spaventano di fronte a qualcosa che non conoscono e che risulta inaspettato e incontrollabile, come può essere una persona schizofrenica. Le persone schizofreniche, provocando negli altri sentimenti di paura”, continua Marčinko, “assumono un atteggiamento che possiamo definire autistico, ma che li aiuta a difendersi da possibili danni emotivi”.

In Croazia la malattia mentale è ancora molto legata alla pericolosità sociale. Si cerca di abbattere i pregiudizi attraverso una comunicazione adeguata e dando forza alle associazioni di familiari e pazienti.

«Per fortuna, oggi dai mass media ci arrivano sempre più informazioni che portano alla demistificazione della malattia mentale», continua la psichiatria di Pola. “In Istria ci sono sempre più persone che frequentano le terapie sociali e che desiderano combattere lo stigma”.

Per facilitare il raggiungimento di questi obiettivi esistono associazioni come la URIOS (Udruga roditelja i obitelji oboljelih shizofreničara – Associazione genitori e famiglie di malati di schizofrenia), nata un anno fa, con sede a Parenzo, una cittadina sulla costa occidentale.

“All’inizio non avevo l’appoggio da parte dei miei famigliari”, ci racconta Branka Farkaš, presidente dell’associazione. “Molte persone non volevano accettare il fatto che tutti avrebbero saputo che i miei figli soffrono di schizofrenia. Ritenevano che di queste cose non bisognasse parlare pubblicamente, e non credevano affatto che sarei riuscita a portare avanti i miei scopi”.

Branka è madre di Andrija e Mirko, due ragazzi di 24 anni. Il primo che si è ammalato improvvisamente è Andrija e, successivamente Mirko, il suo gemello omozigote. “Suo figlio ha la schizofrenia, una grave malattia mentale di cui non esistono le cure». Sono state queste le parole che ha sentito Branka dai medici quando si è trovata di fronte la diagnosi della malattia dei suoi figli. «Ho avuto da sempre il terrore dei malati mentali. Se passavo di fronte al manicomio, mi spaventavo alla vista di tutte quelle sottili mani che spuntavano dalle sbarre per chiedere una sigaretta».

Già dopo quattro mesi dalla sua fondazione, la URIOS ha cominciato a organizzare diverse attività sociali dove i malati e le loro famiglie imparano a relazionarsi meglio con la malattia e con gli altri, con lo scopo di reintegrarsi nuovamente nella società. «Abbiamo presentato al Ministero della Salute e delle Politiche Sociali la proposta di modifica dell’attuale legge sull’invalidità civile, che purtroppo non viene riconosciuta alle persone che si sono ammalate dopo il diciottesimo anno d’età». Infatti, le famiglie, non ricevendo nessun aiuto economico dallo stato, sono costrette a portarsi sulle spalle il peso delle spese mediche.

Il sistema psichiatrico croato si basa sulla medicalizzazione della malattia. La psichiatra Helena Marčinko è tra coloro che cercano di porre qualche argine a questa deriva ispirandosi al lavoro di Basaglia. “Ho iniziato a studiare medicina quando in Italia c’era la riforma e mi sono subito avvicinata a quell’ approccio” spiega, «e oggi le mie terapie seguono questa linea».

Le situazioni in cui si trovano gli internati nei manicomi istriani ci riportano alla tragica attualità. “L’ospedale psichiatrico di Pola è vecchio e cade a pezzi, i pazienti sono da soli tutto il giorno, non c’è la TV e non ci si spreca nemmeno per mettere a disposizione qualche gioco sociale a cui i pazienti possano dedicarsi”, continua Branka. “I miei figli durante il periodo del loro ricovero hanno parlato con i medici solamente una volta, e mi raccontavano di situazioni in cui hanno assistito a abusi fisici e che loro stessi avevano subito da parte dei dipendenti dell’ospedale”.

La stessa Marčinko ci racconta la situazione drammatica che regna nell’ospedale di Pola. “Anche trovandosi di fronte alla triste realtà, la Commissione Sanitaria, che dovrebbe regolamentare la situazione negli ospedali, non prende nessun provvedimento”.

“Quando i miei figli, finito il ricovero, tornavano a casa, sembravano degli zombie dalla quantità di farmaci ingeriti”, ci dice Farkaš.

Gente abbandonata per anni in questi lager, dove “cure” farmacologiche e isolamento non fanno altro che compromettere ulteriormente l’identità di una persona. Ma “l’importante” è togliere dalla società tutto quello che non è gradito dal “comune buon senso”.

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