ho scritto a tutti i miei amici 
per cercare di riportare lo scontro con una giunta regionale ideologicamente ostile e sorda su questioni che vogliono tener conto dell’umano.

Ieri Il Piccolo di Trieste ha pubblicato.
di Peppe Dell’Acqua
19 marzo 2022

Da tempo avrei voluto scrivervi. Non certo per parlarvi ancora dei concorsi per dirigenti dei servizi territoriali che a dire di molti hanno avuto un andamento a dir poco bizzarro; e neanche di un iniziale rifiuto inspiegabile dell’assessore regionale a realizzare il PNRR e le Case della comunità; e certamente non voglio dirvi dei fragilissimi direttori generali e dell’oscuro impianto degli atti aziendali. Di tutto questo già sapete e avete espresso la vostra indignazione.

Voglio parlarvi delle quotidiane fatiche che fanno le persone, i cittadini, gli individui per curare la loro salute vivendo senza timori superflui la minaccia della malattia. Non so con quanta consapevolezza si parla di medicina territoriale, di distretti, di micro aree in un momento come questo dove non possiamo non cogliere il bisogno di una singolare vicinanza, di una cura sollecita a un capitale prezioso che è la comunità partecipante. 

Mi occupo di matti da ormai troppo tempo e ho avuto modo di incontrare in momenti e in regioni diverse amministratori, assessori, accademici. I più facevano e fanno fatica a comprendere che salute mentale non è psichiatria e che curare una persona che vive l’avventura del disturbo mentale, non è predisporre letti, sistemi di controllo e di sicurezza; del centro di salute mentale 24h/7g neanche a parlarne. Nei tanti anni di lavoro, più di 50, ho trovato pochi amministratori disposti a mettere in crisi le loro certezze per cercare di capire. 

Molti amministratori, anche nella nostra regione purtroppo, continuano a pensare che un centro di salute mentale nella comunità sia poco più di un servizio ambulatoriale specialistico di psichiatria dove uno psichiatra, in camice bianco, impegna le sue ore di servizio per fare diagnosi, per prescrivere farmaci, per inviare lontano, in “strutture”, quelli che sono di peso, di fastidio, poveri e inguaribili. Gli scarti direbbe Francesco. Ma anche per ricoverare in ospedale quelli più recalcitranti, “violenti”, riottosi dove possono essere sedati, legati, impediti; e perché no, scomparire nelle cliniche private e in luoghi misteriosi “ad alta protezione”.

Ma noi siamo stati fortunati. Fino a poco più di qualche anno fa i nostri amministratori, “di destra e di sinistra” sapevano che un centro di salute mentale non può che essere un luogo attraversabile, un passaggio, uno spazio di accoglienza e di ristoro. Un luogo familiare dove le persone del rione possono andare per dire e per far sentire il proprio male. Coglievano bene il significato delle 24h. 

Ventiquattro ore perché il centro dispone di ospitalità notturna e le persone possono essere accolte per periodi di tempo estremamente variabili. A Trieste e Gorizia ci sono 6 aree territoriali con 6/8 posti letto ognuna. Il centro h24 è diventato uno degli strumenti più efficaci di risposta alla crisi, per periodi in cui c’è la necessità di dare protezione o tutela, per offrire aiuto e distanza, talvolta necessaria, sia al paziente che alla sua famiglia e dove senza ricorrere a violenze e mortificazioni si possa negoziare il Trattamento sanitario obbligatorio (TSO). 

Si dice sempre dei riconoscimenti internazionali di questi dispositivi e degli invidiabili risultati del sistema Trieste. Ma più che le medaglie, la soddisfazione che esprimono prima di tutto le persone che vivono l’esperienza, i familiari, le associazioni ci conforta e ci spinge ad andare avanti.

Altro che ambulatorio! 

Il centro è un dispositivo che pretende la presenza di diverse figure professionali e di attenzione consapevole degli amministratori, dei sindaci, degli assessori. Il centro di salute mentale non può sfuggire a una scelta di campo ruvida e rischiosa: vuole rispondere a domande, talvolta drammatiche, di persone, in specie giovani, che vivono o hanno superato problemi di disturbo mentale, anche molto severo e che hanno bisogno di infinite e umane attenzioni.  E vuole farsi carico insieme ai familiari del peso talora insopportabile di un figlio o di una figlia che sembra fatalmente perduta.

Sembra che i nostri amministratori oggi, in una sorte di ostilità ideologica, non sappiano più che chi ha vissuto la sofferenza mentale, chi per un momento della sua vita ha perduto il contatto con la realtà, chi si è sentito irrimediabilmente sconfitto o al contrario onnipotente vincitore, chi ha sentito il mondo ostile e nemico, chi si è visto costretto a rinunciare per questa e per altre ragioni ai suoi sogni, ai suoi progetti e ha dovuto imparare a soffocare la sua inquietudine, ad annullare la sua curiosità, a cancellare la sua creatività, a rinunciare alle relazioni ha bisogno di ogni cosa per rimontare, per riprendersi la vita. Dopo esperienze di tal genere si trova il vuoto intorno. Gli strumenti culturali si sono impoveriti. Si fa fatica a leggere la realtà. Si è distanti dai luoghi dello scambio e delle relazioni.

Il linguaggio, le capacità comunicative, le abilità lavorative si sono ristrette o non sono più adeguate. E malgrado queste ineludibili evidenze, molte psichiatrie “della distanza e della pericolosità”, che abbiamo tenuto lontano dalla nostra regione con fatiche indicibili, sembrano ora gradite e attraenti per i nostri amministratori. 

Parlare, abitare, ritornare nelle relazioni. riprendere con curiosità diversa i libri abbandonati, lavorare ma anche scrivere, cantare, fare teatro, giocare a calcio, riprendere in mano il violino o la fisarmonica. Osare persino di innamorarsi. E di guarire.

I programmi di un Centro di salute mentale vogliono prestare attenzione a questi momenti intensi  e singolari e cercano di dare valore alla fatica del vivere quotidiano, si impegnano a non tradire le aspettative, le attese che ancora e sempre resistono. Programmi che servono a scoprire strumenti sempre singolari per leggere la realtà intorno, costruire opinioni proprie, cercare assieme agli altri il coraggio per schierarsi.

Sopportare le ferite del conflitto che è nelle cose, nelle relazioni, nel rischio mortale dell’incontro.

Avere consapevolezza della propria realtà, della propria storia, dei propri limiti è di per sé un elemento che genera capacità nuove, risorse utili per raggiungere la propria indipendenza, identificare un proprio stile di vita e il piacere della comunicazione.

Il sindaco di Trieste, di recente a proposito delle programmazioni aziendali ha dichiarato che chiediamo centri di salute mentale per collocare in posti di prestigio “gli amici e gli amici degli amici”. Da quindici anni responsabile della salute di tutti i triestini è il sindaco che firma le ordinanze del trattamento obbligatorio. 

In questa circostanza non una sola parola a difesa dell’organizzazione sanitaria della sua e nostra città a rischio di radicale devastazione nei disegni del governo regionale.  Continua ostinatamente a manifestare indifferenza. E io a non capire.

da “Il Piccolo”