di Giovanni Rossi

Nel mondo ci sono 800 centri che collaborano con l’Organizzazione Mondiale della Salute. Sottoposti ad una valutazione ogni 4 anni, essi la affiancano nel promuovere e mettere in pratica i suoi programmi. Ad un solo centro è riconosciuta l’idoneità a valutare i servizi di salute mentale. Questo centro si trova a Verona (Psichiatria e Psicologia clinica dell’Università), e lo scorso venerdì ha celebrato con un convegno i suoi 25 anni di collaborazione con l’OMS.

Dal convegno “New frontiers for better mental health care” sono venute alcune prove (evidence) che è meglio conoscere.

Nel mondo c’è un gap tra il carico di sofferenza per problemi di salute mentale e risorse di cura impiegate. La sofferenza legata alla salute mentale rappresenta il 13% della sofferenza globale, ma le risorse dedicate rappresentano solo il 3% del totale delle risorse pubbliche. Il gap è presente anche nei paesi ricchi, cui appartiene l’Italia (6,89% delle risorse). A questo gap fanno fronte le famiglie con le loro risorse economiche.  Quando però le risorse economiche scarseggiano le prime prestazioni che le famiglie tagliano sono quelle per le cure dei denti e per la salute mentale.

Un’ulteriore ostacolo è costituito dalla centralizzazione delle risorse (negli ospedali, spesso ancora manicomi dove si lega e abbandona) mentre è dimostrato che il bisogno di cura delle persone si trasforma in domanda ai servizi in proporzione alla distanza fisica di questi ultimi. E’ una osservazione che già nel 1850 aveva fatto Jervis, che il centro di Verona conferma. Avendo affinato gli strumenti di analisi, grazie ai programmi ed alle mappe elettroniche ora si calcolano le distanze stradali  effettive, e non più quelle lineari.

Questo significa che i punti di contatto tra persone che domandano e gli operatori professionali andrebbero moltiplicati e decentrati. Il primo fattore di accessibilità essendo la vicinanza. Ovviamente tale indicazione dovrebbe riguardare i Centri per la salute mentale (1 ogni 50.000 abitanti?) ma è importante anche per i servizi ospedalieri. Luoghi in cui avviene prevalentemente il primo contatto per le persone con problemi gravi. Che nel 20% dei casi vengono ricoverate con un trattamento sanitario obbligatorio.

Le persone con problemi di salute mentale, soprattutto nei casi più gravi, sono particolarmente fragili. Si calcola che la mortalità evitabile per queste persone sia quattro volte quella presente nella popolazione generale. Ciò è dovuto in parte alla mancanza di adeguate soluzioni terapeutiche, ma soprattutto alla carenza nelle politiche sanitarie.

Ne consegue la deprivazione della persona che sta male. E’ la disuguaglianza cui la società e le sue istituzioni dovrebbero rimediare. Ma spesso non accade. Anzi persiste e si amplia un altro fattore di disuguaglianza : lo stigma. Che persiste  per le persone con problemi di schizofrenia. E si amplia alle persone con depressione maggiore.

La precoce e maggiore mortalità delle persone con problemi di salute mentale non si deve ad atti violenti come il suicidio, quanto piuttosto a malattie cardiovascolari e metaboliche. Ad agire sono gli psicofarmaci con i loro effetti collaterali e la passività della vita con le merendine, le sigarette e la sedentarietà. Sono queste le prime persone per le quali, andrebbero attivati programmi di educazione alimentare ed al movimento. Naturalmente con modelli che privilegino la partecipazione attiva delle persone. E’ evidente che mangiare e camminare sono comportamenti sociali che non possono essere prescritti dallo psichiatra ma presuppongono la condivisione : della persona che ha il problema, dei familiari e vicini, del medico di famiglia, dei volontari e delle associazioni sportive, etc.

Il caso della salute mentale sembra fatto apposta per dimostrare le teorie di A. Sen sull’uso efficiente delle risorse in sanità. Sostiene Sen che, a parità di risorse disponibili, si otterrà una maggiore efficacia degli interventi, se la decisioni su quali adottare sarà presa attraverso un processo democratico.

Purtroppo  non si trova traccia di tutto  ciò nel recente documento di riorganizzazione della psichiatria prodotto dalla direzione dell’azienda ospedaliera di Mantova. Non c’è traccia di partecipazione. Si progetta  il distanziamento, fisico e culturale, dei servizi dalla popolazione. Si sviluppa un’applicazione della logistica al paziente psichiatrico, che come un pacco viene fatto girare da una struttura all’altra. E non è che non ci siano le prove di quello che scritto sopra, basterebbe chiederle a Verona. Un quarto d’ora d’autostrada da Mantova

La parola di oggi è evidenza

Fatevi sentire

http://rossi-mantova.blogautore.repubblica.it/2012/09/24/e-meglio-sapere-che/

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