di Daniele Pulino

Nel consiglio regionale sardo si è parlato di contenzione, e se ne riparlerà ancora. L’occasione è stata un’ennesima vicenda di cattiva psichiatria nel servizio psichiatrico di diagnosi e cura dell’ospedale Santissima Trinità di Cagliari, dove alla fine di luglio un giovane di poco più di vent’anni al suo primo ricovero è stato legato al letto. L’immediata denuncia della dell’Associazione Sarda per l’Attuazione della Riforma Psichiatrica (ASARP) è stata seguita il 29 luglio da un’interrogazione dei consiglieri del Partito Democratico Marco Espa, Mario Bruno, Pierluigi Caria, Valerio Meloni e da un comunicato della Federazione di Cagliari di Rifondazione Comunista, indirizzato all’assessore Liori e al presidente della commissione sul Sistema Sanitaro Nazionale Ignazio Marino . I diversi documenti chiedono di far chiarezza sulla mancata attuazione del Piano Sanitario Regionale del 2007, in particolare nel punto che prevede che i Dipartimenti di Salute Mentale, ovvero le strutture che coordinano i servizi psichiatrici nelle ASL, si dotino di programmi per prevenire le condizioni che portano all’uso di forme di contenzione fisica.

L’episodio che ha fatto scattare la denuncia purtroppo non è isolato, né in Sardegna né in Italia, ma questa volta la denuncia e la protesta sono arrivate fino al consiglio regionale, e questo fatto forse aiuterà a non dimenticare altre storie drammatiche dell’assistenza psichiatrica isolana, e una in particolare, quella di Giuseppe Casu, venditore ambulante di frutta e verdura di Quartu S. Elena, morto nel giugno 2006 dopo 7 giorni di contenzione in questo stesso reparto. La vicenda, oltre a suscitare un dibattito profondo sulla contenzione in psichiatria, ha dato avvio a due procedimenti giudiziari tutt’ora in corso che riguardano uno l’accusa di omicidio colposo a carico del primario del servizio e della psichiatra che avevano in cura il sig Casu, l’altro per la sparizione di alcuni reperti anatomici del sig. Casu che coinvolge il primario di anatomia patologica. Primari sospesi dall’allora Direttore Generale della ASL Gino Gumirato ma reintegrati entrambi dalla nuova Direzione dopo poco più di un mese dalla vittoria del centrodestra alle regionali del 2009. Che questo fosse il segnale di un cambiamento di rotta rispetto alla politica di salute mentale che la giunta Soru aveva voluto e portato avanti negli anni precedenti era sembrato evidente anche all’osservatore più distratto. Da quel momento, nell’ultimo anno e mezzo, si sono susseguite le riduzioni negli orari di apertura dei servizi territoriali, in primo luogo di quelli aperti nelle 24 ore, la diminuzione del personale e, in generale, un passo indietro rispetto ad una programmazione sanitaria di alto livello a cui in molti fuori dall’isola avevano guardato con attenzione. Tra le trasformazioni più importanti che questa programmazione proponeva, spiccava appunto il tentativo di eliminare la contenzione fisica dai reparti di psichiatria. Corsi di aggiornamento per il personale, creazione di nuovi reparti, riqualificazione degli spazi, inserimento di nuove figure professionali avevano portato a risultati incoraggianti e, per un periodo di quasi un anno, alla scomparsa della contenzione. Che quando la politica fa dei passi indietro i diritti fondamentali siano i primi ad essere colpiti sembrerebbe una costante che tende a ripetersi e nel momento in cui è arrivata una nuova gestione della sanità, apparentemente interessata più a logiche di spoil system che a modalità di governo di servizi rivolti alla promozione della salute dei propri cittadini, le persone hanno ripreso ad essere legate.

Certo esiste una psichiatria che lega non solo a Cagliari e non solo nell’isola e poi, dirà qualcuno, si lega solo in casi limite, come soluzione estrema. Questa la risposta che spesso veniva data in passato, quasi a voler trovare una giustificazione che potesse auto-assolvere le responsabilità di una politica assente e di una classe medica che non si interrogava sulle alternative possibili.

L’interrogazione all’assessore Liori ci dice che questa risposta oggi non è più sufficiente. I trent’anni che hanno seguito la legge di chiusura degli ospedali psichiatrici, luoghi della contenzione e della negazione dei diritti per definizione, hanno visto moltiplicarsi in diverse città italiane, le esperienze di servizi psichiatrici ospedalieri che non usano mezzi di contenzione e lavorano tenendo le porte aperte. Queste realtà di “psichiatria slegata” che si sono realizzate in contesti territoriali molto differenziati, nel nord come nel sud del paese, e che nel servizio di Cagliari si continua a fingere di non conoscere, sono diventate ormai dei riferimenti ideali per la parte più attenta della classe politica sarda, ma anche per tutti quegli operatori (medici, psicologi, assistenti sociali educatori) che cercano di lavorare convinti che la qualità dell’assistenza passi per il rispetto dei diritti.

Pubblicato su il manifesto sardo n. 81 – 1 settembre 2010

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