Lo rileva il Pd lombardo fornendo dati rielaborati sulla base di quelli del ministero della Salute. Sempre secondo questa “classifica” la media nazionale dell’ospedalità privata sarebbe del 36,5%. Dopo la Lombardia ci sono Lazio, Sicilia e Puglia.

23 APR – E’ vero che la Lombardia non è la regione in Italia con il numero più alto di posti letto privati, come ricorda sempre il suo presidente, Roberto Formigoni, ma è invece la prima per volume economico gestito dal privato accreditato. I fondi per le prestazioni che la Regione paga al privato accreditato rappresentano infatti il 44% dei costi del servizio sanitario regionale (su 17 miliardi di euro totali del bilancio), ossia il volume d’affari più alto di tutte le regioni italiane, comprensivi di funzioni tariffate, non tariffate e progetti speciali. A spiegarlo è il gruppo consiliare del Pd lombardo che, rielaborando dei dati del ministero della Salute, ha tirato fuori alcune cifre interessanti presentate in una conferenza stampa al Pirellone.

“Analizzando i costi del servizio sanitario – spiega il consigliere Alessandro Alfieri – emergono diversi modelli erogativi adottati. In Italia in media il 63% dei costi è riconducibile all’assistenza erogata da enti a gestione diretta e il 36,5% da enti privati convenzionati e accreditati”. A livello regionale si configurano però due modelli estremi: quello di Valle d’Aosta, provincia autonoma di Bolzano, Friuli Venezia Giulia, Toscana, Umbria e Marche, dove prevalgono gli erogatori pubblici con oltre il 70% del totale, e quello di Lombardia, Lazio, Puglia e Sicilia, dove il ricorso ad erogatori privati è più consistente. La prima appunto è la Lombardia con il 44%, cui segue il Lazio con il 42%, la Sicilia e la Puglia con il 40%. Per quanto riguarda il numero di posti letto nel privato accreditato, è vero che le prime sono Calabria, Campania, Lazio e Sicilia, mentre la Lombardia è sesta con Abruzzo e Piemonte. “Tuttavia – aggiunge Alfieri – se si rielaborano i dati, come ha fatto il Cergas Bocconi, includendo tra gli erogatori privati anche gli Irccs di diritto privato, i policlinici privati, gli ospedali classificati e gli istituti qualificati presidio asl, allora la classifica cambia e le regioni con la quota di privato più consistente diventano Lazio, Calabria, Lombardia e Puglia”.

E a ulteriore dimostrazione di quanto il privato ‘conti’ in Lombardia, il Pd ha richiamato anche alcuni dati sui fondi impegnati nel bilancio regionale, dal 2008 al 2010, con i bandi per i progetti speciali assegnati tramite la cosiddetta ‘Legge Dacco” (che concede alle strutture private accreditate no profit fondi per migliorare le strutture di assistenza sanitaria). Su un totale di 176 milioni di euro, il 53% è stato destinato a sole due strutture, il San Raffaele e la Fondazione Maugeri, per un totale di 84 milioni di euro. Cifre su cui la Regione Lombardia ha subito fatto arrivare la sua puntualizzazione, spiegando che “non c’è mai stato nessun favoritismo nei confronti della Fondazione Maugeri né del San Raffaele, e che tra il 2008 e il 2010 con la legge del non profit alla Maugeri sono stati erogati non 30 milioni ma un quarto: 7,4 (esattamente 7.383.815), mentre al San Raffaele non 54 milioni ma 36,5 milioni (per l’esattezza 36.585.000). In totale dunque non 84 milioni ma 44 milioni”.

Ma il Pd spiega che il fatto che su 84 milioni di euro, ne siano stati erogati solo 44 finora, non significa che il resto dei soldi non andrà alle due strutture. I bandi prevedono una rendicontazione e la Regione eroga i soldi man mano che le vengono presentate le fatture relative ai progetti. “Ma se si compra un nuovo macchinario per la tac ad esempio – spiegano i tecnici del Pd – generalmente lo si fa a rate, e quindi le fatture vengono presentate dopo un determinato periodo. Ciò non toglie che questi fondi siano stati impegnati e immobilizzati nel bilancio regionale per queste strutture, anche se non completamente erogati. Ma prima o poi lo saranno”. E visto tutti i soldi che i privati accreditati ricevono, “non si può più sorvolare sul tema dei controlli – conclude Alfieri – che devono essere più stringenti e più efficaci, e poter verificare puntualmente l’appropriatezza delle prestazioni erogate. Come un’associazione o un’impresa, dunque, anche le fondazioni no profit che ricevono soldi pubblici per fornire prestazioni sanitarie o assistenziali a prezzi congrui, dovrebbero poter dimostrare sia di avere bilanci sani sia di non avere rami societari che fanno profitto”.

A.L.

(da Quotidianosanità.it)

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