La lettera aperta dell’ASARP:

Gentile Presidente Pigliaru, Gentile Assessore Aru,

facendo seguito alla presa di posizione dell’UNASAM sul grave stato in cui versano i servizi di salute mentale in Italia (documento che alleghiamo alla presente),  le Associazioni aderenti all’UNASAM impegnate in tutte le regioni d’Italia fanno il punto, regione per regione, sulle criticità locali indicando precise proposte da sottoporre alle autorità locali.

In Sardegna la situazione non è più tollerabile, e sono necessarie politiche sanitarie e scelte economiche, precise e coraggiose, da parte dei rappresentanti istituzionali, finalizzate a garantire, su tutto il territorio regionale, servizi sanitari e sociali di qualità ed efficacia, orientati a percorsi di guarigione e di empawerment.

In Sardegna si era avviato, durante la Giunta Soru, un processo di profondo cambiamento culturale e pratico nei servizi di salute mentale, nel pieno rispetto della Legge di Riforma Psichiatrica e della Legge di Riforma Sanitaria, e di quanto indicato dalla Commissione Europea e dall’Organizzazione Mondiale della Sanità.

Questo importante processo si è drammaticamente interrotto (riproponendo le vecchie e inaccettabili pratiche psichiatriche), durante la Giunta Cappellacci e la gestione della sanità pubblica da parte degli Assessori Liori e De Francisci.  Da oltre cinque anni, quindi, i servizi territoriali di salute mentale si sono impoveriti di risorse umane e finanziarie, e le pratiche coercitive hanno ritrovato legittimazione nei Servizi Psichiatrici di Diagnosi e Cura.  Le norme regionali e nazionali sono state completamente disattese e stravolte.

Nel nostro territorio i servizi di salute mentale si sono ridotti a pura attività ambulatoriale con visite periodiche finalizzate al controllo e alla prescrizione farmacologica. Ben altra cosa quindi dalla presa in carico globale e dai percorsi di cura personalizzati orientati alla recovery.

In questi anni difficili, non abbiamo smesso di sollecitare le ASL e la Regione a porre in essere quanto di loro competenza per assicurare cure adeguate e sostegno alle circa 30.000 persone in carico ai servizi di salute mentale e alle loro famiglie, senza purtroppo alcun risultato concreto.

Nella maggior parte del territorio della Sardegna, operano ambulatori psichiatrici aperti qualche giorno alla settimana, con pochissimi operatori sprovvisti di strumenti operativi, impossibilitati a costruire percorsi di cura riabilitativi, impossibilitati a garantire interventi domiciliari tempestivi e continuativi.

Nelle principali città, operano centri di salute mentale aperti 12 ore, non tutti i giorni della settimana,  ma con altrettanta scarsezza di mezzi e personale. Possiamo fare l’esempio del centro di salute mentale di Cagliari via Liguria (c/o la Clinica Psichiatrica Universitaria) dove opera una sola assistente sociale. Che tipo di servizio può offrire un CSM che non ha nel suo organico un sufficiente numero di assistenti sociali? In ogni percorso di cura è fondamentale la partecipazione dell’assistente sociale, anche per l’individuazione delle risorse del territorio e l’attivazione delle stesse, per la buona riuscita di un progetto riabilitativo orientato ad un percorso di guarigione,  o comunque ad un  miglioramento delle condizioni di vita delle persone che si rivolgono al servizio di salute mentale per essere curate, aiutate e sostenute.

Gli operatori dei servizi fanno ciò che possono, ma ciò che possono è veramente troppo poco rispetto alla molteplicità e complessità dei bisogni espressi da chi soffre di un disturbo mentale tutti i giorni dell’anno, e il cui carico assistenziale ed emotivo grava prevalentemente sulle famiglie. Famiglie costituite, spesso, da familiari anziani bisognosi essi stessi di cure e sostegno.

I nostri servizi di salute mentale,  sono fortemente improntati più sull’aspetto medico farmacologico piuttosto che sui percorsi riabilitativi e di inclusione sociale. Noi pensiamo che si debba puntare, con risorse umane, finanziarie e culturali, alla restituzione di  una vita normale fatta di lavoro, di casa, di relazioni affettive. E sappiamo quanto questo sia ancora più difficile in tempi di crisi. Occorrono quindi scelte coraggiose di politica sanitaria che garantiscano al settore della Salute Mentale le risorse finanziarie di cui necessità e il sostegno di tutto il Governo Regionale.

Chiediamo che l’atteggiamento dei servizi di salute mentale (come indicato dal Progetto Obiettivo Nazionale della Salute Mentale), non sia di attesa (aspettare che l’utente arrivi in ambulatorio), ma mirato ad intervenire attivamente e direttamente nel territorio in collaborazione con le associazioni dei familiari e del volontariato, con i medici di medicina generale e con gli altri servizi sanitari e sociali.

Attualmente è molto difficile, per i familiari, ottenere una normale visita domiciliare  anche in presenza di situazioni difficili, che riguardano appunto le persone che non vogliono andare al CSM. Di norma gli interventi domiciliari vengono effettuati esclusivamente per attivare TSO o ASO, disattendendo le indicazioni delle norme attualmente in vigore.

E’ fondamentale che la presa in carico di una persona con disturbo mentale venga garantita da una èquipe multidisciplinare che deve prevedere necessariamente la figura dello psicologo e dell’assistente sociale. Questo, di norma, non viene garantito neppure su richiesta della persona direttamente interessata e/o della sua famiglia, costringendo gli stessi a rivolgersi a psicologi privati con notevole aggravio del bilancio familiare.

I piani terapeutico-preventivi o terapeutico-riabilitativi personalizzati, non possono essere un opzional per i servizi di salute mentale, ma devono costituire un preciso obbligo metodologico nella presa in cura delle persone. Con il coinvolgimento attivo della persona direttamente interessata, e della sua famiglia, nella formulazione e nella attuazione del piano terapeutico. Cercando in ogni modo di responsabilizzarli nella doverosa assunzione di un ruolo attivo e collaborativo. Anche nelle situazioni più difficili, garantendo continuità, assiduità, monitoraggio (ribadiamo che non possono essere incontri saltuari o occasionali per il semplice controllo delle terapie farmacologiche)

Per quanto riguarda la terapia farmacologica, inoltre, c’è una grande resistenza da parte di molti medici di riconoscere il diritto/dovere del proprio paziente (e anche della sua famiglia) di entrare nel merito della efficacia del farmaco, dei suoi effetti collaterali. Pensiamo che per una buona pratica clinica sia fondamentale il riconoscimento e il trattamento degli effetti collaterali dei farmaci, e quindi l’ascolto e il riconoscimento dell’esperienza maturata dalla persona direttamente interessata. Pensiamo che le persone debbano essere adeguatamente sostenute anche quando chiedono di interrompere le cure farmacologiche. E pensiamo che se adeguatamente sostenute nei percorsi riabilitativi il farmaco possa non essere necessario per “tutta la vita”. Ci domandiamo quale formazione è garantita agli operatori su questo specifico aspetto della relazione terapeutica.

Altro aspetto non trascurabile,  è la programmazione periodica da parte delle Aziende Sanitarie Locali di campagne di informazione e sensibilizzazione per orientare correttamente coloro che hanno bisogno dei servizi di salute mentale,  e per sensibilizzare l’opinione pubblica sulla necessità che sia abbandonata qualunque forma di pregiudizio nell’ottica dell’inclusione sociale.

Per quanto riguarda i Servizi Psichiatrici Diagnosi e Cura, oltre all’abbandono di qualunque pratica coercitiva (legare i pazienti ai letti e tenere le porte chiuse a chiave impedendo il libero movimento delle persone), chiediamo che siano emanate delle precise disposizioni di servizio che obblighino la struttura ospedaliera e il servizio territoriale a lavorare di concerto fin dal momento di ingresso in SPDC della persona, al fine di evitare dimissioni frettolose e abbandoni.

Riteniamo inoltre doveroso che venga rispettato il diritto degli utenti a cambiare medico psichiatra di riferimento nelle situazioni di espressa sfiducia, così come cambiare C.S.M. anche se non è quello del proprio territorio di riferimento. Come avviene per qualunque altro servizio sanitario nel rispetto della libera scelta.

Nel caso di opposizione dell’utente verso il servizio di salute mentale, riteniamo importante,  per la presa in carico o la continuità delle cure, che i familiari siano ascoltati e non respinti con la motivazione pretestuosa della “privacy”

La scelta dell’organizzazione dei servizi territoriali di salute mentale sulle 24 ore e 7 giorni su 7, con relativi posti letto di accoglienza temporanea, deve ritornare centrale e prioritaria se si vogliono dare risposte tempestive e adeguate ai bisogni di salute mentale dei cittadini.

L’umanizzazione delle cure passa anche attraverso i luoghi della cura. Riteniamo quindi che i centri di salute mentale debbano avere un “servizio accoglienza/accettazione” adeguato e immediatamente identificabile,  in cui un solo operatore, adeguatamente preparato nel rapporto umano, accoglie chi si presenta al servizio e, sulla base delle necessità espresse, lo invia agli altri operatori in servizio senza rinvii.

Altro punto fondamentale è la partecipazione delle Associazioni dei familiari e degli utenti alla programmazione dei servizi di salute mentale, al monitoraggio e alla verifica.

Chiediamo pertanto la riattivazione della Commissione Regionale Salute Mentale e l’attivazione in ogni Dipartimento di Salute Mentale delle Conferenze di partecipazione.

A.S.A.R.P – Associazione Sarda per l’Attuazione della Riforma Psichiatrica, Socio Unasam

Lettera inviata a:

  • Al Presidente della Regione Sardegna,
  • All’Assessore alla Sanità della Regione Sardegna
  • Alla Ministra della Salute Beatrice Lorenzin
  • Alla Direzione Nazionale  dell’U.N.A.SA.M.

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