unnamedChi volesse dedicare un po’ del suo tempo a leggere i programmi delle scuole di specializzazione, a sfogliare i libri di testo suggeriti, la letteratura e gli articoli scientifici reperibili negli istituti, troverebbe un mondo pulito, silenzioso, geometrico. La Ragione, in quei luoghi, domina la follia come dal giorno stesso della nascita della psichiatria. Nella copiosa letteratura psichiatrica non si trova ombra di una sofferenza, di un dolore umanamente comprensibile, non un odore, non un grido, una voce, un silenzio. Non una prepotenza subita o esercitata. Emozioni e sentimenti raggelati nel linguaggio della clinica si sovrappongono alle persone, come sintomi, e vengono sigillati in impenetrabili contenitori. Nel bagaglio culturale che i giovani operatori, e gli psichiatri in particolare, porteranno nei loro percorsi lavorativi non c’è traccia alcuna di persone, di salute mentale, di organizzazioni. Soltanto la presenza incontrastata di una psichiatria che vuole apparire “moderna” senza riuscire a liberarsi dalle antiche origini. Benché i più importanti documenti prodotti nel nostro Paese, dall’OMS, dal Parlamento Europeo parlino di salute mentale e della centralità della persona; benché si affermi il diritto inalienabile all’uguaglianza e alla libertà di tutti i cittadini, anche se folli; benché le parole cittadino, persona, individuo, ricorrano ossessivamente nella Dichiarazione di Helsinki dell’OMS del 2005 e nel Libro Verde del Parlamento Europeo i programmi di insegnamento, i contenuti culturali e scientifici, le forme pratiche di tirocinio ripiegano senza entusiasmi sulle psichiatrie di sempre e con uno stanco sguardo all’indietro corrono verso un passato che tutti abbiamo negli occhi. Anche l’Angelo della Storia ha la testa rivolta all’indietro, ma corre veloce, come in una tempesta, verso il futuro. Diagnosi, sintomi, malattie, includendo anche quelle più recenti (o più di moda, o più redditizie), scale e misurazioni occupano per cinque anni i giovani medici, e per tempi diversi infermieri, tecnici e psicologi in formazione. L’allusione alle farmacologie è quanto mai evidente.

L’accettazione acritica del recente DSM V non può che confermare una psichiatria accademica, e quella del nostro paese, sempre supina alle più banali tra le culture anglofone che invece andrebbero attraversate e studiate alla luce di quanto siamo in grado di fare oggi nel nostro paese. E a Big Pharma.

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